Vesuvio,
i giorni di fuoco.
Col
senno di poi leggi si può fare molto ma con la coscienza
che quel molto non avrà altra udienza che quella di chi vuol realmente capire
una questione e non da chi ne è stato soltanto emotivamente coinvolto o che la
segue con partigiana euforia. Parlare del più grande incendio del Vesuvio dal
1944 ad oggi, dall’ultima eruzione ad oggi, non lo si può fare se non con
un’analisi approfondita e possibilmente dettagliata dei fatti che l’hanno
preceduto e che, al netto del sensazionalismo, mezze verità e bufale, l’hanno
caratterizzato e che si sono susseguiti dal 5 luglio 2017 ad oggi.
Sì,
lo spartiacque di questo disastro può essere considerato proprio il 5 luglio
scorso allorquando, da via Vesuvio ad Ercolano, si innescava, ad opera di
ignoti, il più grande dei focolai che hanno caratterizzato il gigantesco rogo
vesuviano. Non dobbiamo confondere però i roghi dei rifiuti con quello che è
accaduto nei boschi del PNV poiché pur essendo due fenomeni frequenti nel
parco, hanno cause e responsabilità spesso diverse e mai come nel luglio 2017
questo è stato più tangibile. Ci sono di certo stati incendi dolosi nelle
discariche e in area parco ma non hanno scatenato l’incendio boschivo come
molti hanno asserito con sospetta e acritica insistenza o quanto meno non è
stata la causa unica della distruzione di ettari di bosco a tratti
incontaminato.
Non
che in precedenza non fossero mancate le avvisaglie a tale disastro, sarebbe
bastato tener conto di quanto successo un anno prima, nel luglio 2016, quando
un vasto incendio distrusse il versante meridionale del Vulcano, lambendo ad oriente
ed occidente le sue pendici. Arsero quell’estate gran parte delle pinete di
Terzigno, San Giuseppe ed altri comuni limitrofi. Sarebbe bastato, quello che
allora consideravamo il più grande incendio dal dopoguerra ad oggi, come monito,
sarebbe bastato il monito delle associazioni, ma sbagliavamo, non valutando
quanto è risaputo, ovvero che al peggio non c’è mai limite.
Infatti,
nonostante ciò, anche durante l’anno solare intercorso tra i due grandi
incendi, c’erano state altre avvisaglie di minore intensità ma indicative di
quanto potesse accadere nel Parco Nazionale del Vesuvio e il disastro al quale
si andava in contro, come ad esempio gli incendi del 30 marzo 2017 leggi
a poco tempo dalla neve e nel versante più umido del complesso vulcanico
Somma/Vesuvio.
Dopo
i tanti eventi di piccolo conto ad Ottaviano, Torre de Greco ed Ercolano
arriviamo all’11 giugno, quando incomincia ufficialmente la stagione 2017 dei
roghi dei rifiuti che andrà di pari passo con quelli dei boschi e per buona
parte dei mesi di giugno e luglio e talvolta, come nel caso di Cava Fiengo ad
Ercolano, divenendo il punto di partenza di un incendio di vaste proporzioni e
che lambirà il versante pedemontano del Parco, danneggiando alcuni vigneti tra
il comune degli scavi e San Sebastiano. Leggi,
leggi,
leggi,
leggi,
leggi. Nonostante altri
roghi, sempre in area Parco e sempre in quel di Ercolano, la situazione viene
presa sottogamba e considerata come un evento stagionale e passeggero. Leggi,
leggi.
Va
sottolineato che il contesto maggiormente soggetto ai roghi annuali, quello
delle Lave Novelle, tra Ercolano e San Sebastiano a Vesuvio, zona di vecchie
cave di pietra lavica, adibite col tempo a discariche, autorizzate o abusive, è
oggetto continuo, soprattutto durante la stagione estiva, di roghi dolosi di
rifiuti, gli stessi ivi depositati durante l’anno. Pratica conosciuta da tutti
ma mai realmente affrontata dalle autorità competenti e questo nonostante le segnalazioni
e le denunce da parte dei cittadini e dei comitati che operano in zona da anni.
Affrontarla significherebbe sconvolgere l’intera economia sommersa radicata sul
territorio e perciò non c’è telecamera e drone che tenga.
