lunedì 21 febbraio 2011
Riflessioni sui tempi che corrono
Fin dove ci si può arrampicare sugli specchi pur di non ammettere l’errore di una scelta? Fin quando ci si vorrà far del male prima di ammettere l’eccesso di ipocrisia o, nel migliore dei casi, un eccesso di fiducia nei confronti di chi da anni ha mostrato di non meritarne?
Queste mie parole potrebbero essere chiaramente fraintese e viste in un ottica partigiana, il che è plausibile, anch’io ho un’opinione politica e potrei essere influenzato dall’ideologia che la supporta, ma non posso far a meno di chiedermi ancora quale possa essere il limite della decenza e, soprattutto, fin dove possa andare l’interesse personale di chi sostiene ancora il nostro presidente del consiglio e la sua scellerata corsa verso l’autoesaltazione.
Gli eroi cadono tutti prima o poi e, come diceva una canzone dei miei tempi, quando cadono lo fanno anche in fretta, portando con sé tutto l’apparato che ne ha permesso la nascita e la sussistenza. Sarà forse anche per questo che le varie componenti politiche dell’attuale maggioranza (e non solo!) maturano scelte di campo dall’effimera durata e dalla fatua impostazione morale. Il timore infatti di esser tirati giù nell’affondamento della barca ma anche quello di restar fuori dall’agone politico e da tutto quel che ne scaturisce segna la loro strada e la loro caratura, in precedenza rapportata solo al capolista della lista elettorale. Nel frattempo, l’osceno va in onda, tanto da non renderlo più tale, tanto da trovarlo perfino giustificabile. L’apparato è poi tanto e tale da non permettere confronto e dubbio alcuno, tranne se non bollato di faziosità e comunismo a oltranza, è la morte del dubbio.
Orbene, mi vien d’uopo un’osservazione, se un padre di famiglia, un imprenditore, un docente, un qualsiasi membro della società civile si adoperasse in atteggiamenti tali da suscitare lo scandalo e il pubblico ludibrio, costoro sarebbero tacciati delle più invereconde critiche, sberleffi e rimostranze, senza talvolta ottenere neanche il diritto di replica. Continuo quindi a chiedermi le ragioni di tanta ostinazione nel sostenere un uomo che dalla sua “scesa in campo” ha dato scandalo e infangato il buon nome dell’Italia all’estero. Sembra, a furor di TG, che il primo ministro sia inciampato in questi inconvenienti giudiziari così per caso ma in realtà, il Nostro, è in attesa di giudizio e ne è passibile di altri quattro che lo attendono al varco. In passato è stato addirittura condannato e solo la prescrizione gli ha evitato l’applicazione di una sentenza definitiva in ben tre processi. L’amnistia gli ha poi bloccato un processo in fase istruttoria e uno per falso in bilancio, leggi ad personam e simili sofismi gli hanno precluso il processo per altri quattro procedimenti. Ma tutto ciò non basta, tutta gloria per il cavaliere e chi lo sostiene! È l’invidia che sobilla le nostre scettiche menti, è il comunismo internazionale a minare la coscienza del giudice e infangare l’immagine del made in Italy all’estero, attraverso una stampa corrotta e prezzolata. Ma io non mi rassegno e cerco appiglio al passato, vorrei infatti ricordare la vicenda del Presidente della Repubblica Giovanni Leone che rassegnò le dimissioni dalla massima carica dello stato per una questione giudiziaria che lo lambiva appena quella dello scandalo Lockheed. Ricordo pure l’esempio, relativamente più recente e riguardante l’allora ministro dei lavori pubblici, Antonio Di Pietro che, accusato di corruzione si dimise anch’egli e si fece prosciogliere in tutti è dieci i processi ai quali fu sottoposto, altri uomini, altri tempi, altro stile, soprattutto nei confronti di un qualcuno che in beffa delle altrui balbuzie, all’ammissione della propria innocenza e quella della propria serenità, si è sempre sottratto e in tutti i modi possibili e immaginabili al giudizio dei magistrati. Se fosse realmente sereno e soprattutto innocente auspicherebbe un rapido ed equo giudizio, non il suo continuo rimando alle calende greche, cosa che a mio modesto parere è già di per sé una prova di colpevolezza. Del resto con l’apparato mediatico che si ritrova è molto più facile accusare i giudici di parzialità, tranne quando le sentenze sono a suo favore ovvio!
