venerdì 4 maggio 2018

Vesuvio i giorni di fuoco


Vesuvio, i giorni di fuoco.
Col senno di poi leggi si può fare molto ma con la coscienza che quel molto non avrà altra udienza che quella di chi vuol realmente capire una questione e non da chi ne è stato soltanto emotivamente coinvolto o che la segue con partigiana euforia. Parlare del più grande incendio del Vesuvio dal 1944 ad oggi, dall’ultima eruzione ad oggi, non lo si può fare se non con un’analisi approfondita e possibilmente dettagliata dei fatti che l’hanno preceduto e che, al netto del sensazionalismo, mezze verità e bufale, l’hanno caratterizzato e che si sono susseguiti dal 5 luglio 2017 ad oggi.
Sì, lo spartiacque di questo disastro può essere considerato proprio il 5 luglio scorso allorquando, da via Vesuvio ad Ercolano, si innescava, ad opera di ignoti, il più grande dei focolai che hanno caratterizzato il gigantesco rogo vesuviano. Non dobbiamo confondere però i roghi dei rifiuti con quello che è accaduto nei boschi del PNV poiché pur essendo due fenomeni frequenti nel parco, hanno cause e responsabilità spesso diverse e mai come nel luglio 2017 questo è stato più tangibile. Ci sono di certo stati incendi dolosi nelle discariche e in area parco ma non hanno scatenato l’incendio boschivo come molti hanno asserito con sospetta e acritica insistenza o quanto meno non è stata la causa unica della distruzione di ettari di bosco a tratti incontaminato.
Non che in precedenza non fossero mancate le avvisaglie a tale disastro, sarebbe bastato tener conto di quanto successo un anno prima, nel luglio 2016, quando un vasto incendio distrusse il versante meridionale del Vulcano, lambendo ad oriente ed occidente le sue pendici. Arsero quell’estate gran parte delle pinete di Terzigno, San Giuseppe ed altri comuni limitrofi. Sarebbe bastato, quello che allora consideravamo il più grande incendio dal dopoguerra ad oggi, come monito, sarebbe bastato il monito delle associazioni, ma sbagliavamo, non valutando quanto è risaputo, ovvero che al peggio non c’è mai limite.
Infatti, nonostante ciò, anche durante l’anno solare intercorso tra i due grandi incendi, c’erano state altre avvisaglie di minore intensità ma indicative di quanto potesse accadere nel Parco Nazionale del Vesuvio e il disastro al quale si andava in contro, come ad esempio gli incendi del 30 marzo 2017 leggi a poco tempo dalla neve e nel versante più umido del complesso vulcanico Somma/Vesuvio.
Dopo i tanti eventi di piccolo conto ad Ottaviano, Torre de Greco ed Ercolano arriviamo all’11 giugno, quando incomincia ufficialmente la stagione 2017 dei roghi dei rifiuti che andrà di pari passo con quelli dei boschi e per buona parte dei mesi di giugno e luglio e talvolta, come nel caso di Cava Fiengo ad Ercolano, divenendo il punto di partenza di un incendio di vaste proporzioni e che lambirà il versante pedemontano del Parco, danneggiando alcuni vigneti tra il comune degli scavi e San Sebastiano. Leggi, leggi, leggi, leggi, leggi. Nonostante altri roghi, sempre in area Parco e sempre in quel di Ercolano, la situazione viene presa sottogamba e considerata come un evento stagionale e passeggero. Leggi, leggi.
Va sottolineato che il contesto maggiormente soggetto ai roghi annuali, quello delle Lave Novelle, tra Ercolano e San Sebastiano a Vesuvio, zona di vecchie cave di pietra lavica, adibite col tempo a discariche, autorizzate o abusive, è oggetto continuo, soprattutto durante la stagione estiva, di roghi dolosi di rifiuti, gli stessi ivi depositati durante l’anno. Pratica conosciuta da tutti ma mai realmente affrontata dalle autorità competenti e questo nonostante le segnalazioni e le denunce da parte dei cittadini e dei comitati che operano in zona da anni. Affrontarla significherebbe sconvolgere l’intera economia sommersa radicata sul territorio e perciò non c’è telecamera e drone che tenga.
Neanche il tempo di archiviare il grande rogo di cava Fiengo e di Via Vesuvio ad Ercolano che ne scoppia un altro a Somma Vesuviana leggi, leggi e stiamo ancora a giugno! Ma il là alla distruzione del Parco Nazionale del Vesuvio, viene dato mercoledì 5 luglio, dai margini sporchi della frequentatissima via Vesuvio là dove come consuetudine l’amministrazione locale organizza le sue sterili giornate ecologiche leggi; qui parte un incendio che lambisce pericolosamente un ristorante leggi ma, alimentato dalla siccità e dal forte vento, si diffonde a monte, senza ostacolo che regga e solo apparentemente estinto a fine giornata leggi. Il giorno dopo un altro focolaio scoppia nella parte alta di via Viuli, sempre ad Ercolano leggi, così come in maniera minore in via Ruggiero a Torre del Greco. Nonostante le condizioni meteo favorissero il diffondersi del fuoco, una siccità di almeno quattro mesi e un sottobosco lasciato a se stesso, nulla si muove per prevenire il disastro oramai annunciato, fatta esclusione per le operazioni di antincendio attivo operate dalla PC di Ercolano e i presidi attuati dai VVF.