Neanche
il tempo di archiviare il grande rogo di cava Fiengo e di Via Vesuvio ad
Ercolano che ne scoppia un altro a Somma Vesuviana leggi,
leggi
e stiamo ancora a giugno! Ma il là alla distruzione del Parco Nazionale del
Vesuvio, viene dato mercoledì 5 luglio, dai margini sporchi della
frequentatissima via Vesuvio là dove come consuetudine l’amministrazione locale
organizza le sue sterili giornate ecologiche leggi;
qui parte un incendio che lambisce pericolosamente un ristorante leggi ma, alimentato
dalla siccità e dal forte vento, si diffonde a monte, senza ostacolo che regga
e solo apparentemente estinto a fine giornata leggi.
Il giorno dopo un altro focolaio scoppia nella parte alta di via Viuli, sempre
ad Ercolano leggi,
così come in maniera minore in via Ruggiero a Torre del Greco. Nonostante le
condizioni meteo favorissero il diffondersi del fuoco, una siccità di almeno
quattro mesi e un sottobosco lasciato a se stesso, nulla si muove per prevenire
il disastro oramai annunciato, fatta esclusione per le operazioni di
antincendio attivo operate dalla PC di Ercolano e i presidi attuati dai VVF.
In
effetti, tra sabato 8 e domenica 9 luglio, si rileva solo la presenza dei
Vigili del Fuoco a presidio di abitazioni e luoghi sensibili presso il Colle
del Salvatore, la protezione civile di Ercolano e due mezzi della SMA (altri
due moduli andranno in avaria durante le operazioni di spegnimento) operano
invece nella riserva del Tirone, arginando quello che sembra ancora un evento
di media portata, evidentemente il ricordo del luglio 2016 è già svanito da
tempo. Inoltre, il blocco temporaneo del transito per via San Vito e Via
Vesuvio (uniche vie d’accesso alle zone interessate dal fuoco) e l’aver
dirottato parte dei volontari della PC sul tragitto del “Giro d’Italia Rosa”,
risulta indicativo della coscienza di quanto stesse accadendo in quei frangenti
leggi, leggi, leggi,
leggi.
In quei giorni il sindaco di Ercolano, e vice presidente del PNV, si trovava
negli USA, pare per impegni pregressi e non poté fare di meglio che auspicare
una maggiore presenza dell’esercito, che tra l’altro niente ha potuto per i
roghi scoppiati in via della Barcaiola e in via Focone il 17 luglio, là dove
già stanziavano come supporto alle Forze dell’ordine. A tal proposito sarebbe
stato opportuno usare le forze armate in operazioni di antincendio, come accade
altri paesi come la Spagna, invece di rappresentare il semplice spauracchio
dell’inadempienza amministrativa e la pratica assenza di forze di terra che
contrastassero le fiamme, ma, dagli USA la vista è ovviamente ancora più miope.
Il
disastro diviene ormai chiaro mercoledì 12 luglio leggi,
a una settimana dall’inizio del grande incendio boschivo e con le fiamme che
arrivano fino alle case a Torre del Greco, tra Capella Nuova e Via Resina
Nuova, con l’inferno ormai scatenato e che non terminerà fin quando non ci sarà
più bosco da bruciare. Solo in quel contesto si insedia finalmente, in località
la “Siesta” ad Ercolano a quota 400 m.slm, nella confusione più totale, un DOS
(Direttore Operazioni di Spegnimento). In quel contesto sopraggiungono, a dar
man forte ai VVF e SMA, unità della PC di tutta la regione ed alcuni volontari,
tra cui il sottoscritto, ma la conoscenza del territorio da parte della
maggioranza degli intervenuti è scarsa se non nulla e mancano addirittura le
carte topografiche per orientarsi leggi.
L’incendio
è oramai diffuso su più versanti, Terzigno, San Giuseppe, Trecase, Torre del
Greco, Ottaviano e Somma Vesuviana, così come si diffonde la confusione e la
disinformazione che, tra i presunti piromani venuti dal Beneventano, i gatti
kamikaze leggi,
leggi,
leggi,
leggi
il
sempreverde sub pescato dal Canadair e i roghi tossici messi là dove non avrebbero
potuto mai esserci, confonde le idee più di quanto già non lo fossero prima e
chissà che tutto ciò non convenisse già a qualcuno. In serata le fiamme
raggiungono da Ercolano anche il Monte Somma, sia dall’Atrio del Cavallo, sia
da San Vito, muovendosi, a causa del forte vento, con una velocità
impressionante tra le ginestre e gli arbusti della colata lavica del ’44, il
bosco del Molaro e raggiungendo in nottata addirittura i Cognoli di Giacca e di
Pollena leggi.
