domenica 27 febbraio 2011
Ghiaccio vesuviano
Non sapevo se pubblicare quest'ultima foto, mi sembrava di entrare in un campo non mio, di profanare l'altrui intimità. Se l'ho fotografata, non è comunque stato per morbosità ma l'ho fatto con quel rispetto che si da anche alle immagine sacre, propio per immortalare la sacralità di un momento, come quello in cui, camminando lungo la cresta dei Cognoli, incotro con la storia, a me sconosciuta, di persone che come me amavano e amano questi luoghi. E' probabile che pubblicando quest'immagine non faccia altro che fare la stessa cosa che, i fratelli di Cosimo, erano intenzionati a fare, fermare lì la sua immagine, prolungarne il ricordo, prolungarne la vita. Scopo non dissimile da queste mie parole, da questo mio blog. Grazie
venerdì 25 febbraio 2011
lunedì 21 febbraio 2011
Riflessioni sui tempi che corrono
Fin dove ci si può arrampicare sugli specchi pur di non ammettere l’errore di una scelta? Fin quando ci si vorrà far del male prima di ammettere l’eccesso di ipocrisia o, nel migliore dei casi, un eccesso di fiducia nei confronti di chi da anni ha mostrato di non meritarne?
Queste mie parole potrebbero essere chiaramente fraintese e viste in un ottica partigiana, il che è plausibile, anch’io ho un’opinione politica e potrei essere influenzato dall’ideologia che la supporta, ma non posso far a meno di chiedermi ancora quale possa essere il limite della decenza e, soprattutto, fin dove possa andare l’interesse personale di chi sostiene ancora il nostro presidente del consiglio e la sua scellerata corsa verso l’autoesaltazione.
Gli eroi cadono tutti prima o poi e, come diceva una canzone dei miei tempi, quando cadono lo fanno anche in fretta, portando con sé tutto l’apparato che ne ha permesso la nascita e la sussistenza. Sarà forse anche per questo che le varie componenti politiche dell’attuale maggioranza (e non solo!) maturano scelte di campo dall’effimera durata e dalla fatua impostazione morale. Il timore infatti di esser tirati giù nell’affondamento della barca ma anche quello di restar fuori dall’agone politico e da tutto quel che ne scaturisce segna la loro strada e la loro caratura, in precedenza rapportata solo al capolista della lista elettorale. Nel frattempo, l’osceno va in onda, tanto da non renderlo più tale, tanto da trovarlo perfino giustificabile. L’apparato è poi tanto e tale da non permettere confronto e dubbio alcuno, tranne se non bollato di faziosità e comunismo a oltranza, è la morte del dubbio.
Orbene, mi vien d’uopo un’osservazione, se un padre di famiglia, un imprenditore, un docente, un qualsiasi membro della società civile si adoperasse in atteggiamenti tali da suscitare lo scandalo e il pubblico ludibrio, costoro sarebbero tacciati delle più invereconde critiche, sberleffi e rimostranze, senza talvolta ottenere neanche il diritto di replica. Continuo quindi a chiedermi le ragioni di tanta ostinazione nel sostenere un uomo che dalla sua “scesa in campo” ha dato scandalo e infangato il buon nome dell’Italia all’estero. Sembra, a furor di TG, che il primo ministro sia inciampato in questi inconvenienti giudiziari così per caso ma in realtà, il Nostro, è in attesa di giudizio e ne è passibile di altri quattro che lo attendono al varco. In passato è stato addirittura condannato e solo la prescrizione gli ha evitato l’applicazione di una sentenza definitiva in ben tre processi. L’amnistia gli ha poi bloccato un processo in fase istruttoria e uno per falso in bilancio, leggi ad personam e simili sofismi gli hanno precluso il processo per altri quattro procedimenti. Ma tutto ciò non basta, tutta gloria per il cavaliere e chi lo sostiene! È l’invidia che sobilla le nostre scettiche menti, è il comunismo internazionale a minare la coscienza del giudice e infangare l’immagine del made in Italy all’estero, attraverso una stampa corrotta e prezzolata. Ma io non mi rassegno e cerco appiglio al passato, vorrei infatti ricordare la vicenda del Presidente della Repubblica Giovanni Leone che rassegnò le dimissioni dalla massima carica dello stato per una questione giudiziaria che lo lambiva appena quella dello scandalo Lockheed. Ricordo pure l’esempio, relativamente più recente e riguardante l’allora ministro dei lavori pubblici, Antonio Di Pietro che, accusato