giovedì 17 luglio 2025

La scuola oltre i luoghi comuni

 


Partendo dal presupposto che il concetto di scuola non equivale a quello di baby-sitting, andrebbero specificate alcune cose prima di parlare delle emblematiche 13 settimane di vacanze estive.

Rispetto agli altri paesi europei va sottolineato che, sebbene altrove si facciano pause estive più corte, ciò non vuol dire che da noi in Italia si vada di meno a scuola.

I dati effettivi

In effetti, oltre a non essere gli unici a farne 13 di settimane, come l’andante vorrebbe, ci sono molti altri paesi che ne fanno 12, 11, 10,  e così via, fino alle 6 di Germania, Regno Unito e Danimarca. Quindi, almeno per quanto riguarda gli studenti, secondo i dati di Eurydice (The Organization of School time in Europe, primary and general secondary education), in Europa, gli studenti bulgari della scuola primaria, che hanno tra le 13 e le 15 settimane di vacanze, gli studenti italiani, che hanno tra le 11 e le 14 settimane e gli studenti islandesi della secondaria superiore, che hanno più di 13 settimane, sono quelli che fanno in media più vacanze estive.

Ma se incominciamo a sottrarre agli altri paesi i lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come le vacanze autunnali (in Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito), la settimana bianca a febbraio (in Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito), le vacanze di maggio (in Germania e Regno Unito), la Pentecoste a giugno (in Francia) e via dicendo, ovviamente con Natale e Pasqua inclusi e con pause in media molto più lunghe delle nostre, si ridurranno non poco gli effettivi giorni di lezione anche per quei paesi che hanno vacanze estive più corte delle nostre. L’Italia quindi, se è vero che ha il record per le vacanze estive più lunghe, tuttavia condivide, assieme alla Danimarca, anche quello dei giorni effettivi di presenza a scuola, pari a 200 rispetto alla metà dei 37 paesi europei presi in considerazione (paesi UE e paesi candidati UE), dove l’anno scolastico dura in genere tra i 170/180 giorni.

Se poi consideriamo che l’ora scolastica, che da noi è di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) il quadro si ribalta di non poco rispetto alle ore e quindi ai giorni effettivi di studio dei nostri studenti. Sostenere quindi che quella pausa andrebbe rivista, dovrebbe tener presente anche del quadro generale europeo e farlo in senso compiuto, senza estrapolare un unico dato ma esaminandoli tutti e non stabilire per assioma ciò che il luogo comune vorrebbe come dato certo e inconfutabile.

A ciò è necessario aggiungere che, mentre dopo la prima decade di giugno termina l’attività didattica per gli alunni della scuola primaria, questa non termina affatto per quelli della Scuola dell’Infanzia, che si conclude assieme a quella dei docenti entro il 30 giugno, così come non termina per gli studenti e i professori della secondaria di primo grado, che devono affrontare gli esami di fine ciclo. Non termina a giugno neanche per quelli della secondaria di secondo grado, impegnati tra esami di stato, corsi ed esami di recupero e progetto “Scuola Viva” nelle calde aule estive, arrivando facilmente alla fine di luglio, in genere il 18 di questo mese, ma talvolta anche oltre.

Una riflessione ironica ma non troppo.

Le nostre scuole, ma anche il nostro comparto turistico, non sono di certo pronti per un calendario scolastico che si protragga, là dove non lo faccia già, oltre la metà di giugno, fino a luglio e ad agosto incluso, a meno che, non si voglia dotare opportunamente i locali scolastici di aria condizionata e di servizio frigobar e che gli esercenti turistici debbano rassegnarsi a lavorare solo ad agosto e, a questo punto, nemmeno entro quel limite temporale, in base alle richieste di un certo tipo di utenza o chi per loro. Si vorrebbe pertanto una sorta di scuola prêt-à-porter, una scuola che vada incontro alle necessità delle singole famiglie e non della comunità tutta e ancor meno della crescita sociale e culturale dei propri figli, che hanno sì bisogno di scuola, ma anche e soprattutto di vivere.

