lunedì 26 marzo 2012

Ver Sacrum


Sappiamo che tra molti dei soci CAI c’è chi storcerà il naso vedendo le fauci dei consoci affondare in pizzette e babà, fagioli con le cotiche e torte pasqualine, carne ai ferri e sacicce e friarielli; e il tutto, solo a metà escursione! Qualcuno rabbrividirà davanti ai fiumi di vino e forse anche al cospetto degli ottimi rock cakes di Maria Doris, anch’io l’ho fatto, ma senz’altro per il piacere provato.
L’escursionismo non è certo l’alpinismo e merita perciò altre velocità, ma se esiste l’aspetto ludico della montagna lo è anche perché, il CAI, è anche questo. Se si sceglie dunque di uscire assieme lo si fa anche perché c’è un valore comune da rispettare ed è quello della condivisione; il condividere congiunto di ciò che è naturale, puro, buono e più squisitamente umano. Ovviamente non mi riferisco solo a ciò che è esclusivamente edule ma a quel condimento sopraffino che è l’umana conversazione, lo scambio di esperienze vissute, progetti, sogni. Il tutto ben disposto dalla montana convivialità e al finalmente lento scorrere delle emozioni.




L’escursione intersezionale di domenica scorsa, organizzata dal CAI di Piedimonte Matese, ha avuto tutte le suddette caratteristiche, culminate in un finale travolgentemente coreutico.



Si parte, per noi matesini di Napoli, ben presto, vista anche la nuova ora legale; si arriva, via A1, alla Telesina, tragitto un po’ lungo ma, almeno per il sottoscritto, abitudinariamente piacevole, si esce a Dragoni, si affronta il lungo rettilineo che conduce a Piedimonte e si giunge nei pressi del municipio, là dove, puntualmente, nessuno c’attenderà. Carichiamo una malcapitata ritardataria, lasciata lì al suo destino e volgiamo le ruote verso Gioia Sannitica. Il paesaggio è bucolico, rilassante, nonostante la fretta; quella maledetta fretta che attanaglia molti CAIni! Ma tutto sommato me ne strafrego e a velocità di crociera me ne vo, fiducioso dell’altrui ineluttabile cappuccino e cornetto, quello che mi permetterà di recuperare su chi stamattina è caduto dal letto.




Accompagnato da un mondo rurale e ideale giungo finalmente a Gioia (Nomen Omen?). Qui trovo torme di montanari e sedicenti tali, con aria festaiola e propositiva; il tempo è bello, regge nonostante le previsioni, calzo le mie pedule e m’avvio tra i festanti per la foto di rito; il momento è topico! L’escursione di oggi coinvolge infatti le otto sezioni campane, quelle di Avellino, Benevento, Caserta, Cava de’Tirreni, Castellamare di Stabia, Napoli, Piedimonte Matese e Salerno, non so dire se fosse presente anche la sottosezione di Nusco ma c’era probabilmente, ospite, quella molisana di Isernia. Non è questa cosa di tutti i giorni e neanche di tutti gli anni, infatti ci si riunisce nel territorio sezionale, e per quest’occasione, ogni quattro anni, e quale momento migliore dell’incombente primavera per celebrare l’evento?




Si parte tutti alle nove circa (molto circa!) e ci s’incammina verso l’alto, verso un gradevole sentiero che sbuca dietro le case del centro cittadino del borgo sannitico. Il percorso, di circa cinque chilometri ha un dislivello di poco più di settecento metri e s’inerpica tra la Rena Bianca, quella che da me, profano e foresto, riconosco nella ghiaia calcarea che s’intravede sotto l’humus di foglie cadute lungo il sentiero. Il tragitto è gradevole, si passa dagli angusti passaggi delle rocce al bosco, fino al paesaggio rurale di Selvapiana. Senza molta fatica, almeno per me, raggiungiamo il pianoro, dove a mo’ di conquistador piazzo orgoglioso la bandiera col vessillo del CAi di Piedimonte a cui appartengo e incomincio a scherzare con i compagni di sezione e a socializzare con vecchie e nuove facce. È questo un momento in cui si rivedono gli amici di “un’escursione e via”, ma anche quelli che “non aspetti altro che se ne organizzi una per rivederli”.




Quando la vallata si popola di giacchette rosse e d’altri colori il momento è giunto per l’ufficialità, si allestisce in velocità un gazebo e s’approntano i preparativi per la celebrazione della messa e degli interventi ufficiali; embè, ho capito che il ver è sacrum ma m’aspettavo, vista la zona, qualcosa di più pagano, di più squisitamente sannita, e vengo perciò subito esaudito, nel mio incipiente paganesimo, con l’allestimento di un baccanale culinario senza confronti, dove la pizza rustica è declinata in tutte le sue flessioni gastronomiche e la crostata sublima se stessa. Il vino compare alla chetichella e solo all’inizio centellinato per poi scorrere abbondante, che c’abbia preceduto la nostra fama? All’occorrenza caccio fuori pure la mia fiaschetta d’ordinanza, stavolta riempita con un novello genepì napolitain di propria manifattura e rendo onore alla tavola, ah! Se mi vedesse qualcuno! Quante me ne direbbe. E meno male che ho dimenticato i toscani!