di corruzione si dimise anch’egli e si fece prosciogliere in tutti è dieci i processi ai quali fu sottoposto, altri uomini, altri tempi, altro stile, soprattutto nei confronti di un qualcuno che in beffa delle altrui balbuzie, all’ammissione della propria innocenza e quella della propria serenità, si è sempre sottratto e in tutti i modi possibili e immaginabili al giudizio dei magistrati. Se fosse realmente sereno e soprattutto innocente auspicherebbe un rapido ed equo giudizio, non il suo continuo rimando alle calende greche, cosa che a mio modesto parere è già di per sé una prova di colpevolezza. Del resto con l’apparato mediatico che si ritrova è molto più facile accusare i giudici di parzialità, tranne quando le sentenze sono a suo favore ovvio!
È chiaro che, per uno come me, basterebbe il primo argomento per riconsiderare la guida del paese da una simile precaria e sconveniente figura e questo ammessa e non concessa l’inconsistenza e la paventata parzialità di queste, come tutte le accuse mossegli. A tutto ciò aggiungerei anche la bistrattata questione morale, cosa ormai che sembra esser passata di moda nel bel paese, anche perché la moralità di questo nostro cattolicissimo luogo sembra essere scomparsa in favore di un garantismo a senso unico e rigurgitata in favore di un machismo che sopravvive dai più retrivi anni della nostra storia patria. Ma se si son fatte campagne elettorali sulla morale, e sulla morale tutta cristiana, fatta di chiesa, casa e famiglia e che a tutt’oggi la si usa a vessillo e se ne fa ancora sfoggio davanti agli ammiccamenti di un tutt’altro che disinteressato Vaticano, perché ora si taccia di moralisti quelli che come l’opposizione, non fanno altro che sfruttare al meglio e di rimbalzo il passo falso fatto dal Premier?
Continuando poi sul filo del privato, l’aspetto del caso Ruby è tutt’altro che estetico o moralistico ma affonda infatti la sua realtà nei reati assai più reali, gravi e rilevanti della concussione e dello sfruttamento della prostituzione minorile. Ma tutto questo sarà senz’altro frutto di una macchinazione del centro-sinistra e delle accanite “toghe rosse”.
Stessa origine avrà avuto quella delle critiche verso l’atteggiamento italiano per i fatti del Nordafrica; anche qui si giustificano gli atteggiamenti dei rais africani così come di quelli nostrani, con una real politik, anche in questi casi, a corrente alternata; si giustificando così gli show di Gheddafi nella nostra capitale con le ricche commesse estere nel “bel suol d’amore”. Dove poi si sottolineano, giustamente, le infrazioni dei diritti umani e civili in Iran, si sorvola purtroppo su quelli lesi in Tunisia, Algeria, Egitto e Libia. Tutte isole felici fino a qualche mese fa, anzi, nel caso tunisino ed egiziano se ne enfatizzavano talvolta i connotati democratici, un po’ come accadeva per la Romania di Ceausescu durante la guerra fredda, falsa immagine di isola felice, utile solo ai commerci di poche e ben consolidate oligarchie. L’attuale panorama poi, con buona pace della nostra diplomazia, è gestito da un ministro degli esteri che non trova di meglio che pensare alle presunte implicazioni del presidente della camera in quel di una Santa Lucia più lontana e avulsa che mai. Eppure gli interessi economici esistevano già sull’altra sponda del mare nostrum, anche mentre il capo della diplomazia spulciava tra le carte dell’isola caraibica, eppure c’era da immaginarseli quegli sbarchi a Lampedusa ma poté più la ragione privata sulla ragion di stato. Ecco che ora, il TG 1, non fa altro che ricordarci le famose commesse delle ditte italiane che andrebbero a farsi friggere per la causa della democrazia libica, dimenticando però gli indennizzi per la guerra coloniale che abbiam pagato noi, quelli che, né direttamente, né indirettamente, riscuoteranno i dividendi delle società appaltatrici di cotante imprescindibili commesse. Perché non se n’è interessati a tempo debito? E perché non ci si preoccupa anche dei migliaia di lavoratori delle fabbriche che chiudono e chiuderanno in questo paese e che andranno a spasso come quelli della scuola e della pubblica amministrazione per i tagli attuati da questo governo? E se tutto ciò non bastasse quanto valore si vuol dare alla vita e alla libertà di quelle genti africane?