La notte lo scenario è dantesco, la valle dell’inferno arde illuminando il
cielo e l’aria è irrespirabile per il fumo.
Il giorno 15 luglio si ha l’impressione che il
peggio possa essere passato leggi ma
è solo un’illusione passeggera ma soprattutto, ancora una volta, la
sottovalutazione di un fuoco che covava sotto la cenere e che non aspettava
altro che il vento soffiasse nuovamente per alimentarlo, è evidente. Domenica
16 luglio, il vento spingerà le fiamme là dove non era arrivato ancora e
completerà l’opera di distruzione, rialimenterà a Torre del Greco i vecchi
focolai mai spenti di Via Montedoro e di Cappella Bianchini, arrivando fino
alle case e ancora una volta, come era successo presso i Camaldoli della Torre,
per pura buona sorte, senza mietere vittime e procurando solo danni alle
abitazioni leggi.
Le
fiamme dureranno ancora per giorni, toccando duramente una vasta zona del Monte
Somma, da Pollena fino a Somma Vesuviana ed Ottaviano, durando almeno fino al
20 luglio ma, da quando ho incominciato a scrivere questa memoria, dal primo
agosto, mi giungono notizie giornaliere su roghi estemporanei a Torre ed
Ercolano dove a distanza di un mese qualcosa arde ancora.
Questo è quanto, ed
è relativo alla cronaca appassionata di quei giorni ma come spesso accade,
quando esiste un durante, esiste anche un prima e un dopo che aiutano ad
inquadrare meglio la situazione.
Il
nostro prima risale all’immediato post incendio del luglio 2016, quando gli
agguerriti Cittadini per il Parco, incominciano a porsi domande sul cosa avesse
comportato quell’incendio al delicato ecosistema del Parco e quali potessero
essere le conseguenze per quel che riguardava il dissesto idrogeologico ma
soprattutto, cosa stesse facendo il Parco e chi di competenza, per evitare il
ripetersi di tali eventi.
Cittadini
per il Parco è un movimento civico che dal 2011 s’impegna per un dialogo costruttivo
tra la cittadinanza vesuviana, l’Ente Parco e le altre istituzioni ad esso
complementari, come ad esempio la Comunità del Parco (organo statutario e
consultivo che ha come membri i sindaci dei 13 comuni del PNV). Sin da
settembre, le domande dei “Cittadini” cercano risposte, lo fanno prima consultando
gli esperti, che confermano i loro timori per quel che concerne lo stato
precario della pineta e il dissesto idrogeologico, ma non trovano ascolto
alcuno presso l’Ente Parco che ignora sistematicamente le loro istanze e quelle
del “Club Alpino Italiano” che li affianca in queste richieste.
Stiamo,
con questi fatti, al dicembre del 2016, dove oltre alla richiesta di udienza al
presidente dell’Ente, Cittadini per il Parco e CAI organizzano anche un evento
sui luoghi dell’incendio e più precisamente a Terzigno. All’evento partecipano
altre associazioni, oltre al CAI, rappresentato dal sottoscritto, presidente
della “Commissione regionale per la Tutela dell’Ambiente Montano” (TAM), anche la
“Federazione Italiana Escursionismo” (FIE), con il suo presidente nazionale, i
bikers di “Vesuvio Mountain bike”, quelli di “MTB Vesuvio” e una folta
rappresentanza delle “Attività Sportive Confederate” leggi.
Tutte
queste richieste e manifestazioni vengono comunque disattese dall’Ente che, in
barba al suo new deal di apertura al
dialogo, rifiuta, non solo ogni voce critica ma ogni voce a prescindere, che
non sia esclusivamente ludica o autocelebrativa; rispondendo solo
superficialmente, e solo quando sollecitato, a mezzo stampa, ed evitando ogni
confronto costruttivo sull’argomento. La presidenza anteporrà, come farà anche
dopo il disastro del luglio 2017, le carte ai fatti, le sue riunioni con le
parti in causa istituzionali alla mancata protezione del parco e tutto ciò a
dispetto di una realtà di un patrimonio boschivo e naturale praticamente
distrutta leggi.
