sabato 8 marzo 2025

La negazione del vulcano

 


La negazione del vulcano.

Da vesuviano rimango interdetto davanti allo stupore e alle rimostranze dei puteolani per i disagi dovuti al bradisismo. Per carità, tutto il rispetto per i timori di quei cittadini ma, da persona che ci vive sotto a un vulcano, ho imparato a conviverci, rendendomi anche conto che forse, il pericolo maggiore per la mia esistenza, non è tanto la terra con i suoi sussulti ma l'assurda azione dei miei consimili sul territorio. Del resto il bradisismo, nei Campi Flegrei, non è una novità; negli ultimi decenni, di crisi, anche più gravi come quelle degli anni 70 e 80 del secolo scorso, ce ne sono state, perché quindi non si è corso ai ripari prima? Perché oggi si reagisce come se questo fosse un qualcosa di nuovo e inusitato? Forse prima c'era meno consapevolezza di oggi? Meno conoscenza scientifica e tecnica? Non saprei ma ho la forte impressione che, nonostante tutto, ci sia, da parte dei cittadini delle nostre terre arse e, per certi versi anche da parte anche delle autorità che ci governano, una sorta di negazione del vulcano, la negazione della sua stessa esistenza, questo almeno fin quando la terra non si fa sentire.

La fumarola 

Un esempio interessante di tale negazione potrebbe essere quello della fumarola di San Sebastiano al Vesuvio, chi ci arriva oggi, all'apice di via Panoramica Fellapane, e provasse ad allungare la mano tra i santini e i “pagellini messi là dalla pietas popolare, potrà sentire il calore di Madre Terra e, con le giuste condizioni meteo, la si potrà vedere anche "fumare"; trattasi infatti di vapore acqueo, acqua che penetra in profondità ed evapora al contatto con gli strati ignei che si trovano nelle viscere del complesso vulcanico Somma-Vesuvio.

Che quella di via Panoramica Fellapane sia una Fumarola, esistono attestazioni scientifiche, in primis quella del professor Giuseppe Luongo che me lo confermò in una mia intervista di tanti anni fa [1] e lo scrisse pure in una pubblicazione “Due giorni al Vesuvio” (Ed. Parco Nazionale del Vesuvio, 2025, pagg. 25-26). Anche il geochimico Stefano Caliro in una mia richiesta via e-mail mi rispose, in riferimento alla fumarola, asserendo che non trattavasi di evento scaturito da attività antropica. Perché dico questo, perché esiste un storia molto popolare in questa zona che vorrebbe quella fumarola essere in realtà uno "sfiato" della non molto lontana discarica dell'Ammendola e Formisano. Anche alcuni vulcanologi afferenti all'INGV sostengono questa tesi, in netta contrapposizione con i suddetti scienziati dell'ateneo federiciano. Sta di fatto però che la discarica è stata dismessa già nel 1991 e quindi, ammesso e non concesso, in 34 anni i biogas e gli altri miasmi dei terreni sarebbero più che esauriti mentre la fumarola esiste ancora.

L'impressione è quindi quella della negazione di un fenomeno vulcanico, come appunto quello della fumarola, tra l'altro presente in area vesuviana anche ad altitudini simili a quella di San Sebastiano (400 m.slm. c.ca) come a San Vito di Ercolano. Si ha dunque la forte impressione che si preferisca vedere più la discarica dismessa che il vulcano attivo, sì perché un vulcano, con la sua imprevedibilità, con le sue conseguenze per una possibile eruzione in un'area tra le più densamente popolare d'Europa, fa indubbiamente più paura. E allora, cosa si preferisce fare? Lo si annulla con tutti i suoi promemoria geologici e si continua a costruire come se non ci fosse un domani. Sì, esiste una parte del mondo scientifico che pare contemplare la tesi della discarica e la questione pare essere troppo di lana caprina per metterci una parola definitiva ma l'evidenza dei fatti e la persistenza di una voce contrapposta lascia quantomeno il beneficio del dubbio e il fatto stesso che una parte cospicua della società civile, quella più incline alla speculazione edilizia, sposi questa tesi, è oltremodo significativo.