La faziosità del nostro paese è proverbiale e io potrei esserne uno dei suoi fautori ma sono anche persona che si pone domande e vorrei risposte, ma risposte concrete e non certo faziose come potrebbero sembrare i miei quesiti.
lunedì 14 febbraio 2011
Genio Materno
«Esiste nelle estreme e più lucenti terre del Sud un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione, un genio materno d'illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. Se solo un attimo quella difesa si allentasse, se le voci dolci e fredde della ragione umana potessero penetrare quella natura, essa ne rimarrebbe fulminata».
Anna Maria Ortese da: Il mare non bagna Napoli
domenica 6 febbraio 2011
Monte Orso
IL MIO MATESE
La mia esperienza matesina ha radici nella mia infanzia, quando si cercava ancora nella neve quel fascino esotico che s’intravvedeva solo in televisione. Molte famiglie napoletane, così come la mia, vedevano in quei luoghi, ancora integri e a portata di mano, un che di incontaminato ma non solo dal punto di vista naturalistico ma anche e soprattutto dal versante umano. Si ricevevano infatti doni che altrimenti e altrove si sarebbero interpretati diversamente, con diffidenza, con malizia.
Questo è stato invece il dono più bello che il Matese, il mio Matese, quello del versante Campano, m’ha dato, il valore dell’uomo, il rispetto, l’ascolto e se non l’amicizia, quell’innata simpatia che spinge queste genti montane ad aprirsi al prossimo, senza remora alcuna. Un sorriso e un saluto, come quello del caro Silverio, pastore delle Secine, che ti rimanda al prossimo incontro, dove magari chissà ci capiremo meglio e saremo più vicini.
Nel 1983, dopo anni di tocca e fuga, la mia famiglia decide di investire nel massiccio i suoi risparmi, per trovare un luogo alternativo alla caotica e frustrante vita cittadina. Acquistammo, come molti, un grezzo che ristrutturammo e che tutt’ora abitiamo quand’è possibile, cerchiamo di assorbire quelle sensazioni autentiche che solo questi luoghi possono darci e che sanno riscattarci da una dura settimana lavorativa.
Non sempre chi è venuto qui ha però meritato l’amicizia di chi ci vive e non sempre si è istaurata una gioviale convivenza, perché spesso si è giunti qui con la spocchia di chi la sa lunga e che credeva di trovare in questi luoghi degli incolti, pronti ad esser sfruttati o esser presi per i fondelli. Me lo ricordano le amare parole di Stolu, artista dalla faccia vissuta, dall’impenetrabile corteccia. Un uomo che nonostante le sue vicissitudini, a prescindere dalle delusioni che il prossimo gli ha lanciato, persevera a credere in chi gli sta davanti. Un po’ dappertutto, trovo le sue sculture, sul Matese come a Napoli, prese per pochi soldi o a “poi ti pagherò”, ma lui non riesce a esser differente da quello che in animo suo è, una persona tutto sommato buona che vuole comunicare e lo fa con la sua arte, spontanea e diretta come il Matese.