Se quindi in inverno si riesce a sopperire con gli indumenti più pesanti, al freddo delle aule, il caldo insopportabile della nostra estate e di un clima che inesorabilmente cambia, non sarà di certo coerente con una didattica degna di questo nome, del resto non lavoriamo tutti nelle privilegiate segreterie scolastiche dove i condizionatori vanno a palla.

L’allaccio al mondo del turismo, pur essendo una provocazione, si avvicina molto alla realtà di un mondo interconnesso e che pure risentirebbe dell’assenza, non solo fisica, ma anche economica di quelle famiglie e di quelle parti in causa che decidono di andare in vacanza come si era sempre fatto, tra luglio ed agosto.

Rapporto Eurydice 2024-25

sabato 28 giugno 2025

La scintilla

 

Sto facendo gli esami di stato, sì perché si chiamano ancora così; neanche il tempo di farci abituare a questa dizione che a breve si ritornerà alla statutaria e anacronistica maturità. Sono commissario esterno ed assisto alla lenta e incessante trafila della meglio gioventù di una cittadina della provincia di Napoli, quella che, con enfasi e passione espone il suo percorso culturale davanti alla nostra commissione. C’è chi lo fa bene, chi lo fa male e chi lo fa anche in maniera egregia, ma nessuno, al momento nessuno, e sono anni che lo aspetto, ha ancora mostrato quella scintilla negli occhi caratteristica della giovinezza e della sua indole ribelle, innovativa e rivoluzionaria.

L’esame di stato, ormai, non è altro che un rito di passaggio, lo è come la prima sigaretta, il primo bacio, la patente e tante altre cose ormai inflazionate e ormai fugaci come tanto altro in questo mondo consumistico, e forse anche per questo gli argomenti trattati dai ragazzi sono tradizionalmente scontati, scontati e spesso superficiali come il loro rapporto con lo studio, con la conoscenza e con la loro crescita culturale e mi auguro che almeno le emozioni si salvino da tutto questo inutile marasma.

La colpa è sicuramente nostra, nostra come insegnanti ma anche come genitori e uomini di questo tempo; perché non sempre siamo stati capaci di ricoprire il nostro ruolo di docenti, nelle nostre rispettive materie di insegnamento, ma soprattutto perché siamo venuti meno al nostro ruolo di educatori. Del resto, nel bene come nel male, loro ci offrono quello che gli abbiamo dato, ma anche quello che noi vogliamo che loro ci dicano. Stiamo diventando degli meschini burocrati che producono quintali di carte e che registrano il nulla. Diffondiamo luoghi comuni, che promuovono altrettanto mediocri studenti, tutte parti in causa di un quadro sconfortante e spesso inconsapevoli delle proprie miserie.

Entro in questo liceo, una scuola modello, là dove tutto non sembra appartenere ad un contesto meridionale (consentitemelo); la scuola è tappezzata di opere inneggianti alla difesa dell’ambiente e a tutte quelle tematiche affini al sociale e soprattutto alla condanna del femminicidio e alla discriminazione di genere. Anche la classe dove si stanno svolgendo gli orali ne è piena ma, sul lato opposto di questa, trovo un intero muro imbrattato da figure falliche, graffiti degni della camera proibita del MAN e in netto contrasto con ciò dovrebbe stimolare la contrapposta cartellonistica ufficiale.

I power point sulla questione ambientale esposti dagli esaminandi scorrono inesorabili tra buoni propositi, bottiglie, bicchieri e vassoi di plastica; tra la problematica delle microplastiche e i lustrini diffusi ai quattro venti per festeggiare il diploma; tra un mare di proponimenti e buone intenzioni che rimarranno all’interno di quell’aula e che quasi mai ne usciranno fuori. Fuori c’è il mondo reale che comunque appiattisce un po’ tutto e un po’ tutti e che ci plagia, illudendoci di essere al passo coi tempi e di essere cittadini modello perché ci indigniamo per l’Amazzonia che brucia e per lo scioglimento dei poli, ma per il quale non facciamo nulla, soprattutto per quanto abbiamo attorno, ammesso e non concesso che si sappia qualcosa a riguardo. Una recita nella quale siamo tutti attori, talvolta inconsapevoli, ma sicuramente, a vario titolo, tutti protagonisti.

martedì 10 giugno 2025

Armiamoci e partite, ovvero siam tutti figli del padre padrone.

