Terence Hill & Bud Spencer (foto fonte web) |
Tra spaghetti western
e fagioli, l'autore ricorda la sua infanzia accompagnata da Bud
Spencer in coppia con Terence Hill.
Certe cose ma soprattutto
certe persone lasciano una sorta di impronta nelle nostre vite, hanno
un effetto imprinting su di noi, così come il ricordo del
battito cardiaco, quello di nostra madre ci spinge alla continua
ricerca di un grembo fruttifero presso il quale riparare, così tutto
quello che ci raggiunge per la prima volta e che costituisce una
prima esperienza, rimane come prototipo di emozioni e sensazioni per
tutta la vita. Sfido chiunque a ritrovare quei sapori che provammo da
piccoli, quei profumi che ancora una volta ci ostiniamo a ricercare
senza speranza e senza tempo.
E forse proprio per
questo, il mio primo impatto col grande schermo fu un qualcosa del
genere, profondo e intenso, indimenticabile, un qualcosa che ha
avuto e continua avere ripercussioni sulla mia personalità e il mio
stile di vita e che continua imperterrito a sbucar fuori quando pensi
di aver raggiunto finalmente la maturità o quanto meno un'omologata
normalità.
Era la prima metà degli
anni 70, al Villaggio Coppola, sul Litorale Domizio, un non luogo, un
sogno mai divenuto realtà di un rilancio di un territorio ridotto a
quello che oggi viene amaramente definito la Terra dei Fuochi. Avevo
cinque anni nel 1972, l'età più bella, l'età della scoperta del
mondo ma al contempo lontana dal mondo, lontana ancora dalla scuola e
da tutte quelle consuetudini sociali che regoleranno le nostre
esistenze. Un limbo entro il quale ti era concesso ancora sbagliare
perché eri ancora un bambino.
Mio fratello ha venti
mesi in meno a me ma ci dividono le aspirazioni rivolte a un
primogenito e le attenuanti regalate a chi arriva per secondo; con
lui e con mio padre, quella splendida sera d'estate, andammo al
cinema. Ospiti presso amici a Ischitella Lido, mio padre decise di
portarci a vedere un film al Cinema Bristol. C'era un film che non
conoscevo, all'epoca non sapevo che neanche esistesse il cinema, per
me esisteva a stento la televisione con Carosello, con i suoi
bagliori in bianco e nero e il suo audio mono e gracchiante. Il
cinema era per me un qualcosa di nuovo, di sconosciuto, era l'entrata
in un universo non distante da quello che filtrava la mia mente di
bambino, era il contrario di quanto fece Jeff Daniels ne La rosa
purpurea del Cairo, lui usciva dallo schermo per entrare nella realtà
ed io dalla mia minimalista realtà di bambino, invece, varcavo la
soglia dello schermo, entravo nel mondo di Bud e Terence.
Il film che si proiettava
quella sera era “Più forte ragazzi” quello che oggi avrebbero
definito un “b-movie” per non essere stato un kolossal o per non
appartenere al canone cinematografico hollywoodiano. Ma all'epoca si
campava ancora di Franco e Ciccio e l'eterno Totò viveva già tra
noi come un nume tutelare e questo per noi era già il massimo per
sognare e giocare immedesimandoci nei personaggi che vedevamo in
pellicola. Per me poi, bimbo di cinque anni, il mondo non andava
oltre la porta di casa o le immagini dei Quindici, l'enciclopedia
dell'epoca e che furono la mia prima finestra sul mondo esterno. Con
quel film però, l'omone e il simpaticone, mi trasportarono nei
tropici, tra Venezuela e Brasile, tra poveri garimpeiro ed
infami fazendeiro, tra colori ed ambienti nuovi, ma
soprattutto con una coppia di due rassicuranti amici che meglio non
si poteva.
Le nostre frustrazioni
quotidiane avrebbero bisogno ancora di uno come Bud Spencer per
risolvere in maniera pulita una qualche ingiustizia o la solita lite
di condominio, e quanto ne avrei avuto bisogno quando subivo le
angherie dei più grandi e prepotenti o dei più impuniti a scuola!
Il bello di quei film era che il bene trionfava sempre e non era
passato ancora di moda come oggi, quando gli eroi dei ragazzini non
sono propriamente degli stinchi di santo e sono difficilmente
gestibili come Walter White, Scarface, Pablo Escobar e soci.
Ma non dimentichiamo che
c'era anche lui, Terence Hill, quello che piaceva tanto alle mamme
perché era il più figo dei due, ma a me era simpatico lo stesso,
perché era amico dell'omone e perché non era il classico belloccio
che se ne vantava ma uno spirito libero e galantuomo. Era insomma la
coppia perfetta che piaceva tutti e a noi bambini soprattutto perché
loro rientravano nella nostra schiera degli eroi. “Ma secondo te
chi è chiù forte, Terenzillo o Bruselì?”- diceva uno - “pe'
me Mario Merola!” - fan delle sceneggiate, rispondeva una altro;
certo che pure Mario Merola di mazzate ne menava ma per me non
c'erano dubbi, il più forte era solo uno, era lui, era Budspencer!
Il paccaro a mano aperta
dato al teppistello di turno non ha ad oggi eguali nell'universo dei
super eroi, né il martello di Thor, né i gadget di Batman e neanche
i super poteri degli X-men e nemmeno le coreografie di Jackie Chan
potranno soddisfare come le cinque dita in faccia al chiavico
che rompe le scatole. Ah! Quanto vorrei avere anche io, una volta
nella vita, la soddisfazione 'e chiava' nu paro 'e pacchere 'e
chella manera e a chi dico io!
Ma nel frattempo mi consolo ancora con i film e le scazzottate di Bud
e Terence. L'evoluzione della mia infanzia avvenne però anche dal
punto di vista alimentare, i fagioli! Quegli insulsi legumi dalle
tremende ed intestine conseguenze che nostra madre provava rifilarci
in tutte le ricette, divennero d'improvviso il piatto simbolo di noi
discepoli di Bud e Terence e che per entrare ancor di più nella
parte, doveva essere corroborato da un sonoro e gratificante rutto
finale, per scandalizzare mamma ed ammiccare il compiacimento di
papà, anche lui ormai adepto alla setta dei mangiatori di fagioli.
Qualche
anno fa, ormai adulto e con la mia famiglia mi trovavo a Madrid in
vacanza, avevo riconosciuto nelle immagini di “Altrimenti ci
arrabbiamo” uno dei film di Bud e Terence che preferisco, lo stadio
Vicente Calderón e il ponte di Toledo presso i quali c'era
l'officina del film dove lavorava Bud. Di quel meccanico neanche
l'ombra ma visitare quel luogo è stato come realizzare un sogno
della mia infanzia, un intimo salto nel passato.
Oggi
Bud non c'è più è andato via da pochi giorni ma per me è stato
come perdere un caro, un parente col quale giocavi da piccolo, se n'è
andato con grande dignità e senza quello scalpore che oggi confonde
gli animi e le menti. Qualcuno, soprattutto sui social,
ha però voluto scovare in lui un simbolo di un presunto nazionalismo
partenopeo o un vessillo per il proprio partito ma queste cose
lasciano il tempo che trovano e non fanno bene a chi le rivanga in
questi frangenti, sarebbe come dire che Totò era monarchico e per
questo limitarne la grandezza. Bud era altro, era ben altro e come
per ogni artista è quella la cosa che conta, la sua arte e niente
più.
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