lunedì 26 ottobre 2009

martedì 20 ottobre 2009

lunedì 12 ottobre 2009

mercoledì 7 ottobre 2009

Burqa e dintorni

“Si vede che era uno sfogo segreto della verità, una confidenza domestica; il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune” Alessandro Manzoni, I promessi sposi capitolo XXXII
La lega non è nient’altro che la cartina tornasole del nostro paese, il partito del carroccio non fa che mettere apertamente in evidenza tutto quello che molti altri, a destra come a sinistra, e perché no, anche al centro, sottacciono o fanno finta di non vedere.
L’esplicita tendenza da parte di quel di Pontida a sconvolgere le regole scritte e le norme consolidate di questo nostro assopito paese, va, se non condiviso riconosciuto come sincero atto di realtà politica.
I due opposti schieramenti infatti ci hanno abituato da tempo a rimedi pro forma e dalla limitata durata cronologica, o addirittura legati alle forti emozioni del momento, come è accaduto per i provvedimenti in materia di codice della strada o relativi all’ecologia.
Allo stesso tempo, troppo legati all’immanente presenza della chiesa e dei suoi dettami, non riescono a porre in essere tutto quello che realmente avrebbero voluto realizzare dei loro programmi elettorali, ammesso che li si volesse realmente attuare e non soltanto sventolarne il vessillo.
La lega invece sembra tastare bene un terreno che oltre all’esserle congeniale e farlo suo, sembra proprio appartenergli visceralmente. Insomma la lega è il popolo, almeno per larghe righe quello che il popolo è, crede e teme.
Per questo, quelle che sembrano delle semplici sparate alla Bossi, non sono altro che il riflesso di una diffusa opinione pubblica, espressione di quel senso comune di manzoniana memoria che spesso e volentieri si sostituisce all’ormai non più ovvio buon senso, che tanto ci aveva, a torto o ragione, contraddistinto nel mondo. Probabilmente è anche legato a questo il suo grande successo elettorale e quindi non solo ascrivibile agli improbabili moti irredentisti o alle sue celtiche aspirazioni.
Da questo si giunge all’ultima trovata leghista, quella di una proposta di legge contro il burka (non ci è dato comprendere al momento se il termine in questione sia genericamente rivolto a tutti i tipi di velo o allo specifico indumento integrale). Cavalcando così il senso d’incomprensione generale scaturito anche dalla contrapposizione culturale, e prendendo spunto da una legge già esistente, la Reale del 22 maggio 1975 in materia di “tutela dell'ordine pubblico e identificabilità delle persone” (che regola l'uso del casco e di altri elementi potenzialmente atti a non rendere riconoscibili i cittadini e tra l’altro sottoposta ad una consultazione referendaria nel 1978 con esito negativo), si infonde quest’ennesima paura da nuovo millennio.
Lo scontato e reiterato diniego al razzismo da parte degli interessati incomincia a essere, ora più che mai, oltre che ipocrita, irritante, visto che se è giusto che la gente protegga la sua salute con un casco è da ritenere altrettanto giusto che chi ritenga, in piena libertà, d’andare in giro in burka possa farlo tranquillamente, rispettando il suo credo religioso. Altrimenti che dire degli occhialoni a moscone tanto di moda oggi, le folte barbe incolte e le fluenti chiome davanti agli occhi, li mandiamo tutti in prigione perché non riconoscibili?
È evidente dunque, che ancora una volta la lega ha scoperchiato una realtà nascosta e assai dura da metterne in evidenza, l’Italia non è più quell’ospitale paese pronto ad accogliere e tollerare tutto e tutti. Il nostro chiuderci in noi stessi oppressi dalle nostre tante paure e difesi dalle nostre esigue e inconsistenti difese mediatiche, mal tolleriamo la presenza di quelle misteriose macchie scure che s’aggirano tra i nostri mercatini rionali o che incontriamo alle fermate dei bus. Automaticamente, loro, assieme a rom e cinesi divengono il catalizzatore di tutte le nostre paure, perché sconosciute. ma attaccarli non sarà la soluzione alle nostre angosce.
Infine, in piena alleanza d’intenti c’è ancora chi, soprattutto a sinistra, sostiene che il tradizionale indumento sia denigrante per le donne che lo vestono, un simbolo estremo di sottomissione all’imposizione maschile.
Vero! E sentiamo, fuorviando qualsiasi dubbio, la necessità di ribadirlo, e sperare che nessun credo debba, per essere praticato, mortificare il corpo e l’anima del suo seguace, ma allo stesso tempo rimane fondamentale la libertà di scelta del singolo individuo.
Sembra quasi il biblico discorso della trave e la pagliuzza, che dire allora della situazione delle nostre donne che altrettanto “liberamente” mortificano i loro corpi e le loro menti per accedere a quel che normalmente le spetterebbe?
Donne, che per realizzare le proprie aspirazioni devono dare in cambio il proprio corpo, o subire molestie insostenibili per chiunque, e questo solo perché femmine.
Perché non fare allora una legge contro la chirurgia plastica a nostro avviso ancora più estrema di un pur mutabile burka.
Un provocazione, in vero, ma allora dov’è finita la libertà personale, di vestire o svestire liberamente il proprio corpo, seguire liberamente la propria religione, vivere a proprio piacimento il proprio corpo?
La foto è di James Nachtwey fotografata su National Geographic Italia - ottobre 2009