Il mio ricordo più bello ce l’ho di Aldo, che adesso non c’è più. Andato via veramente troppo presto e che nonostante tutto ha voluto lasciare un qualcosa che segnasse il suo passaggio in queste terre aspre, e che, come lui custodivano tesori inestimabili. A Letino c’è una piazza adibita a belvedere e a punto d’incontro, qui una lapide accoglie i visitatori e ricorda tutti coloro che con Aldo, fortissimamente la vollero.
Spesso prima di arrivare a casa mi fermo al bar per salutare Concetta, la mamma di Aldo, giunonica signora d’altri tempi che mi accoglie sempre col sorriso sulle labbra, un sorriso a volte amaro ma prezioso bene da centellinare a chi le ricorda il figlio. Al bar “Che Guevara”, dove prima m’incontravo con piacere con Aldo si discuteva di calcio e su una delle più acerrime rivalità degli anni passati, quella tra Napoli e del Milan di cui lui era gran tifoso, e si scommettevano gagliardetti e si scherzava, perché comunque, per noi, il calcio era solo un gioco. Una volta gli chiesi come mai cotanto nome al suo bar, lui mi rispose che un giorno passò di lì un anziano napoletano che gli raccontò la sua avventura sulla Sierra Maestra al seguito di Ernesto Guevara de la Serna. Ne trasse un’ispirazione che non dispiacque e nello spirito rivoluzionario non alieno tra quei monti, così lo battezzò. Ciao Aldo!
Un altro caro ricordo va a Carlo e Giulia coloro che mi introdussero in un’esperienza più consapevole della montagna, grazie a loro ho potuto interpretare la storia millenaria di quei luoghi e capire che il tutto, quell’insieme perfetto di ambiente umano e naturale, non poteva essere scisso e che assieme alla sua carica persistente, a tutt’oggi ne esaltava l’essenza. Giulia mi avvicinò a una natura che fino ad allora potevo solo ammirare ma senza riconoscere, Carlo ha fatto e seguita a fare di me un escursionista attento e consapevole. Poi vengono tutti gli altri compagni d’avventura, di sigari e bevute, compagni dell’avvenire.
Oggi, alquanto maturo, padre e marito da sopportare, insegnante soddisfatto e giornalista tanto in erba da essere imboscato, continuo a frequentare questi monti che sento sempre più miei, cerco di farlo in maniera responsabile, cercando di infondere in mio figlio la stessa passione che lì mi guida con costanza. Non è facile, le distrazioni di questo mondo sono tante e le sirene pure, ma io ci provo. Del resto non si sa mai, l’importante è seminare perché sul Matese si sa, i fiori quando crescono sono meravigliosi.
Le foto e i testi sono di Ciro Teodonno, nell'eventuale uso, si prega di menzionare l'autore.
La mia esperienza matesina ha radici nella mia infanzia, quando si cercava ancora nella neve quel fascino esotico che s’intravvedeva solo in televisione. Molte famiglie napoletane, così come la mia, vedevano in quei luoghi, ancora integri e a portata di mano, un che di incontaminato ma non solo dal punto di vista naturalistico ma anche e soprattutto dal versante umano. Si ricevevano infatti doni che altrimenti e altrove si sarebbero interpretati diversamente, con diffidenza, con malizia.
Questo è stato invece il dono più bello che il Matese, il mio Matese, quello del versante Campano, m’ha dato, il valore dell’uomo, il rispetto, l’ascolto e se non l’amicizia, quell’innata simpatia che spinge queste genti montane ad aprirsi al prossimo, senza remora alcuna. Un sorriso e un saluto, come quello del caro Silverio, pastore delle Secine, che ti rimanda al prossimo incontro, dove magari chissà ci capiremo meglio e saremo più vicini.
Nel 1983, dopo anni di tocca e fuga, la mia famiglia decide di investire nel massiccio i suoi risparmi, per trovare un luogo alternativo alla caotica e frustrante vita cittadina. Acquistammo, come molti, un grezzo che ristrutturammo e che tutt’ora abitiamo quand’è possibile, cerchiamo di assorbire quelle sensazioni autentiche che solo questi luoghi possono darci e che sanno riscattarci da una dura settimana lavorativa.
