Ci sono almeno tre tipi di ambientalista: il buono, il brutto e il cattivo!
Il Cattivo
È quello istituzionalizzato, quello che appartiene alle
grandi associazioni nazionali, quelle corazzate e intangibili che, forti delle
centinaia di migliaia di iscritti e dalle solide basi politiche, puntano più al
globale che al locale. Quelle che parlano di ecomafie ma senza fare nomi e
cognomi, e che puntano tutto sulle scuole, sulle giornate ecologiche, sulla
stampa accondiscendente e sulle reti sociali per giustificare la loro talvolta
inutile esistenza e il loro essere fini a se stesse.
Il brutto
Poi c’è
l’ambientalista fondamentalista, quello che vede il male dappertutto anche là
dove non ce n’è. Vede complotti ovunque e si indigna per tutto tranne che per
le cause concrete del male che vorrebbe combattere. Anche in questo caso, in
maniera meno organizzata, più spontanea e occasionale, quest’invasato guarda
sempre il dito e mai la luna, perché così anche a lui conviene. Nel momento
poi, in cui sbatte la testa contro la dura realtà, decide si tirarsi indietro,
per ricomparire alla prossima occasione di visibilità o in qualche tornata
elettorale.
Il buono
Infine vorrei citare
l’ambientalista vero, ammesso che ce ne siano ancora, o che ce ne siano
veramente stati in questo paese. Non quello politicizzato, non quello fanatico
ma quello che studia o, quantomeno, conosce molto bene la realtà di cui parla.
Forse è l’unico che frequenta il territorio e dal quale generalmente proviene,
conosce la realtà globale, spesso collegata con la sua, ma prende di petto
quella locale e lo fa a suo rischio e pericolo.
A quest’ultima categoria, loro malgrado, appartengono anche quei
martiri e quegli eroi che saranno opportunamente sfruttati dalle due precedenti,
quelle che brilleranno della loro luce riflessa portando avanti un nome o un
logo all’antitesi della loro missione.
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