sabato 3 ottobre 2009

Il dissesto delle coscienze

La Campania ha il 50,3 % del suo territorio a rischio idrogeologico.
I recenti e tragici fatti di Messina hanno riproposto all’assopita attenzione dell’opinione pubblica un problema che riguarderebbe tutto il territorio nazionale.
Usiamo il condizionale poiché l’evidente precarietà della struttura geologica della penisola cozza con i provvedimenti attuati o negati dallo stato in tutte le sue declinazioni.

Ieri sera, il ministro Prestigiacomo e il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca, durante la rubrica del Tg1, “Tv7”, tra un elogio e un ammiccamento all’immagine di un premier deus ex machina, ribadivano, sulla falsa riga di Bertolaso, il fatto che qualcosa di illecito era stato realmente fatto in quei luoghi.
La ministra, in una sorta di trans, frutto forse della stanchezza, vista anche l’ora tarda, veniva a stento frenata dal giornalista Pino Scaccia nel suo panegirico senza fine e senza senso; che stesse lì non solo perché siciliana e ministro dell’ambiente ma anche perché volenterosa di voler dimostrare di saper fare qualcosa in più che lo shopping ministeriale?
Il sindaco di Messina invece, con la solita litania, del -sono qui da poco-, affermava la necessità di soffermarsi non su quello che era stato fatto (le costruzioni abusive accennate dagli esperti presenti) ma su quello che si poteva fare con i fondi mai stanziati dal governo, per il riassetto dei costoni rocciosi e per la riforestazione delle aree interessate dalle frane.
Francamente aggirare l’ostacolo in questo modo, con indagini non ancora iniziate, con i morti ancora da seppellire e con l’evidenza delle case costruite nelle fiumane, sa di calcolo premeditato più che affermazione a caldo. Magari il primo cittadino di Messina prevedeva la possibilità di elargire nuovi e utili (a future cause elettorali) posti di lavoro per gli addetti forestali, per il rimboschimento delle pendici di quei monti ai quali magari essi stessi avevano dato fuoco tempo addietro, nella speranza che li si richiamasse per la piantumazione delle utili essenze arboree o in virtù di una nuova costruzione abusiva vista mare.
Sta di fatto che stiamo parlando non solo di servitori dello stato, il ministro dell’ambiente, il sindaco interessato e il direttore della Protezione Civile. Ma anche di persone del governo, Bertolaso incluso.
Questo aggiunge gravità al fatto, che tutti, direttamente o indirettamente, sono complici dei reiterati condoni edilizi dei governi berlusconi. Non si tratta di natura matrigna o di un’astratta forza del mare che agisce contro gli inermi cittadini, ma dell’evidente violazioni delle leggi della natura e dell’umano buon senso al fine del consenso e del batter cassa.
La cosa più oscena in questo tragico contesto, è la finta (si spera!) ingenuità con la quale si afferma l’evidenza, ormai arcaica, non solo del dissesto idrogeologico del nostro paese, dove ormai a ogni pioggia, piccola o grande che sia, si sfocia quasi sempre nel danno o nella tragedia, ma anche la palese realtà dell’abusivismo che vige regolarmente in Italia perché plagiato dall’impunità, e lo si fa come si trattasse di un qualcosa ad essi avulso. A Questo va aggiunto un sistema idraulico incapace di sostenere, per obsoleta struttura o per il non previsto aumento delle cubature condonate, gli improvvisi e soverchianti afflussi d’acqua piovana.
Nella nostra regione Campania poi non si può stare certo tranquilli, il ricordo di Sarno del ’98 rimane il più eclatante, ma vadano ricordate anche le vittime di Pozzano nel 1997 e di Ischia nel 2006, e il computo di simili tragedie è limitato ovviamente per difetto, ciò nonostante non sembra che le cose siano più di tanto cambiate.
Colpisce l’impunità delle affermazioni sentite ieri alla radio e in tv, partorite da quelle coscienze disseppellite dalle sagge affermazioni del Presidente Napolitano. Costoro, forse sicuri di non avere niente a che fare con tutto ciò, sanno che in questo paese, dalle molteplici autorità e dalle poche responsabilità, spesso si risale a ritroso, nella ricerca dei rei ma senza trovare mai una figura imputabile. Dove se son tutti colpevoli nessuno lo è veramente, o almeno così ci si vuol far credere.
È nostra opinione che invece siamo tutti colpevoli, quando in assenza di denuncia o in presenza di convenienza, lasciamo che l’acqua scorra ancora una volta verso il mare, trascinando con sé nell’oblio delle sue profondità le umane coscienze.
QUANDO NON SO CHE DIRE PREFERISCO TACERE