 


Dedicato ai quei 14 milioni di italiani che sanno prendere posizione.

In un paese di tuttologi, dove tutti sentenziano su tutto, ci si arresta invece davanti a 5 semplici quesiti. Semplici quanto necessari, per correggere le anomalie di un paese che non sa che direzione prendere.

E invece no! Nell’unico momento di democrazia diretta, l’italiano medio preferisce andare come al solito al mare.

Di certo, se tra quei quesiti ci fosse stato quello dell’elezione diretta del primo ministro, allora sì che, in quel caso, si sarebbe andati in massa a votare, e non solo per la spinta dei referenti politici locali, ma per ferma convinzione.

Questo perché, in questo paese, su quel nuovo bar dello sport che sono diventati i social, si parla e si sentenzia fin quando le parole non comportano responsabilità dirette, ma poi, al dunque, quando dalle parole si deve passare ai fatti, tutti si tirano indietro, per la serie, armiamoci e partite! L’elezione diretta del premier implicherebbe invece l’affidamento all’uomo/donna forte di turno, delle proprie responsabilità, gli si delegherebbe ogni cosa pur di non prendere posizione ma, soprattutto, pur di non prendersi nessuna responsabilità. Una sorta di padre padrone che dovrebbe dirigere un paese di figli immaturi e incapaci di muovere un passo senza che qualcuno non gli indichi la direzione, il vero grande problema è che spesso, i presunti statisti, loro stessi non amano prendere posizioni, e il cane si morde la coda, fin quando questa non è completamente spolpata.

e quindi, in paese di dipendenti, pare assurdo che almeno 4 di quei 5 quesiti referendari, tesi ad equilibrare le sorti dei lavoratori, molti di questi non si siano recati alle urne, ma purtroppo è così, il relativismo assoluto e la sfiducia nello stato (del quale facciamo comunque parte anche noi) e un imborghesimento della classe operaia, che tutto è meno che proletaria, li hanno tenuti lontani dai seggi elettorali ma, benché comprensibile questa sfiducia, non è comunque accettabile, né tanto meno giustificabile poiché si è volontariamente consegnato, salvo specifiche faziosità, ancora una volta il paese in mano a quella stessa politica che, almeno sulla carta, si contesterebbe come il male assoluto dell’Italia.

Se non nel rispetto di chi ci ha permesso di esercitare questo sacrosanto diritto di voto, ovvero chi, spesso con sommo sacrificio, un’ottantina di anni fa ci ha donato la libertà, la prossima volta andiamo a votare e magari facciamolo anche per rispetto di quei 14 milioni di elettori che sono andati a farlo e che, con il loro 30% potrebbero, orientativamente corrispondere a un partito di maggioranza.

Risultati referendari 2025

domenica 8 giugno 2025

Locale e globale, vicino e distante, la luna e il dito

 

Ovvero, se vedi il bicchiere mezzo pieno è perché l’altra metà l’hai già bevuta tu!

Il relativismo culturale, l’autoassoluzione di massa e un certo opportunismo italico preferiscono guardare lontano, nel tempo e nello spazio, preferiscono speculare sui massimi sistemi ma disdegnano ciò che hanno a portata di mano e talvolta anche di risoluzione.

E sì! Perché, come spesso ho scritto, abbassare lo sguardo verso ciò che sta davanti a noi implica il riconoscere le nostre responsabilità, dirette o indirette che siano. Guardare altrove, soprattutto al passato oppure fuori dai confini regionali, e ancor meglio fuori da quelli nazionali, ci permette di muoverci con maggiore agilità tra le acque stagnanti della nostra ipocrisia.