Ad ogni modo il Vulcano e la discarica stanno sempre là, senza che nessuno abbia fatto qualcosa si serio per affrontare entrambe le problematiche.

“L’ospedale del male”

Un altro esempio di negazione del vulcano è quello dell'Ospedale del mare, costruito ai tempi in cui la sua struttura rientrava stranamente in zona gialla, erano tempi in cui la zonizzazione per il rischio vulcanico seguiva i confini amministrativi e non quelli geologici, con aberrazioni che vanno oltre i limiti della logica e della decenza, come ad esempio la città di Pompei, a 12 km dal cratere, in zona rossa e, l'Ospedale del mare ad 8 km e in zona gialla; oppure l’enclave gialla di Pomigliano D’Arco, circondata dalla zona rossa di Sant’Anastasia. Ovviamente oggi, tale ospedale persiste, come era immaginabile, in zona rossa, le cose sono cambiate, i limiti amministrativi sono stati sostituiti dalla linea Gurioli [2] e l'ospedale, ormai costruito, non lo si abbatte di certo perché sta in zona rossa e probabilmente ce n'era comunque bisogno. Una causa di forza maggiore quindi, che abbatte e seppellisce il buon senso e l'ipocrisia delle passate amministrazioni che, nel nome di quel nosocomio e nel suo stesso logo hanno completamente annullato l'immagine del Vesuvio, molto più presente e iconico di un mare che, se non distante, di certo da lì non lo si vede.

Il Vulcano buono

Un ultimo esempio che mi sovviene è un altro tipo di vulcano, il Vulcano buono di Renzo Piano, quello che accoglie l’omonimo centro commerciale nel nolano; ora mi va più che bene che si elevino luoghi generalmente anonimi come i centri commerciali a esempio di grande architettura ma perché chiamarlo buono, perché contrapporre le sue forme stilizzate a quelle naturali del Vesuvio che si vede in lontananza? E chi dovrebbe essere poi quello cattivo, il nostro Vulcano? Ecco, anche in questo caso c’è la negazione insita in quell’antitetico aggettivo, un buono che non può sussistere là dove esiste il triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano [3] perché vi hanno scaricato tonnellate di rifiuti pericolosi che devono scomparire dall’immaginario collettivo, grazie alla bontà illusoria di un insano consumismo.

Le parole non si mettono a caso perché le parole non hanno solo un significato ma anche una forza, un potere evocativo come quello delle immagini ma spesso, dietro di queste esiste un mondo che sta a noi scoprirlo, oppure restare a guardare.

[1] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.vesuvionews.it/notizie/wp-content/uploads/2018/12/ciro.pdf

[2] https://www.ilmediano.com/Il-bluff-della-zona-rossa/

[3] https://www.ilmediano.com/Rifiuti-tossici-a-Vulcano-Buono-presentata-interrogazione-parlamentare/#google_vignette

mercoledì 5 marzo 2025

Donne

 


“Negli occhi hanno gli aeroplani Per volare ad alta quota Dove si respira l'aria E la vita non è vuota Le vedi camminare insieme Nella pioggia o sotto il sole Dentro pomeriggi opachi Senza gioia ne dolore”

 Ascolto un annuncio sulla rete radio nazionale, relativo all’8 marzo. Il quel breve resoconto di tutto ciò che dovrebbe essere una donna in contrapposizione a quello che è stato, ed ahimè continua ad esserlo ancora, ci sono elementi che non possono che indurmi a fare alcune riflessioni a riguardo.

