giovedì 3 settembre 2009

“La scuola non è un ammortizzatore sociale”


“La scuola non è un ammortizzatore sociale”. Con questa frase si liquida, con disprezzo e superficialità, la questione del precariato scolastico, da buona parte dei rappresentanti di governo o da chi ne intesse le trame attraverso gli organi di stampa e quelli televisivi. Non si sa quanto ignari di ridurre, a un motto di sette parole, la vita di migliaia di persone e trattare l’argomento con ottusa banalità.
A questo punto sarebbe opportuno chiedersi, in base a simili affermazioni, se la nostra nazione abbia ancora uno stato sociale, e anche, se le pubbliche selezioni abbiano ancora un valore legale, altrimenti non si spiegherebbero tali insulse dichiarazioni, reiterate da un’informazione partigiana e da un elettorato intorpidito nel pensiero e nella coscienza.
Analiticamente come sostanzialmente, in questa frase non sussistono né logica né quanto meno opportunità, non ha alcun fondamento, per i seguenti motivi:
il primo, perché, se esiste un precariato nella scuola lo si deve ai governi che si sono succeduti, in primis quello attuale, che non hanno investito a fondo quanto dovevano nel mondo della scuola. Inoltre va specificato che tutti coloro che hanno superato un concorso e qualsiasi altra pubblica selezione, riconosciuta dalle leggi della Repubblica, hanno tutto il diritto di esser precari, o meglio, hanno tutto il diritto di sperare, di ottenere ciò che gli spetta per merito e che lo stato non è stato capace di offrire per sua negligenza.
La possibilità di permanere in quelle liste che gli permetteranno di raggiungere un posto di lavoro, degno di questo nome, sarà un limbo non un premio per chi invece dovrebbe accedere per via diretta a posti di lavoro che esistono, e che non vengono portati a ruolo per batter cassa, lasciati alla mercé anche del più fortunato o del più ammanigliato, nella sempiterna lotta tra poveri.
In seconda istanza lo Stato dovrebbe garantire a chiunque fosse tagliato fuori, suo malgrado, dall’attività lavorativa tutta una serie di misure tali da favorirne il nuovo inserimento e la sussistenza nel periodo di contingenza, ma, mentre persiste questa situazione, ci si impegna ad inviare l’esercito a sedare il disordine internazionale, perché è di una grande nazione l’obbligo di dare il suo contributo all’”ordine” mondiale, dimenticando che lo è ancor più la cura dei propri affari interni.
Sembra inverosimile l’atteggiamento che si oppone ai precari come quelli di Napoli e Benevento, che si accalcano per far valere i propri diritti fuori le porte dell’ufficio scolastico provinciale, tenuti a bada come delinquenti da polizia e carabinieri.
Sembra quasi irrisoria la tendenza a sorvolare con poche, miserrime battute, sull’atteggiamento di chi è costretto a umiliarsi e portare all’estremo, con azioni plateali, la propria disperazione. La reazione di chi normalmente ama stare tra i banchi di scuola a dialogare con i ragazzi e dare il meglio per la crescita di questo paese, e che si vede invece negare la sua attività professionale, in base al pregiudizio e il luogo comune, è vista come un atto improprio e ingiustificato. Ci si chiede se costoro non siano da considerare quali cittadini italiani, se questi non vadano relegati anch’essi nel computo dei disoccupati. Mettere tanta gente per strada non arricchirà certo il paese e lo si sta facendo con estrema disinvoltura.
Perché mai, quando a salire sul lastrico sono stati gli operai delle fabbriche li si è accompagnati, anche se con lo spirito, al successo delle loro iniziative e quando invece a farlo sono gli insegnanti li si guarda con lo sdegno e la sufficienza che si rivolge a un mendicante?
Si è calcolato che nei prossimi anni ci sarà nella scuola una perdita tra le 25.000 e le 35.000 unità a causa dei provvedimenti intrapresi dal governo (fonte CGIL), cifre da Termini Imerese e Pomigliano D’Arco (circa 22.000 posti a rischio tra diretto e indotto nei due poli industriali meridionali), ma quando fu messa in discussione la priorità delle industrie automobilistiche, si mobilitò l’Italia intera, come era giusto fare, e come ci si aspetterebbe si facesse adesso nei confronti di coloro che saranno penalizzati dai tagli nella scuola.
Andrebbe, questo se non bastasse, capita la frustrazione di chi, padri, madri, giovani che vogliono crearsi una famiglia, dopo anni di studio e attesa, con uno stipendio di poco superiore ai 1.000 € al mese, vede definitivamente cadere, non solo l’ipotesi di un miglioramento futuro, verso quel ruolo che gli avrebbe potuto dare nuovi diritti e la sicurezza di un lavoro stabile, ma addirittura l’eventualità di rimanere disoccupato per i drastici provvedimenti che hanno rivoluzionato lo scenario scolastico nazionale.

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