La presidenza del Parco sosterrà tra l’altro, anche nelle fasi successive
all’incendio, la logica a senso unico del turismo al Gran Cono, spingendo in
tempi rapidi l’apertura delle due vie d’accesso al Cratere, la Strada Provinciale/Comunale
e la Matrone, ponendo ancora una volta in secondo piano la restante
sentieristica e facendo prevalere l’immagine unica di un Parco ridotto solo al
Gran Cono e la logica dello sviluppo su quella della tutela; e quando si parla
di sviluppo economico, sia ben chiaro, parliamo di ricchezza per pochi e
briciole per gli altri ma soprattutto l’abbandono più totale del resto del
parco.
Ed
arriviamo dunque al luglio 2017, risulta evidente che, dopo un evento così
grave come quello del 2016, per nulla imputabile all’attuale presidenza, ma
utile monito a chi assume questo incarico, corri comunque ai ripari e non speri
nella buona sorte, quella che non ti riproponga più lo stesso evento a distanza
di un anno, come invece è avvenuto, ma con l’aggravante di aver sottovalutato,
non solo un problema intrinseco in qualsiasi area protetta ma anche una siccità
che non si ricordava in quest’ultimo decennio. Ciò nonostante, l’Ente Parco, ma
anche gli altri organi competenti, quali Regione e Città Metropolitana, fanno
ancora finta di niente, e neanche davanti alle avvisaglie sopra esposte corrono
ai ripari. Anzi la delega all’Anti Incendio Boschivo (AIB) di competenza
dell’Assessorato all’Agricoltura e Foreste, passa, a maggio, alla vigilia della
stagione degli incendi e delle attività AIB, alla Protezione Civile regionale,
con improvvida solerzia e in assenza del benché minimo barlume di buon senso.
In
tal modo, la PC, si trova impreparata a dover gestire, oltre al più grande incendio
vesuviano mai avvenuto negli ultimi settantatré anni, anche una situazione
regionale aggravata da un contesto meteo avverso e probabilmente con le
medesime situazioni di disorganizzazione. Inoltre la Regione non stipula
nessuna convenzione per le operazioni di prevenzione e lotta attiva agli
incendi boschivi con i Vigili del Fuoco che si limiteranno alle sopra elencate
azioni di contenimento (vedi
file word). Pare ovvio che alla luce di tutto ciò la PC, per quanto
fosse sembrata impreparata, ha probabilmente retto, meglio di quanto potesse
fare, la situazione e in un contesto, per quanto prevedibile, effettivamente
senza precedenti.
La
cosa che più offende però, chi, da vesuviano ma anche da conoscitore del
territorio e testimone diretto dei fatti, è quella della caccia all’untore ad
ogni costo prima, e quella dello scaricabarile istituzionale poi, avvenuta durante
l’emergenza e attuata da chi, a questo punto, dovrebbe chiarire quale sia il
suo ruolo istituzionale, se non quello esclusivo di produrre stipendi e
burocrazia. Parliamo ovviamente dell’Ente Parco che in data 8 luglio, sulla
stampa locale, per voce del suo presidente e a soli tre giorni dall’inizio
dell’incendio, liquidava i fatti con testuali parole: “ … è difficile non
supporre che le fiamme siano state appiccate da criminali ambientali intenzionati
a distruggere fauna e flora.” Leggi.
Farà lo stesso più volte sul suo FB istituzionale, debuttando finalmente, dopo
vari post su albicocche e cavalli, in data 9 luglio e in questo modo: “Ringrazio
tutte le donne e gli uomini che stanno rischiando le loro vite per difendere il
Parco dai criminali che hanno appiccato le fiamme.” Il 21 luglio sempre su FB
affermerà: “Se qualcuno ha pensato di fermarci si sbaglia di grosso, andremo
avanti più determinati di prima.” Il 26 luglio però allargherà le presunte
responsabilità anche ad altri, mettendoli sullo stesso piano dei presunti
criminali: “Notizie che qualcuno sta utilizzando per minare la credibilità
dell'Ente, facendo in tal modo il gioco dei criminali che hanno lanciato questo
attacco.” Del resto già in data 14 giugno 2016 aveva già messo le mani avanti
asserendo quanto segue: “I vesuviani purtroppo conoscono il peso asfissiante
della criminalità sullo sviluppo e sulle legittime aspirazioni ad un futuro
migliore. Ma proprio per questo sono convinto sapranno porsi a difesa del
Parco, contro i criminali che vogliono distruggerlo. Contro anche quel piccolo
gruppo di sciacalli che mantiene una posizione ambigua, che vorrebbe mettere
sullo stesso piano di responsabilità i delinquenti che appiccano il fuoco e gli
uomini dello Stato che rischiano la vita per spegnerlo e che vengono accusati
di non fare abbastanza. Questa equidistanza è complice ed intollerabile, ma
sono sicuro che tutte le persone perbene e i tantissimi amici "veri"
del Parco Nazionale del Vesuvio sanno bene da che parte stare.”