Questo accade per le questioni ambientali dove spesso si preferisce preoccuparsi della tigre siberiana o del rinoceronte del Borneo ma non della discarica sotto casa. Questioni sacrosante, per carità, ma perché sporcarsi le mani con la monnezza, perché complicarsi l’esistenza con le dinamiche di un territorio complesso e quanto meno assai compromesso? Del resto, perché stuzzicare il can che dorme quando risulta molto più remunerativo parlare di ambiente in termini generali? Senza fare nomi e cognomi e fare al contempo anche carriera politica?

La stessa cosa accade per la storia, sarà che il mondo contemporaneo rimane ancora un mistero per molti, sarà che la storia nella scuola in tutti i suoi ordini e gradi, si ferma alla prima guerra mondiale, ma sempre più persone preferiscono il passato al presente, una fuga da un’attualità sempre più compromettente e che forse è meglio evitare. Questa è ad esempio una delle caratteristiche del revanchismo neoborbonico, un’età dell’oro tutta ad uso e consumo di chi vuole credere che le colpe del disastro meridionale siano tutte da addurre a qualcun altro che malignamente sia sceso dal nord del mondo per toglierci l’eden borbonico. Meglio pensare agli sbiaditi fatti di oltre 160 anni fa che speculare sulle nostre chiare colpe attuali, meglio puntare il dito sui Savoia che parlare di centosessanta anni e più di connivenza con ciò che si critica e soprattutto con mafia e mafiosità, questa sì che insita da sempre nella nostra cultura e vicina, molto più vicina dei Borbone e del loro bidet.

Un po’ come quando si usa il grandangolo per fare una foto, o ancor meglio, il drone, per ritrarre splendidi panorami, rigorosamente “mozzafiato”, senza focalizzare, magari con una bella zoomata, il male che si annida tra le bellezze della nostra terra. A che pro mostrare le discariche e le altre criticità dei nostri territori? Noi siamo la grande bellezza, noi siamo il paese che il mondo invidia e meglio quindi mostrare il bello che c’è in noi, meglio vedere il bicchiere mezzo pieno che il contrario.

Che poi, dopo i pensionati, ormai anche i giovani se ne vadano in altri paesi, non solo per lavoro ma anche per condizioni di vita migliori, poco conta, noi siamo simpatici e abbiamo il cibo migliore e le navi più belle del mondo e quando qualcuno dirà il contrario voi vedrete sempre il dito e non la luna che esso indica.

Immagine creata con l’IA

mercoledì 21 maggio 2025

Le morti grigie

 


A volte ho l’impressione che anche sui morti si faccia speculazione, pare ci siano i morti di serie A e morti di serie B.

Aggiungo che esistono anche lavoratori di serie A e quelli di serie B. La notizia è quella della morte di una maestra in un incidente stradale mentre era in gita con la scolaresca che le era stata assegnata. Il cordoglio è unanime, certo, ma lo è per il fatto tragico in sé, per la presenza dei bambini e per il ricordo che va ad eventi passati ben più gravi di questo, come ad esempio a quello della galleria del Melarancio, ma non al sacrificio di quell’insegnate in quanto tale. Nessuno, al netto dei ringraziamenti a Forze dell’ordine e Vigili del fuoco, ha infatti giudicato quella maestra come una vittima sul lavoro, lei non rientra nella retorica dei sindacati, lei non rientra nella pietas di stato.

In effetti molti considerano il lavoro degli insegnanti come un lavoro privilegiato ma lo è solo per la materia che trattiamo, e il privilegio diventa subito responsabilità, e parliamo ovviamente dei bambini e dei ragazzi che ci vengono affidati, responsabilità legata, non solo alla loro crescita culturale e morale, ma anche alla loro incolumità psico-fisica.