All’improvviso, giusto in quel frangente che dall’ebbrezza si volge al sopore, arriva un gruppo folcloristico locale, che nei loro abiti tradizionali prima c’allettano, poi ci coinvolgono in un rondò turbinoso, dove poté più il vino che la creanza.




Ricompostici e ancora un poco intontiti da vino e giravolte, raccattiamo armi e bagagli, cerchiamo di racimolare le scorie della festa per rendere meno oneroso il lavoro di chi ci ha così caldamente ospitato e, ognuno con la sua digestione, si guadagna la via del ritorno. Non amo ripercorrere la strada dell’andata ma la differente prospettiva e gli squarci di sole tra le incerte nuvole ci fanno godere in opposta prospettiva la bellezza della vallata sottostante. I miei pensieri digestivi mi fanno volgere la fantasia verso quelle genti sannite, che per prime popolarono attivamente queste valli pedemontane, quelle che, in simbiosi con la natura che le accoglieva, mandavano i propri figli a colonizzare quelle selvagge, libere e fertili terre (ver sacrum). Penso agli albori di una civiltà che secoli dopo confluirà volente o nolente in quella latina e penso di come oggi, a distanza di un paio di millenni, quanto poco rimanga dell’atavico genius loci di queste genti, di noi e di loro omologati in un’anima unica televisiva. Spero che tutto questo rinasca e ritorni come i germogli a primavera.


sabato 24 marzo 2012












lunedì 19 marzo 2012

domenica 18 marzo 2012

martedì 13 marzo 2012

Il mio Cam(m)ino



Spinto non solo dai miei studi di iberistica, ma anche da una insaziabile voglia di conoscere, ho deciso di intraprendere il Camino de Santiago (in Spagna). In verità ho percorso soltanto gli ultimi 330 Km (sui canonici 750 c.ca), da León (Castilla y León) a Santiago (Galicia) e, non pago, ho portato dietro anche la famiglia.

Ed io che temevo crolli psico-fisici, affranto dalla fatica! La vera cosa difficile è stata quella di gestire la famiglia e rendere la loro esperienza del Camino altrettanto emozionante e, perché no, divertente.

Devo dire che ce l’ ho fatta, e con buona pace di coloro che criticavano il mio zaino troppo leggero, generosamente svuotato nel bagagliaio della mia mitica Palio Weekend, il mio Camino l’ ho percorso da pellegrino ed ho anche organizzato la mia piccola comitiva.

In effetti prenotare strada facendo la pensione (che li si chiama hostal da non confondere con gli albergues che invece coincidono grossomodo con i nostri ostelli) per tutta la truppa, ad un certo punto è diventato snervante. Finché un bel giorno a Triacastela ho avuto l’illuminazione (folle!), quella di prenotare telefonicamente tutti i pernottamenti che mi rimanevano, in una botta sola e ci sono riuscito, ma dopo mi bruciavano le orecchie, e soprattutto dovevo rispettare le tappe per non perdere l’alloggio anche se per me non era un problema, infatti in quanto “pellegrino” avrei potuto sostare almeno una notte presso l’albergue di turno a gratise o quasi; ma dove avrei messo pargoli e consorte?

Il riferimento allo zaino poi, fatto poc’anzi, non è casuale poiché, nonostante i buoni principi di coloro che affrontano il viaggio (che è pur sempre un pellegrinaggio), le umane miserie (invidia, megalomania, ipocrisia, supermanite, etc.) salgono a galla. E hai voglia a spiegare che hai una schiena malandata e che il Camino è un percorso innanzitutto personale, intimo, dove i confronti non dovrebbero esistere. Ma taluni ti sembravano quegli asceti che si infliggevano nel medioevo pene corporali. A vederli negli ostelli … y tú ¿cuántas ampollas tienes? Yo cuatro, menos dos uñas perdidas a lo largo del Camino . Guai poi se ti lavavi, dovevi puzzare, anche tanto, tipo Roquefort stagionato e percepibile anche a 10 m di distanza! Per concludere il conformismo impera ovunque anche sulla via per Santiago. Del resto siamo uomini e forse anche questo, almeno per me, ha reso il tutto più divertente e stimolante, nel senso che se loro cacciano la malizia io caccio la mia cazzimma, e ho detto tutto!