Questo
mantra dei criminali e delle ecomafie, diviene un leit motiv ufficiale e ripreso tra l’altro anche dal presidente
della regione Campania, il quale, oltre a ribadire la stipula di una
convenzione con i Vigili del Fuoco (ma solo in data 15 luglio 2017), insiste
sull’azione dolosa ma con la fantasmagorica ragione del gesto criminale attuato
per creare spazio per le discariche, dimenticando però che, per quanto sui
generis, in un parco nazionale come quello del Vesuvio, le discariche non possono
essere create ex novo e, per sua stessa ammissione, gli incendi erano stati
appiccati in zone non raggiungibili leggi.
Seguirà poi anche la chiesa, che, quando non può essere parte attiva,
preferisce allinearsi e che, nelle parole del vescovo
di Acerra, sosterrà anch’essa la tesi del complotto criminale.
Sui
media locali e nazionali si susseguono le notizie del ritrovamento di colpevoli
e di inneschi ma, fino al 28 luglio, non esce ancora fuori il nome del tanto
desiderato capro espiatorio e che altri non sarebbe stato che un poveraccio, un
macellaio di Torre del Greco con lievi precedenti penali, accusato di aver dato
fuoco a sterpaglie fuori casa sua con un accendino. L’ipotesi di reato, e la
conseguente condanna è stata quella di un incendio doloso di 10.000 metri
quadrati di bosco leggi.
I fatti dimostreranno una realtà ben diversa e più complessa di quella narrata
ma ormai il colpevole era stato trovato e per questo salvi tutti, ma pensare
che una sola persona con un accendino potesse scatenare quell’inferno è
improponibile e lo è a maggior ragione se si scopre che la condanna è avvenuta
solo per elementi indiziari e senza nessun elemento probante a suo carico.
Allora perché non anche una cicca di sigaretta, vista la situazione? Perché non
una marmitta catalitica visto lo stato delle strade e dei sentieri? Perché non
i quintali di vetro depositati lungo i margini delle strade che lambiscono e
attraversano il Parco Nazionale del Vesuvio? No! Perché un altro dogma vuole
che non esista l’autocombustione perché non indagare nelle pratiche di pulizia
dei fondi dei contadini o sulle gite fuori porta dei locali? Troppo scomodo,
troppo scontato, poco spettacolare, c’è bisogno della mano criminale per
coprire la nostra ipocrisia.
In
data 15 luglio, a 10 giorni dall’inizio dell’incendio il presunto
incendiario/piromane è accusato di aver dato fuoco ad un’area circoscritta
rispetto agli circa 3.000 ettari andati in fumo durante questo infernale mese
di luglio nel Parco Nazionale, quindi, a rigor di logica, non può esser stato
l’unico ad aver distrutto tutto il Parco, ma evidentemente basta e avanza per
scrollarsi di dosso le responsabilità istituzionali. Anche il 12 luglio, con la
venuta del ministro Galletti, in soccorso di un presidente del Parco sprovvisto
di uomini, mezzi, ma anche di scuse e competenze, si era rivangata ancora una
volta l’ipotesi dell’ecocriminale, ma anche quella del cambiamento climatico,
tutto insomma, fuorché un’assunzione di responsabilità, tutto, fuorché il nome
di un responsabile certo, proprio come accadde l’anno scorso, prima che l’oblio
e il campionato di calcio prendessero il sopravvento sugli italici umori.