È chiaro che, per uno come me, basterebbe il primo argomento per riconsiderare la guida del paese da una simile precaria e sconveniente figura e questo ammessa e non concessa l’inconsistenza e la paventata parzialità di queste, come tutte le accuse mossegli. A tutto ciò aggiungerei anche la bistrattata questione morale, cosa ormai che sembra esser passata di moda nel bel paese, anche perché la moralità di questo nostro cattolicissimo luogo sembra essere scomparsa in favore di un garantismo a senso unico e rigurgitata in favore di un machismo che sopravvive dai più retrivi anni della nostra storia patria. Ma se si son fatte campagne elettorali sulla morale, e sulla morale tutta cristiana, fatta di chiesa, casa e famiglia e che a tutt’oggi la si usa a vessillo e se ne fa ancora sfoggio davanti agli ammiccamenti di un tutt’altro che disinteressato Vaticano, perché ora si taccia di moralisti quelli che come l’opposizione, non fanno altro che sfruttare al meglio e di rimbalzo il passo falso fatto dal Premier?
Continuando poi sul filo del privato, l’aspetto del caso Ruby è tutt’altro che estetico o moralistico ma affonda infatti la sua realtà nei reati assai più reali, gravi e rilevanti della concussione e dello sfruttamento della prostituzione minorile. Ma tutto questo sarà senz’altro frutto di una macchinazione del centro-sinistra e delle accanite “toghe rosse”.
Stessa origine avrà avuto quella delle critiche verso l’atteggiamento italiano per i fatti del Nordafrica; anche qui si giustificano gli atteggiamenti dei rais africani così come di quelli nostrani, con una real politik, anche in questi casi, a corrente alternata; si giustificando così gli show di Gheddafi nella nostra capitale con le ricche commesse estere nel “bel suol d’amore”. Dove poi si sottolineano, giustamente, le infrazioni dei diritti umani e civili in Iran, si sorvola purtroppo su quelli lesi in Tunisia, Algeria, Egitto e Libia. Tutte isole felici fino a qualche mese fa, anzi, nel caso tunisino ed egiziano se ne enfatizzavano talvolta i connotati democratici, un po’ come accadeva per la Romania di Ceausescu durante la guerra fredda, falsa immagine di isola felice, utile solo ai commerci di poche e ben consolidate oligarchie. L’attuale panorama poi, con buona pace della nostra diplomazia, è gestito da un ministro degli esteri che non trova di meglio che pensare alle presunte implicazioni del presidente della camera in quel di una Santa Lucia più lontana e avulsa che mai. Eppure gli interessi economici esistevano già sull’altra sponda del mare nostrum, anche mentre il capo della diplomazia spulciava tra le carte dell’isola caraibica, eppure c’era da immaginarseli quegli sbarchi a Lampedusa ma poté più la ragione privata sulla ragion di stato. Ecco che ora, il TG 1, non fa altro che ricordarci le famose commesse delle ditte italiane che andrebbero a farsi friggere per la causa della democrazia libica, dimenticando però gli indennizzi per la guerra coloniale che abbiam pagato noi, quelli che, né direttamente, né indirettamente, riscuoteranno i dividendi delle società appaltatrici di cotante imprescindibili commesse. Perché non se n’è interessati a tempo debito? E perché non ci si preoccupa anche dei migliaia di lavoratori delle fabbriche che chiudono e chiuderanno in questo paese e che andranno a spasso come quelli della scuola e della pubblica amministrazione per i tagli attuati da questo governo? E se tutto ciò non bastasse quanto valore si vuol dare alla vita e alla libertà di quelle genti africane?
La faziosità del nostro paese è proverbiale e io potrei esserne uno dei suoi fautori ma sono anche persona che si pone domande e vorrei risposte, ma risposte concrete e non certo faziose come potrebbero sembrare i miei quesiti.
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