La negazione del
vulcano.
Da vesuviano rimango interdetto davanti allo stupore e alle
rimostranze dei puteolani per i disagi dovuti al bradisismo. Per carità, tutto
il rispetto per i timori di quei cittadini ma, da persona che ci vive sotto a
un vulcano, ho imparato a conviverci, rendendomi anche conto che forse, il
pericolo maggiore per la mia esistenza, non è tanto la terra con i suoi
sussulti ma l'assurda azione dei miei consimili sul territorio. Del resto il
bradisismo, nei Campi Flegrei, non è una novità; negli ultimi decenni, di
crisi, anche più gravi come quelle degli anni 70 e 80 del secolo scorso, ce ne
sono state, perché quindi non si è corso ai ripari prima? Perché oggi si
reagisce come se questo fosse un qualcosa di nuovo e inusitato? Forse prima c'era
meno consapevolezza di oggi? Meno conoscenza scientifica e tecnica? Non saprei
ma ho la forte impressione che, nonostante tutto, ci sia, da parte dei
cittadini delle nostre terre arse e, per certi versi anche da parte anche delle
autorità che ci governano, una sorta di negazione del vulcano, la negazione
della sua stessa esistenza, questo almeno fin quando la terra non si fa sentire.
La fumarola
Un esempio interessante di tale negazione potrebbe essere
quello della fumarola di San Sebastiano al Vesuvio, chi ci arriva oggi, all'apice
di via Panoramica Fellapane, e provasse ad allungare la mano tra i santini e i “pagellini” messi là dalla pietas popolare, potrà
sentire il calore di Madre Terra e, con le giuste condizioni meteo, la si potrà
vedere anche "fumare"; trattasi infatti di vapore acqueo, acqua che
penetra in profondità ed evapora al contatto con gli strati ignei che si
trovano nelle viscere del complesso vulcanico Somma-Vesuvio.
Che quella di via Panoramica Fellapane sia una Fumarola,
esistono attestazioni scientifiche, in primis quella del professor Giuseppe Luongo
che me lo confermò in una mia intervista di tanti anni fa [1] e lo scrisse pure in una pubblicazione “Due giorni al Vesuvio”
(Ed. Parco Nazionale del Vesuvio, 2025, pagg. 25-26). Anche il geochimico
Stefano Caliro in una mia richiesta via e-mail mi rispose, in riferimento alla
fumarola, asserendo che non trattavasi di evento scaturito da attività
antropica. Perché dico questo, perché esiste un storia molto popolare in questa
zona che vorrebbe quella fumarola essere in realtà uno "sfiato" della
non molto lontana discarica dell'Ammendola e Formisano. Anche alcuni vulcanologi
afferenti all'INGV sostengono questa tesi, in netta contrapposizione con i
suddetti scienziati dell'ateneo federiciano. Sta di fatto però che la discarica
è stata dismessa già nel 1991 e quindi, ammesso e non concesso, in 34 anni i biogas
e gli altri miasmi dei terreni sarebbero più che esauriti mentre la fumarola
esiste ancora.
L'impressione è quindi quella della negazione di un fenomeno
vulcanico, come appunto quello della fumarola, tra l'altro presente in area
vesuviana anche ad altitudini simili a quella di San Sebastiano (400 m.slm.
c.ca) come a San Vito di Ercolano. Si ha dunque la forte impressione che si
preferisca vedere più la discarica dismessa che il vulcano attivo, sì perché un
vulcano, con la sua imprevedibilità, con le sue conseguenze per una possibile
eruzione in un'area tra le più densamente popolare d'Europa, fa indubbiamente più
paura. E allora, cosa si preferisce fare? Lo si annulla con tutti i suoi
promemoria geologici e si continua a costruire come se non ci fosse un domani.
Sì, esiste una parte del mondo scientifico che pare contemplare la tesi della
discarica e la questione pare essere troppo di lana caprina per metterci una
parola definitiva ma l'evidenza dei fatti e la persistenza di una voce
contrapposta lascia quantomeno il beneficio del dubbio e il fatto stesso che
una parte cospicua della società civile, quella più incline alla speculazione
edilizia, sposi questa tesi, è oltremodo significativo.
Ad ogni modo il Vulcano e la discarica stanno sempre là,
senza che nessuno abbia fatto qualcosa si serio per affrontare entrambe le
problematiche.
“L’ospedale del male”
Un altro esempio di negazione del vulcano è quello
dell'Ospedale del mare, costruito ai tempi in cui la sua struttura rientrava
stranamente in zona gialla, erano tempi in cui la zonizzazione per il rischio
vulcanico seguiva i confini amministrativi e non quelli geologici, con
aberrazioni che vanno oltre i limiti della logica e della decenza, come ad
esempio la città di Pompei, a 12 km dal cratere, in zona rossa e, l'Ospedale
del mare ad 8 km e in zona gialla; oppure l’enclave gialla di Pomigliano D’Arco,
circondata dalla zona rossa di Sant’Anastasia. Ovviamente oggi, tale ospedale
persiste, come era immaginabile, in zona rossa, le cose sono cambiate, i limiti
amministrativi sono stati sostituiti dalla linea Gurioli [2] e l'ospedale, ormai costruito, non lo si abbatte di certo
perché sta in zona rossa e probabilmente ce n'era comunque bisogno. Una causa
di forza maggiore quindi, che abbatte e seppellisce il buon senso e l'ipocrisia
delle passate amministrazioni che, nel nome di quel nosocomio e nel suo stesso
logo hanno completamente annullato l'immagine del Vesuvio, molto più presente e
iconico di un mare che, se non distante, di certo da lì non lo si vede.
Il Vulcano buono
Un ultimo esempio che mi sovviene è un altro tipo di
vulcano, il Vulcano buono di Renzo Piano, quello che accoglie l’omonimo centro
commerciale nel nolano; ora mi va più che bene che si elevino luoghi
generalmente anonimi come i centri commerciali a esempio di grande architettura
ma perché chiamarlo buono, perché contrapporre le sue forme stilizzate a quelle
naturali del Vesuvio che si vede in lontananza? E chi dovrebbe essere poi
quello cattivo, il nostro Vulcano? Ecco, anche in questo caso c’è la negazione
insita in quell’antitetico aggettivo, un buono che non può sussistere là dove
esiste il triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano [3] perché vi hanno scaricato tonnellate di rifiuti pericolosi che
devono scomparire dall’immaginario collettivo, grazie alla bontà illusoria di
un insano consumismo.
Le parole non si mettono a caso perché le parole non hanno
solo un significato ma anche una forza, un potere evocativo come quello delle
immagini ma spesso, dietro di queste esiste un mondo che sta a noi scoprirlo,
oppure restare a guardare.
[1] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.vesuvionews.it/notizie/wp-content/uploads/2018/12/ciro.pdf