A tutto ciò un contorno fantastico di panorami celtici (sì perché il nord ovest della Spagna è riconosciuto come zona d’origine dei Celtíberi, antica popolazione con molto in comune con quelle di Bretagna, Irlanda, Galles e Scozia) boschi fatati (davvero!!) e tanti, tanti volti che spero di ricordare per tutta la vita, tante storie incrociate per caso o volutamente da parte mia o loro, che volutamente si sono poi interrotte, non solo per la distanza ma perché Il Camino è una zona franca dell’anima, o di quello che volete voi, dove tutti hanno una meta in comune: quella di giungere in un luogo, Santiago de Compostela. Il perché è un piccolo segreto per ognuno che l’ha fatto o che magari sogna di farlo.

¡Ultreya!

(I miei pensieri del 2006)

Riflessioni sul Camino



http://www.lospeaker.it/il-mio-cammino/
A quanti mi chiedevano cosa cercavo nel Camino de Santiago, spesso rispondevo in maniera elusiva che le ragioni erano tante, culturali, spirituali ma non religiose! Addirittura sportive!
In realtà non ne ero ancora sicuro del tutto. In effetti, come in tutte le cose nuove, nel mio primo viaggio come nel secondo, ero attirato dalla voglia di conoscere, da quella sana curiosità che dovrebbe esistere in ognuno di noi per espandere le nostre conoscenze, o per lo meno non farle ristagnare in un pantano televisivo!

Poi però mi sono ritrovato in situazioni inaspettate.

In realtà come ho già accennato altrove il mio Camino, è sui generis, e del resto per chi non lo è? Ma le difficoltà e le situazioni nelle quali mi sono imbattuto, farebbero però storcere il naso anche al meno ortodosso dei pellegrini.

L'essermi messo in viaggio con famiglia al seguito, infatti, non solo è risultato oneroso e complicato, ma mi ha anche impedito quel distacco che sarebbe stato opportuno mantenere dalle vicissitudini domestiche. In verità i brevi ma intensi contatti con gli altri pellegrini negli albergues hanno lasciato un ricordo indelebile in me e nei miei familiari e ci hanno fatto intendere quello che ci perdevamo, ma allo stesso tempo vivere, come nel precedente viaggio (Leon-Santiago), l'esperienza del Camino con i miei non è stata esperienza da poco. Basta considerare il fatto che i bambini si avviano a essere ragazzi, e mi hanno anche accompagnato in alcune tappe del percorso, ma appunto i loro due anni in più ci hanno permesso di vedere, anche attraverso i loro occhi quest'esperienza in modo diverso.

Ho parlato di difficoltà, ebbene sì, la vita, in Spagna come in Italia, è aumentata sensibilmente e il transitare di giorno in giorno per i diversi hostales (in genere equivalenti alle nostre pensioni, ma con standard qualitativi non sempre omogenei) è risultato alquanto oneroso. Non vi dico poi quando il nostro fido destriero O'Paliatone, dopo 127.000 chilometri di onorato servizio ha deciso di darsi una pausa di riflessione e stanziare presso una "meridionalissima" officina di Malaga (ovviamente a fine Camino).

Tornando a quel che si cerca in avventure come questa, perché, mai come quest'anno, la si può definire tale. Devo ancora una volta sostenere la massima di a cada uno su Camino, che purtroppo puntualmente viene infranta. La regola del rispetto dell'altrui libertà è disattesa sulla strada come altrove. Nei miei ottocento chilometri percorsi (350 del primo viaggio più 450 del secondo) ne ho viste di tutti i colori, ho incontrato persone che affrontavano il Camino in maniera pressoché agonistica, non accorgendosi talvolta dei tesori che li circondavano, e non mi riferisco solo alle bellezze naturali e artistiche, ma anche e soprattutto a quelle umane. Nei confronti di questi però non si pensi che il mio accenno sia critico, bensì semplicemente enumerativo, del resto io stesso per le più svariate ragioni sono stato costretto, talvolta, a privilegiare il pragmatismo a dispetto del "bello", al lirismo della realtà che ha circondato il mio viaggio. Ho incontrato poi persone che affrontavano il Camino seguendo i vari gradi della religiosità, ammesso che sia opportuno, o quantomeno possibile quantificarla. Ho incontrato persone con difficoltà fisiche, anche gravi, e che se la prendevano più allegramente di tutti! Ho incontrato persone con zaini stracolmi e altre a passeggio con solo una semplice borraccia, tutti, nella quasi totalità, affratellati dal bene comune del Camino.

Suddetta premessa vale a distinguere dal computo una certa categoria di persone che probabilmente dimentichi della cristiana e umana virtù dell'umiltà, o semplicemente irrispettosi di chi ha di fronte, giudica!