Innanzitutto vorrei sottolineare che quei docenti che accompagnano gli studenti in gita, come ancora la si chiama, ricoprono un incarico assai oneroso nelle visite guidate, nei viaggi d’istruzione, nelle trasferte Erasmus e quelle per i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento), lo fanno gratis! Il che significa che tali lavoratori sono costretti, da una sorta di pressione sociale, a lavorare 24 ore su 24, a volte anche per più giorni, se non settimane, senza percepire straordinari e a volte rimettendoci anche i propri soldi e con una responsabilità immane, anche perché, oltre ai rischi comuni che un viaggio può avere, gli studenti più grandi vedono la gita come una zona franca nella quale l’eccesso la fa da padrone. Ebbene, nell’Italia delle commemorazioni e dei 3 morti al giorno sul lavoro, maestri e professori non hanno spazio, perché luogo comune vuole che loro siano dei privilegiati.

Lo sono perché sono quelli delle 18 ore settimanali, dei tre mesi di vacanze all’anno, dei fannulloni e del doppio lavoro. Pare che questo stereotipo, che potrebbe valere anche per altre categorie, valga anche per i sindacati, i quali, soprattutto nel mondo della scuola, badano più a far carriera, mirando alla dirigenza scolastica (che implica anche questa esperienza nel proprio curriculum), che a tutelare i lavoratori del loro comparto. In effetti non è che durante gli scioperi, gli insegnanti facciano sentire la loro voce ma mi chiedo il perché, in un mondo tanto attento a tutto e a tutti, si segua ancora il senso comune più che il buon senso e si dimentichi una fascia importante di lavoratori italiani che, se non soggetti ad orari da metalmeccanici hanno stipendi simili se non più bassi. Hanno sì la sosta lunga durante la pausa estiva ma questa è soggetta ad una regolamentazione che varia da regione a regione e da ordine e grado, nel senso che se i docenti della primaria sono liberi da impegni da luglio, quelli delle superiori, tra esami, corsi ed esami di recupero, lo sono, quanto meno, dal 19 luglio in poi, a seconda se gli esami di recupero del debito formativo si facciano a luglio o a fine agosto.

Rispetto ai colleghi europei va inoltre sottolineato che, sebbene qui si facciano pause estive più corte, almeno per gli studenti, all’estero si fanno lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come la settimana bianca a febbraio e la Pentecoste a giugno, ovviamente con Natale e Pasqua, per quel che concerne ad esempio la Francia. Inoltre l’ora scolastica, che da noi è statutariamente di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) [1] e se è la somma che fa il totale, i numeri non tornano se si considerano più i luoghi comuni che la realtà dei fatti e se questi prevalgono su di una categoria, prima o poi varranno anche per un’altra mentre i lavoratori si azzanneranno gli uni con gli altri in un’assurda guerra tra poveri.

[1] https://www.orizzontescuola.it/tempo-scuola-durata-media-ue-185-giorni/#:~:text=Nella%20maggiornaza%20dei%20casi%2C%20una,i%2040%20e%20i%2055%20minuti.

             

venerdì 9 maggio 2025

Cattolico ma non troppo

 

Sono ateo e lo sono da prima della maggiore età, ho sempre professato il mio modo di essere e talvolta ne ho dovuto pagare anche le conseguenze, soprattutto quando, fresco laureato, inviavo i miei curricula presso le scuole cattoliche, subendone l’ostracismo. La mia è stata una scelta libera, forse ribelle in gioventù, ma ora agonisticamente consapevole e priva di coercizione alcuna, perché la libertà è forse la mia vera religione e anche per questo difendo quella altrui come se fosse la mia.

Questa mia coerenza cozza però contro quella un po’ blanda della maggioranza dei miei connazionali, quelli che vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca e che vorrebbero sentirsi cattolici e al contempo fare un po’ come cazzo gli pare. Quelli che: tanto basta credere e poi si vedrà; tanto un’assoluzione non te la nega nessuno e così via. E quindi, anche potendo definirmi cristiano per filosofia, non appartenendo al cattolicesimo per mantenere salde le mie scelte e, anche se non privo di merito, ne resto fuori perché non ho il marchio di fabbrica. Sono del resto cresciuto all’interno dei principi cristiani dell’amore o, quanto meno, della tolleranza verso il prossimo e quindi la mia vita non differisce più di tanto da quella degli altri, se non per la coerenza di certe scelte e per questo se non andrò all’inferno mi risparmierò forse qualche annetto di purgatorio ma non mi spetterà nulla in terra, perché non professo la fede cattolica, apostolica e romana.