Non
vorremmo quindi che, il macellaio di Torre del Greco, divenisse l’unico
colpevole di questa immane distruzione, per salvare le altrui poltrone e le
altrui carriere politiche. L’unica cosa certa, che abbiamo come elemento
probante, è lo stato di incuria dei boschi e della sentieristica del parco e la
mancata prevenzione degli incendi nonché un intervento emergenziale tardivo e
talvolta approssimativo. Lasciamo quindi alla magistratura il suo lavoro perché
al momento, così come per l’incendio del 2016, abbiamo ben poco, non abbiamo il
movente e tanto meno la pistola fumante. L’unico elemento che abbiamo di
certezza è un sottobosco secco, cataste di legna mai raccolte e strade sporche
e assenza di linee spartifuoco tra l’altro previste da una convenzione del 2017
leggi,
tutto carburante che, in maniera colposa o criminale, era lì ad attendere
l’innesco.
A
questo punto però sarebbe opportuno capire quali fossero le responsabilità
dell’Ente Parco, vista la sua posizione relativamente all’AIB, delegata per
legge ai 13 comuni del Parco e di un piano AIB del Parco e di un protocollo con
la SMA praticamente inattuati.
Per
quel che concerne la manutenzione dei comuni delle aree boschive di loro
competenza non ci risulta difficile credere nelle loro inadempienze, appurate
nelle nostre ricognizioni escursionistiche, così come le fantomatiche o
parziali pulizie dei sentieri vesuviani ad opera o direzione del PNV; ma allora
vien da chiederci a cosa serva un Ente Parco se questi deve solo produrre carte
per stare a posto con la legge. Qual è la sua funzione di tutela se poi l’area
che dovrebbe proteggere viene distrutta da fiamme, rifiuti ed incuria? Sì
l’incuria delle strade che lo attraversano, di responsabilità della Città
Metropolitana e dei Comuni ma anche dei sentieri che dovrebbero portare alla scoperta
del parco e che invece, salvo pochi percorsi, da sempre agibili perché carrozzabili,
sono stati puliti solo per pochi tratti e spesso ad opera di volontari.
Ad
ogni modo vogliamo ricordare alla presidenza del parco che, secondo la
normativa vigente, anche il parco ha le sue responsabilità diretta.
“Ad
un livello intermedio fra le attribuzioni dello Stato e quelle delle Regioni,
si collocano le competenze attribuite all’ente parco, come istituzione dotata
tanto di poteri amministrativi, «diretti a impedire o a prevenire che la cura
di ogni altro interesse pubblico (in materia urbanistica, agricoltura, turismo,
ecc.) si svolga in contrasto, o comunque in modo incompatibile, con le finalità
di conservazione e valorizzazione dell’ambiente proprie del parco, quanto di
poteri pianificatori, diretti a favorire lo sviluppo dell’area protetta nella
sua evoluzione storico-naturale e in raccordo col divenire del territorio
circostante» da attuare, ovviamente, con forme di cooperazione con gli organi
regionali.” Pag 9 del doc.
Inoltre
“non
può dubitarsi che la regolamentazione dell’Ente parco… verrà ad interferire con
le potestà costituzionalmente garantite alle Regioni nelle materie del governo
del territorio (nelle quali rientra la difesa del suolo… l’attività di difesa idrogeologica…,
nonché la disciplina urbanistica ed edilizia degli interventi all’interno del
parco), dell’agricoltura, del turismo, della caccia, della pesca” ) Corte cost.,
27 gennaio 2006, n. 21 in Giur. cost., 2006, p. 1.
A
nove 10 mesi dal disastro ed un autunno ed un inverno abbastanza piovosi, l’ente
parco continua a fare convenzioni
e protocolli ma, salvo sporadiche
azioni, frutto del lavoro dei comuni come ad Ottaviano che hanno arginato alla
meno peggio la grossa frana nel bosco lungo il sentiero numero 2, oppure i
soliti volontari delle gare podistiche e ciclistiche che hanno fatto in buona
parte pulizia lungo i tracciati delle competizioni si è rimasti allo stadio
progettuale ed intanto un'altra stagione estiva incombe con tutte le sue
incognite.
Il
risultato di tutto ciò è quello di un parco nazionale, di per sé già fortemente
antropizzato e messo a rischio ed ora semidistrutto dalle fiamme e con il forte
rischio di un dissesto idrogeologico incombente per le piogge autunnali. Una
flora distrutta e una fauna già a rischio che ora potrebbe essere soggetta a un
ulteriore e drastico ridimensionamento. Un parco che pubblicizza ora un
concerto, ora una gara, ora un evento ancora una volta organizzato da altri, come
esorcismo verso il male che vi incombe, ancora operazioni di facciata, mentre
il parco brucia ancora, ed ancora una volta un compito scritto in bella ma
privo di contenuto.
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