Dal semplice abbigliamento alla critica motivazionale. Come se tutto ciò non valesse anche per la vita quotidiana.

Mi chiedo se queste persone non facciano più male allo spirito del Camino della tanto criticata e bandita commercializzazione dello stesso.

In verità da anni si fa un gran parlare del Camino de Santiago, vuoi per effettivo interesse e voglia di approfondimento, vuoi per sfruttare l'onda di qualche libro alla moda. Il fatto stesso di parlarne non deve essere però fine a se stesso, non deve essere affrontato sterilmente come alcuni giornalisti hanno fatto, riportando talvolta, (mai peccato più grave!) di seconda mano fatti non vissuti direttamente, o ancor peggio non assimilati. Dico questo perché se leggo o sento che ormai il Camino non è altro che un fenomeno commerciale o alla moda, dall'alto dei miei chilometri sostengo che costoro, oltre a non aver percorso un metro non hanno letto una riga a riguardo. Infatti, da che mondo è mondo molte delle cose umane, si reggono anche sull'economia, gran parte delle opere d'arte della nostra storia sono nate anche perché pagate. Michelangelo e compagnia non facevano certo beneficenza, quindi, tanto del bello che s'incontra lungo il Camino è nato, sin dall'antichità, grazie ad esso e all'economia che ha mosso. Molti paesi della Castiglia, della Navarra o della Galizia e le loro bellezze, forse non esisterebbero proprio se il passaggio, anche monetario dei pellegrini non avesse alimentato la loro ragion d'essere, ieri come oggi.

Tornando alla domanda iniziale proverò a rispondere con questi pensieri scritti di getto lungo il tragitto.

- Adesso so che quel che cercavo era la forza. Quella che ti aiuta ad affrontare la vita, che ti sostiene quando sei affranto, quella che ti spinge a rialzarti quando cadi.

Mi chiederete se l'ho trovata?

No!

No, perché la si può trovare solo nell'esperienza della vita di tutti i giorni, nell'attitudine di confrontarsi con se stesso e con gli altri nei contesti più disparati. Non come nel porto franco del Camino, meraviglioso ma limitato rispetto alla vita.

Del resto come ci si può rapportare a essa? La vita che si rinnova continuamente, dove nulla è scontato, la vita che non è un'abitudine.

Salute, Ciro

(Un mio vecchio post del 1 novembre 2008)

domenica 11 marzo 2012

giovedì 8 marzo 2012

8 marzo

So'' Bammenella 'e copp''e Quartiere: pe' tutta Napule faccio parla', quanno, annascuso, p''e vicule, 'a sera, 'ncopp''o pianino mme metto a balla'... Vene 'ambulanza?...'Int'a niente mm''a squaglio! E, si mm'afferra, mme torna a lassa'! 'Ncopp''a quistura, si e vvote ce saglio, e' pe' furmalita'... Cu 'a bona maniera, faccio cade' 'o brigatiere... piglio e lle ve'ngo 'o mestiere: dico ca 'o tengo cca'... 'O zallo s''o 'mmocca, ll'avota 'a capa e s'abbocca... ma, nun appena mme tocca, mme n'ha da manna'! Mme fanno ridere cierti pperzone quanno mme diceno: Penza pe' te... Io faccio 'ammore cu 'o capo guaglione e spe'nno 'e llire p''o fa' cumpare'... Sto'' sotto 'o de'bbeto, chisto e' 'o destino... ma c'e' chi pava pircio' lassa fa'... Tengo nu bellu guaglione vicino ca mme fa rispetta'! Chi sta 'int''o peccato, ha da tene'' 'o 'nnammurato. ch'appena doppo assucciato, s'ha da sape' appicceca'... E tutt''e sserate, chillo mm'accide 'e mazzate! Mme vo'' nu bene sfrenato, ma nun 'o dda' a pare''!... Mo so'' tre mise ca 'o tengo malato; sacc'io che spe'nno pe' farlo sana'! Pero', 'o duttore, cu me s'e' allummato: pe' senza niente mm''o faccio cura'... E tene pure 'o mandato 'e cattura: priesto, 'ambulanza s''o ve'ne a piglia'... Io ll'aggio ditto: Sta' senza paura, pe' te, ce sto'ngo io cca'!... Cu 'a bona maniera, faccio cade' 'o brigatiere, Mentre io lle vengo 'o mestiere... isso, have 'o canzo 'e scappa'... Pe' me, 'o 'ssenziale, e' quanno mme vasa carnale: Mme fa scurda' tutt''o mmale ca mme facette fa'!...

Raffaele Viviani

sabato 3 marzo 2012

Marzo









































Tutte le foto sono di Ciro Teodonno, si prega di menzionarne la fonte in caso di loro utilizzo.