Uso l’esempio di un annuncio, su ciò che ancora può essere considerato un mezzo di comunicazione di massa, per ragionare sulla visione della donna su questi canali, in particolar modo su quelli televisivi, e non faccio riferimento solo alla visione sessista delle nostre pubblicità, tanto discriminatoria dall’esser considerato normale vendere un prodotto qualsiasi assieme al corpo femminile o una parte di esso, ma mi riferisco agli stessi programmi dei palinsesti, statali o privati che siano. In particolar modo quelli che, con una certa enfasi parlano alla pancia degli spettatori come quelli “sportivi”, ma anche molti di quelli considerati informativi, dove la professionista, la giornalista, non deve essere semplicemente professionale, ma ancor di più deve essere bella e, ancor meglio se appariscente. La giornalista deve in pratica cacciar fuori tutta la sua mercanzia e non tutta la sua cultura, che poi se supportata da lauree, formazione, esperienza lavorativa, etc. poco conta, è un corollario alle sue forme e meglio ancora se opulente.

Questo è quanto riguarda il mercato del corpo della donna ma che dire della visione ancor più subdola di quella dell’angelo del focolare? Non sembra che nelle pubblicità attuali ci sia una grande differenza tra gli anni 50 ed oggi, anche perché, da allora, anche la nostra società, pare che non si sia mossa più di tanto. Sì, ci capita di vedere immagini di padri in tutù, vestiti da fatina dei denti, in stile statunitense, uomini che incominciano a cambiare pannolini ma chi si occupa della colazione, del pranzo e della cena, ma anche dello spuntino e della merenda? È e sempre lei, la mamma, la donna, e questo, i pubblicitari lo sanno molto bene, anche meglio di noi.

Sia ben chiaro, da maschietto non disdegno il grande mistero della femminilità, il faro che per ognuno di noi costituisce la presenza di una donna nella nostra vita, ma, immaginando che sia specularmente lo stesso per l’altra metà del cielo, non dimentico che lei è, sopra ogni altra cosa, persona. Non corpo, non madre, non moglie, non sorella ma persona, soggetto libero di agire e pensare da sola e senza condizionamenti altrui.

 I femminicidi, la non accettazione che una persona, in quanto tale, non possa liberamente non voler più vivere con il proprio partner maschile, nasce anche da questo tragico fraintendimento, quello del ruolo ma soprattutto quello della proprietà che l’uno vorrebbe esercitare sull’altra, la cosificazione della persona femminile. “Tu mi appartieni” spesso si sente dire, ma al di là del passionale romanticismo che, se detto così per dire, per affascinare la propria ragazza, ci starebbe pure, spesso lascia purtroppo ad intendere un annullamento di questa, un oggetto che appartiene a noi maschi e non appunto verso una persona con tutti i suoi diritti ma soprattutto una persona nella sua essenza, che è ben altra cosa. Riflettiamoci quindi, quanto il mondo che abbiamo attorno a noi influenza questa maniera di pensare e purtroppo di agire. Quanto gli esempi mostrati in televisione, al cinema (per chi ci va ancora) ma soprattutto in quel mare magnum che è la rete, influenzano, oltre al nostro sostrato socio-familiare, le nostre scelte di maschi, la nostra sessualità, i nostri sentimenti.

 Ho la forte impressione che la donna stessa, figlia di millenni di sudditanza culturale, abbia assorbito parte di quello stesso maschilismo che l’opprime e quindi, se il suo corpo viene venduto, questo viene giustificato dal fatto che il corpo femminile sia più bello di quello maschile e che, se sulla sua persona pendono ancora le scelte familiari è perché la donna è madre. In questi due andanti, una sorta di contentino per la negazione della propria personalità, si intravedono ancora quei bastioni del luogo comune che andrebbero superati assieme per un'equa condivisione delle parti e dei ruoli nella famiglia, nella società e nel mondo.

Ecco, anche se pian pianino ci stiamo avvicinando a questa semplice ma recondita questione, credo che il vero ragionamento per l’8 marzo dovrebbe essere questo, per evitare che anche questa, come anche altre celebrazioni, diventino uno sterile evento commerciale, riducendo, oltre che il corpo, anche la dignità di una donna ad un qualcosa di mercificato. #8marzo #donna #paritàdigenere

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