Non sempre chi è venuto qui ha però meritato l’amicizia di chi ci vive e non sempre si è istaurata una gioviale convivenza, perché spesso si è giunti qui con la spocchia di chi la sa lunga e che credeva di trovare in questi luoghi degli incolti, pronti ad esser sfruttati o esser presi per i fondelli. Me lo ricordano le amare parole di Stolu, artista dalla faccia vissuta, dall’impenetrabile corteccia. Un uomo che nonostante le sue vicissitudini, a prescindere dalle delusioni che il prossimo gli ha lanciato, persevera a credere in chi gli sta davanti. Un po’ dappertutto, trovo le sue sculture, sul Matese come a Napoli, prese per pochi soldi o a “poi ti pagherò”, ma lui non riesce a esser differente da quello che in animo suo è, una persona tutto sommato buona che vuole comunicare e lo fa con la sua arte, spontanea e diretta come il Matese.
Il mio ricordo più bello ce l’ho di Aldo, che adesso non c’è più. Andato via veramente troppo presto e che nonostante tutto ha voluto lasciare un qualcosa che segnasse il suo passaggio in queste terre aspre, e che, come lui custodivano tesori inestimabili. A Letino c’è una piazza adibita a belvedere e a punto d’incontro, qui una lapide accoglie i visitatori e ricorda tutti coloro che con Aldo, fortissimamente la vollero.
Spesso prima di arrivare a casa mi fermo al bar per salutare Concetta, la mamma di Aldo, giunonica signora d’altri tempi che mi accoglie sempre col sorriso sulle labbra, un sorriso a volte amaro ma prezioso bene da centellinare a chi le ricorda il figlio. Al bar “Che Guevara”, dove prima m’incontravo con piacere con Aldo si discuteva di calcio e su una delle più acerrime rivalità degli anni passati, quella tra Napoli e del Milan di cui lui era gran tifoso, e si scommettevano gagliardetti e si scherzava, perché comunque, per noi, il calcio era solo un gioco. Una volta gli chiesi come mai cotanto nome al suo bar, lui mi rispose che un giorno passò di lì un anziano napoletano che gli raccontò la sua avventura sulla Sierra Maestra al seguito di Ernesto Guevara de la Serna. Ne trasse un’ispirazione che non dispiacque e nello spirito rivoluzionario non alieno tra quei monti, così lo battezzò. Ciao Aldo!
Un altro caro ricordo va a Carlo e Giulia coloro che mi introdussero in un’esperienza più consapevole della montagna, grazie a loro ho potuto interpretare la storia millenaria di quei luoghi e capire che il tutto, quell’insieme perfetto di ambiente umano e naturale, non poteva essere scisso e che assieme alla sua carica persistente, a tutt’oggi ne esaltava l’essenza. Giulia mi avvicinò a una natura che fino ad allora potevo solo ammirare ma senza riconoscere, Carlo ha fatto e seguita a fare di me un escursionista attento e consapevole. Poi vengono tutti gli altri compagni d’avventura, di sigari e bevute, compagni dell’avvenire.
Oggi, alquanto maturo, padre e marito da sopportare, insegnante soddisfatto e giornalista tanto in erba da essere imboscato, continuo a frequentare questi monti che sento sempre più miei, cerco di farlo in maniera responsabile, cercando di infondere in mio figlio la stessa passione che lì mi guida con costanza. Non è facile, le distrazioni di questo mondo sono tante e le sirene pure, ma io ci provo. Del resto non si sa mai, l’importante è seminare perché sul Matese si sa, i fiori quando crescono sono meravigliosi.