Negli ultimi tempi ha fatto scalpore la notizia di una maestra che è stata licenziata da una scuola cattolica perché questa sbarcava il lunario spogliandosi su “Only fans”. Lei, e chi per lei, gridano ancora allo scandalo poiché nella propria sfera privata ognuno potrebbe fare ciò che vuole ma nel momento in cui si viene a sapere quel che fai scatta l’epurazione. La maestra si difende dichiarando che il suo basso salario (sicuramente più scandaloso delle sue nudità) la obbligava a spogliarsi in rete per vivere (e anche qualcosa in più) e che di certo non faceva e non aveva mai fatto pornografia. Ma sta di fatto che lei lavorava in una scuola cattolica e per questo, alla dirigenza e soprattutto alle famiglie, il suo denudarsi non piaceva perché non era cosa buona e giusta.

Due quesiti però mi sovvengono a tal riguardo, il primo è quello di come siano potute arrivare alla morigerata utenza le immagini di quell’insegnante tal come mamma l’aveva fatta. Mi vien da pensare a quei papà di quei bambini, che nella loro intimità, usando la famosa chat, abbiano creato uno sconcertante senso di ambiguità che cozza non poco con il moralismo che si è mosso contro l’insegnate. Il secondo quesito che mi sono posto è il seguente, ma che pensava la signorina, di farla franca in un mondo così perbenista? In questo paese solo quello che non si fa non si sa, ed ecco pronte le rimostranze delle famiglie e le loro logiche conseguenze, del resto era un istituto privato e confessionale e, in un contesto dove, anche nella scuola di stato, è la curia a dettar legge, cosa si aspettava?

Già altrove ho specificato che mostrare e usare il proprio corpo, vendendolo al migliore offerente, non sempre è una questione di piacere e di libera espressione del proprio essere, ma un nudo e crudo bisogno materiale. Non posso quindi che chiedermi, considerato il fatto di non essere stato mai assunto in una scuola cattolica per le mie idee, perché lei dovrebbe rimanervi per le sue azioni? La coerenza, questa è quella che non paga nel nostro contesto, magari entrambi siamo ottimi docenti ma con i nostri atti, dimostriamo di non appartenere alla loro morale e quindi destinati a restare al di fuori del loro mondo, con tutti gli annessi e connessi.

Molti, tanti divorziati, vivono fuori della grazia della chiesa, molti cattolici si indignano per tutto ciò, additando le mancanze, a volte ben più gravi dello stesso clero, ma mi chiedo, questi uomini e queste donne che si sono sposati secondo il rito cattolico, sapevano che quello era un sacramento e, in quanto tale, indissolubile o quasi? Ecco l’incoerenza e talvolta l’opportunismo dell’italiano medio, accettare tutto ciò che conviene nell’essere cattolico ma fare distinguo sul resto che non conviene. Ora, lungi da me fare l’apologia della Chiesa che, da almeno duemila anni a questa parte, difende bene i suoi dogmi, ma varrebbe la pena chiedersi cosa significa essere credenti e cattolici oggi, da una parte come dall’altra.

A che pro lamentare la scarsità di sacerdoti e le chiese sempre più vuote e paventare poi le moschee piene? Oramai la religione non è più il collante della società occidentale, i valori sono altri, e il relativismo impera. Temiamo le altre religioni, in primis l’Islam, difendiamo un Natale cristiano da presunte influenze levantine ma poi dal dopoguerra ad oggi abbiamo svenduto credo e tradizioni al consumismo e a un paganesimo hollywoodiano. La chiesa, non senza un certo fascino, continua ad essere ancorata ad un passato arcaico e mantiene la sua influenza sul mondo cattolico o sedicente tale. Il clero gestisce ancora quelle paure ataviche dell’uomo ma ancor più lo fa con la sua influenza politica più che con la sua morale cristiana, e questo i comuni mortali lo sanno molto bene e lo dimenticano solo quando sono vittime delle loro stesse azioni, magari dichiarandosi antiteticamente cattolici non praticanti.

