martedì 12 gennaio 2010

Ricerca



Uno degli andanti di questi ultimi tempi è quello della fuga dei cervelli all’estero. Spesso, le cronache e i rari approfondimenti degli organi di informazione, segnalano il successo di un qualche nostro connazionale oltre oceano, così come talvolta, con mal celato vanto, si enfatizza l’apporto dato dai nostri compatrioti a qualche scoperta di rilievo internazionale.
Il messaggio sottinteso che trapela è però quello dell’inadeguatezza del mondo accademico, che lascia andare via le nostre menti migliori, e frustra le aspirazioni di chi invece, stoicamente, decide di restare in madre patria.
Il retroscena della storia è spesso tenuto in secondo piano, dietro un paravento di ipocrisia, quasi che gli allori conseguiti all’estero abbiano il potere di lenire i mali del nostro mondo universitario. Le vicissitudini del ricercatore, che in Italia come all’estero affronta un cammino non certamente facile, vengono spesso attribuite a un radicato nepotismo e al clientelismo, che se pur reale, non giustifica completamente lo sfascio della ricerca, in un paese dalle grandi aspirazioni, quale vorrebbe essere il nostro.
Quello che quasi sempre non vien fuori, nonostante le fiacche e ipocrite polemiche, è l’esiguità dei fondi stanziati per la ricerca, che accomunata nella mala sorte al resto del mondo dell’italica istruzione, la relegano al tredicesimo posto per investimenti nell’Unione Europea (dati Eurostat 2008 aggiornati al 21/12/2009). Nell’Europa a 15 il PIL investito in Italia per la ricerca è stato dell’1,18% contro una media europea sempre sui 15 paesi del 1,99%, l’1,9% sui 27 paesi e ancora l’1,87% dell’area Euro. Il divario si allarga notevolmente se si volge lo sguardo verso Giappone e USA che rispettivamente investono nella ricerca il 3,44 e il 2,62% del loro prodotto interno lordo. E che dire poi della Finlandia, additata in questi ultimi tempi ad esempio per vivacità e organizzazione scolastica! Basta citare il suo 3,72%.
Se poi confrontiamo queste percentuali con quelle degli stanziamenti preposti per la difesa (fonte SIPRI, Stockholm International Peace Research Institute, i dati relativi al 2007) assestano il PIL italiano investito in armamenti all’1,8% e la spesa relativa del 2008 pari a 27,708 milioni di euro. Capiamo dunque quanto bassa sia la concezione del nostro paese per la ricerca e dell’istruzione. Questo in un paese che sulla carta “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”(art.11 della Costituzione Italiana).

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