Le foto e i testi sono di Ciro Teodonno, nell'eventuale uso, si prega di menzionare l'autore.
sabato 5 febbraio 2011
EREMO
Vagare per le nostre terre ha talvolta l’apparenza di un viaggio in un mondo devastato. E non mi riferisco solo agli abusi edilizi che meriterebbero ben altro spazio e trattati di sociologia in salsa vesuviana. Faccio riferimento invece a molte di quelle antiche vestigia che resistono ancora nei nostri panorami urbani. I profili delle nostre città accolgono infatti, inglobati a mo’ di ameba, vecchi caseggiati, antiche masserie, blasonate dimore nobiliari, fuse nel tessuto cittadino. Modificate e adattate alle necessità non sempre nobili dei nuovi proprietari, perdono quel contatto con un passato che fungeva a monito e ricordo di quel che eravamo.
Sabato scorso passeggiando lungo le pendici del mio Vulcano, assorto in pensieri e chiacchiere estemporanee, raggiungevo la zona dell’osservatorio, decido di entrare, in compagnia di un amico, attraverso il varco spalancato dell’Hotel Eremo. In verità quella struttura m’aveva sempre interessato, si erge questa alta, austera ed essenziale sotto Colle Umberto, il duomo lavico che protegge l’Osservatorio Vesuviano e la limitrofa cappella del Salvatore, antico ex voto degli appestati.
L’eremo riesco a vederlo fin da casa mia, lì giù, ai confini con San Giorgio. Una roccaforte gialla che risplende al tramonto, un monumento alla gloria passata e alla miseria contemporanea. L’hotel fu fatto costruire nel 1902 da John Mason Cook, audace imprenditore inglese che ideò e attuò la linea ferroviaria mista che congiungeva Napoli al Vesuvio. Prima ancora, e forse da questo il nome, v’era una locanda addossata alla chiesetta, dove, un discutibile eremita cucinava omelette e offriva Lacryma Christi ai turisti del Grand Tour.
Oggi, attraversare quel cancello arrugginito dà l’idea di entrare in una di quelle case della cinematografia dell’orrore, dove t’aspetti di trovare chiunque e magari con cattive intenzioni e accetta alla mano. In effetti, andando per quegli ambienti spogli, lerci e imbrattati da un incomprensibile vandalismo, si riscontrano un gran numero di lumini da cimitero, la qual cosa ti fa subito pensare a quei riti satanici che tanto piacciono alla televisione e a chi non sa come occupare il tempo e le emozioni. Scherzando col mio compagno di viaggio immaginiamo di veder spuntare da un momento all’altro, dietro un battente sconnesso, il riso sardonico di un allucinato Jack Nicholson Vesuviano; ai piani alti però, illuminati da un sole tutt’altro che orrido, sembriamo invece immetterci in uno di quei vetusti saloni da ballo cubani, dal coloniale ricordo di antichi splendori.
La violenza di chi non può mitigare altrimenti le sue frustrazioni ha purtroppo fatto a tiro a segno con le finestre, ha scardinato porte, bruciato suppellettili, divelto piastrelle ma la struttura mantiene ancora la sua vetusta dignità, collocata su un panorama unico e affascinante. Mi raccontano che prima della sua chiusura, l’hotel era punto d’incontro di coppie d’amore clandestino o ancor più, mercenario. Eppure oggi svetta lì, sulla collina del Salvatore, con un suo Cristo di gesso ad ammonire severamente il malcostume locale.
Il suo ultimo proprietario sembra sia stato un commendator Mario Paudice, che ha detta di Mario De Gregorio, “il re del Vesuvio”, rifiutò di vendere il complesso ad acquirenti della risma di un Berlusconi, consegnando all’oblio e a ragazzotti in cerca di esoteriche emozioni, quell’antico e nobile edificio. Le ultime notizie ci riportano allo scorso agosto, data in cui si è annunciata la possibile trasformazione del luogo in “un ostello per i giovani e, paritempo, anche sede di ritiri spirituali nazionali e internazionali”.
È certo questo un bene, dargli nuova vita e dignità, in luogo che di sicuro ne merita altrettanta ma sarà realmente vivibile e frequentabile in mezzo a tutti quei ripetitori e trasformatori che lo circondano?
Le foto e i testi sono di Ciro Teodonno, nell'eventuale uso, si prega di menzionare l'autore
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