venerdì 12 giugno 2009

La sindrome dello juventino



Non sono un sociologo e neanche ho voglia d’esserlo, osservo solo quello che mi ruota attorno, ascolto, e già questo potrebbe pormi in quell’ambito privilegiato ed esclusivo di chi s’apparta dal mondo, o ne è messo in disparte per forza di cose, vista soprattutto l’odierna singolarità e anacronismo del gesto. Ma dicevo, l’esser purtroppo sensibile a quanto mi si presenta davanti agli occhi, mi costringe a ragionare, cosa che di solito anche i miei simili dovrebbero fare, ed esplicitarlo, per un’ostinata voglia di comunicare, anche se stento ancora a capire cosa ci guadagnerò in questa faticosa attività.
Sarà che anch’io sono affetto dalla sindrome di cui vi accennerò, ma credo che nel nostro paese, escludendo gli altri, per limite di tempo, spazio e conoscenza, si stia diffondendo una sindrome da protagonismo latente, pronto a palesarsi ad ogni occasione di ribalta mediatica.
Credo infatti, proprio come lo si fa da bambini, quando delusi dalla propria squadra di calcio si passa repentinamente a quella più forte, quella che ha vinto lo scudetto, per sentirsi parte di quel gioco universale che è la vita. Così poi s’agisce da adulti con le scelte fondamentali della vita.
L’Italia, si sa, è da sempre stata un paese di faziosi, che acriticamente hanno sostenuto e difeso, a spada tratta, tanto la squadra del cuore come il partito preso, ma è la scelta che è emblematica, l’appoggiare sempre il più forte è quello che ci caratterizza, quello che ti darà quella soddisfazione in più che la quotidianità ci viene a togliere con violenza.
Così, come tre quarti della penisola tifa Juventus, Inter e Milan, che si spartiscono ad anni, più o meno alterni, scudetti, coppe e mercato, così accade per la politica, che non è quella dell’affezione, del dialogo critico, dei programmi e della sacrosanta ideologia, ma della tigre cavalcata, quella del più forte o che vuol sembrar tale.
La smania partecipativa dell’italiano medio, lo conduce al voler esser partecipe a tutti i costi, anche se sfornito del giusto bagaglio culturale e morale, questi si immette in tenzoni politiche, con tecniche ben apprese nei programmi televisivi nazionali, in verità più da bar dello sport che da scuola politica, sciorinando le affettate frasi e gli insipidi pensieri ascoltati la sera prima a «Porta a porta» o giù di lì, e che gli daranno la piacevole sensazione d’esser protagonista di un pensiero unico. Sia ben chiaro, talvolta ciò ha anche un aspetto positivo, e basilare, ovvero quello della partecipazione democratica che è il principio fondamentale della nostra Repubblica, ma allo stesso tempo credo che taluni eccessi abbiano frenato il nostro senso critico, privandolo di una solida obiettività.
Il poi votare passivamente, senza conoscere i programmi dei nostri candidati, senza averli mai ascoltati o letti, senza talvolta sapere neanche chi fossero costoro, e seguendo quell’originalissimo italico sesto senso che permette prontamente di individuare il giusto referente politico e buttarsi là dove tira il vento o l’opportunità, caratterizza amaramente il nostro stato di democrazia immatura.
Siamo quindi ufficiosamente un popolo di cattolici ma non ci scandalizziamo che i nostri candidati facciano voli pindarici con la morale, ci lamentiamo delle angherie che ogni giorno subiamo e della mancanza di giustizia ma poi votiamo chi se ne sottrae continuamente. Probabilmente, scegliamo, chi più c’assomiglia, altrimenti non si spiegherebbe tanta incoerenza.
Sarà la familista e matriarcale struttura della nostra società che giustifica tutto quel che i propri figli compiono, e li si pone, in verità con poco amore, al di sopra di tutto e di tutti, ma forse, e tutte le mamme mi perdonino, il presenzialismo nostrano ha buona ragion d’essere in quest’educazione, visceralmente esclusivista, e impartita entro le mura domestiche dello stivale.

2 commenti:

  1. Gostei. Concordo, inclusive por que já conversáramos sobre este assunto.

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  2. Estou disputando uma luta epistolar com um personagem da direita que contestou-me o mesmo artigo que publiquei tambem no jornal onde escrevo.

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