mercoledì 26 agosto 2009

Caster Semenya contro Michael Phelps


Secondo qualcuno la Caster Semenya è un uomo, per molti, il suo aspetto e i suoi risultati sportivi hanno poco del gentil sesso. Il suo corpo androgino però, i suoi muscoli ipertrofici lasciano ad intendere, a mio giudizio, qualcosa in più delle sedute in palestra e le ore d’allenamento sulla pista. Quel qualcosa che potrebbe essere legata all’uso di anabolizzanti e sostanze dopanti.
Detto questo, l’atleta sudafricana potrà anche essere, fino a prova contraria, un uomo sotto mentite spoglie ma il suo caso suscita in me alcuni dubbi di carattere più generale.
Infatti sin da ragazzo, quando esistevano ancora i paesi del patto di Varsavia, si additavano gli atleti provenienti da est come coloro che, quando vincevano, lo facevano falsando i risultati con sostanze che ne favorivano le prestazioni agonistiche.
Si sa, all’epoca eravamo in piena guerra fredda, c’era la volontà propagandistica di dimostrare la superiorità del sistema sovietico rispetto a quello capitalistico occidentale, e il patto atlantico non gli era da meno, e mi chiedo se poi tutto il marcio, allora come oggi, stesse solo da quel lato del globo terracqueo e non ne fossimo stati intaccati anche noi al di qua dei Carpazi.
Ovviamente, oggi, il problema non è più meramente politico, e anche i nostri atleti sono stati beccati nell’uso di sostanze vietate, e purtroppo in quasi tutti gli sport. Questo è un male che minaccia di svilire i sacrosanti principi dello sport e della sana competizione, in virtù di uno spettacolo portato agli eccessi più dagli interessi degli onnipotenti sponsor che dal naturale evolversi delle prestazioni sportive.

Un qualcosa di sottile e subdolo si evidenzia però nel caso dell’atleta africana, infatti non credo che sia essa l’unica a mostrare caratteri, non propriamente muliebri, ma sembra che la federazione internazionale dell’atletica e l’opinione pubblica si siano accorti solo delle sue eventuali anomalie. Che sia il suo aspetto da ragazzaccio, senza quei vezzi tutti femminili che spesso molte atlete si concedono, ma temo che l’attenzione ricaduta sulla stranita ragazza di villaggio sia dovuta più alla discriminazione verso il poco blasonato e influente paese africano.

Alle olimpiadi di Los Angeles nel 1984 Carl Lewis preconizzò i suoi quattro ori nelle quattro finali disputate, ma allora, probabilmente dovuto all’assenza di tutto il blocco sovietico, nessuno dubitò sulla genuinità di quell’impresa e ne esaltò l’immagine vincente che offriva degli States. Solo anni più tardi, e per stessa ammissione dell’emulo di Jesse Owens, si parlò dell’uso di efedrina e simili sostanze proibite.
Alle ultime olimpiadi di Pechino, Michael Phelps, o chi per lui dichiarò l’intenzione di battere il record di vittorie olimpiche del connazionale Max Spitz, quello di vincere otto finali, e così fece. Nessuno ha però osato pensare che i due americani fossero nella loro baldanza, anche il frutto di un qualcosa di più artificiale e non legato soltanto ai loro muscoli e al loro cervello di competitori, o del vincente sistemaa stelle e strisce.
Si sa, il Sud Africa è un paese relativamente giovane, che s’affaccia a piccoli passi e non senza difficoltà sul panorama internazionale, e non ha certo l’influenza di paesi come gli Stati Uniti da opporre alle critiche internazionali. Ma se fossimo tutti un po’ più critici e non usassimo a senso unico il nostro scetticismo, ne guadagneremmo qualcosa di buono anche noi, per prima cosa la perdita di quella sudditanza culturale verso chi e più potente di noi.

Per il resto ai posteri l’ardua sentenza.

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