Lo stesso Papa Francesco stentava a gestire questo mondo anacronistico con due parti in causa che andavano l’una nella direzione opposta dell’altra ma con la volontà di essere una cosa sola; questo sì che pare essere un dogma, più incredibile della stessa verginità di Maria.

mercoledì 30 aprile 2025

La fretta

 .. ovvero il ritenersi informati senza informarsi.

Oggi vanno tutti di fretta, anche se devono andare a prendersi un caffè; figurati se poi devono soffermarsi nel leggere un post che si dilunga oltre i limiti della loro attenzione. E dire che ci si lamenta dei ragazzi (e purtroppo non solo loro) che ormai comunicano solo con la sintesi di social come Tik-tok e Instagram, dove prevale l’immagine più che la parola o la lettera. Per carità, non pretendo neanche che le mie di esternazioni, come quelle di altri, valgano la pena di meritare la vostra attenzione e il vostro preziosissimo tempo ma per commentare, finanche per criticare, visto che di tempo per fare questo ne avete, bisognerebbe prima leggere, e spesso questo non lo si fa, e quando lo si fa, prevale l’ombra del pregiudizio o l’attenzione di un bradipo.

Oramai prevalgono due elementi tra chi usufruisce delle reti sociali, anche perché è palese che queste abbiamo ormai preso il sopravvento sulla televisione e a maggior ragione sulla stampa, in materia di informazione, e sono la difficoltà di mantenere l’attenzione e la presunzione di commentare ciò che non si è letto o che non si è capito, vedasi anche analfabetismo funzionale; e questo se si esclude la malafede di chi commenta con un radicato pregiudizio e che quindi non è minimamente intenzionato a leggere ed analizzare i testi altrui ma attaccarli a prescindere.

Ecco quindi il grande successo dell’IA, delle bufale e di tutta una serie di immagini, video e informazioni che toccano più le sensazioni dell’utente medio che il suo intelletto che, privo di sane letture (o privo a prescindere) e tronfio di convinzioni, rischia l’atrofizzazione e la soppressione del suo senso critico. La maggior parte di questi legge il titolo e guarda l’immagine del post e li giudica veri perché, nella maggior parte dei casi, li ritiene tali, non verifica la loro attendibilità, non va a fondo, ma se ne sente gratificato perché quasi sempre, quel messaggio lo plagia avvalorando le sue convinzioni pregresse e sostenendo, complice l’algoritmo, il suo pregiudizio.

Del resto questo atteggiamento è un segno dei tempi, è la dimostrazione che noi non siamo più utenti ma acquirenti, clienti che devono usufruire di un prodotto e che la preferenza per tale mercanzia non deve essere fidelizzata in maniera cronologica ma deve cambiare rapidamente, deve essere immediata, per acquistarne rapidamente altra subito dopo, e questo vale anche per le informazioni che ci vengono fornite, spesso non sono altro che ami per pescare le nostre preferenze. La contropartita, anche se gratuita, non è in realtà tale, è ripagata con i nostri dati personali che saranno venduti e riutilizzati da altri per bombardarci di pubblicità e, all’occorrenza, saremo anche arruffianati per dirigere, al momento opportuno, le nostre tendenze politiche, già abbondantemente precotte prima del fatidico momento elettorale.

Nessuna novità a riguardo, il concetto sopra espresso, è ormai noto, ma la fretta dei nostri atteggiamenti è ormai adducibile a quest’andamento generale dell’utenza media che, nella quale, ça va sans dire*, nessuno vi si riconosce mai.

*‘Afammoc’all’inglese!

Immagine creata con l'IA.