In effetti, tra sabato 8 e domenica 9 luglio, si rileva solo la presenza dei Vigili del Fuoco a presidio di abitazioni e luoghi sensibili presso il Colle del Salvatore, la protezione civile di Ercolano e due mezzi della SMA (altri due moduli andranno in avaria durante le operazioni di spegnimento) operano invece nella riserva del Tirone, arginando quello che sembra ancora un evento di media portata, evidentemente il ricordo del luglio 2016 è già svanito da tempo. Inoltre, il blocco temporaneo del transito per via San Vito e Via Vesuvio (uniche vie d’accesso alle zone interessate dal fuoco) e l’aver dirottato parte dei volontari della PC sul tragitto del “Giro d’Italia Rosa”, risulta indicativo della coscienza di quanto stesse accadendo in quei frangenti leggi, leggi, leggi, leggi. In quei giorni il sindaco di Ercolano, e vice presidente del PNV, si trovava negli USA, pare per impegni pregressi e non poté fare di meglio che auspicare una maggiore presenza dell’esercito, che tra l’altro niente ha potuto per i roghi scoppiati in via della Barcaiola e in via Focone il 17 luglio, là dove già stanziavano come supporto alle Forze dell’ordine. A tal proposito sarebbe stato opportuno usare le forze armate in operazioni di antincendio, come accade altri paesi come la Spagna, invece di rappresentare il semplice spauracchio dell’inadempienza amministrativa e la pratica assenza di forze di terra che contrastassero le fiamme, ma, dagli USA la vista è ovviamente ancora più miope.
Il disastro diviene ormai chiaro mercoledì 12 luglio leggi, a una settimana dall’inizio del grande incendio boschivo e con le fiamme che arrivano fino alle case a Torre del Greco, tra Capella Nuova e Via Resina Nuova, con l’inferno ormai scatenato e che non terminerà fin quando non ci sarà più bosco da bruciare. Solo in quel contesto si insedia finalmente, in località la “Siesta” ad Ercolano a quota 400 m.slm, nella confusione più totale, un DOS (Direttore Operazioni di Spegnimento). In quel contesto sopraggiungono, a dar man forte ai VVF e SMA, unità della PC di tutta la regione ed alcuni volontari, tra cui il sottoscritto, ma la conoscenza del territorio da parte della maggioranza degli intervenuti è scarsa se non nulla e mancano addirittura le carte topografiche per orientarsi leggi.
L’incendio è oramai diffuso su più versanti, Terzigno, San Giuseppe, Trecase, Torre del Greco, Ottaviano e Somma Vesuviana, così come si diffonde la confusione e la disinformazione che, tra i presunti piromani venuti dal Beneventano, i gatti kamikaze leggi, leggi, leggi, leggi
il sempreverde sub pescato dal Canadair e i roghi tossici messi là dove non avrebbero potuto mai esserci, confonde le idee più di quanto già non lo fossero prima e chissà che tutto ciò non convenisse già a qualcuno. In serata le fiamme raggiungono da Ercolano anche il Monte Somma, sia dall’Atrio del Cavallo, sia da San Vito, muovendosi, a causa del forte vento, con una velocità impressionante tra le ginestre e gli arbusti della colata lavica del ’44, il bosco del Molaro e raggiungendo in nottata addirittura i Cognoli di Giacca e di Pollena leggi. La notte lo scenario è dantesco, la valle dell’inferno arde illuminando il cielo e l’aria è irrespirabile per il fumo.
 Il giorno 15 luglio si ha l’impressione che il peggio possa essere passato leggi ma è solo un’illusione passeggera ma soprattutto, ancora una volta, la sottovalutazione di un fuoco che covava sotto la cenere e che non aspettava altro che il vento soffiasse nuovamente per alimentarlo, è evidente. Domenica 16 luglio, il vento spingerà le fiamme là dove non era arrivato ancora e completerà l’opera di distruzione, rialimenterà a Torre del Greco i vecchi focolai mai spenti di Via Montedoro e di Cappella Bianchini, arrivando fino alle case e ancora una volta, come era successo presso i Camaldoli della Torre, per pura buona sorte, senza mietere vittime e procurando solo danni alle abitazioni leggi.
Le fiamme dureranno ancora per giorni, toccando duramente una vasta zona del Monte Somma, da Pollena fino a Somma Vesuviana ed Ottaviano, durando almeno fino al 20 luglio ma, da quando ho incominciato a scrivere questa memoria, dal primo agosto, mi giungono notizie giornaliere su roghi estemporanei a Torre ed Ercolano dove a distanza di un mese qualcosa arde ancora.

Questo è quanto, ed è relativo alla cronaca appassionata di quei giorni ma come spesso accade, quando esiste un durante, esiste anche un prima e un dopo che aiutano ad inquadrare meglio la situazione.
Il nostro prima risale all’immediato post incendio del luglio 2016, quando gli agguerriti Cittadini per il Parco, incominciano a porsi domande sul cosa avesse comportato quell’incendio al delicato ecosistema del Parco e quali potessero essere le conseguenze per quel che riguardava il dissesto idrogeologico ma soprattutto, cosa stesse facendo il Parco e chi di competenza, per evitare il ripetersi di tali eventi.
Cittadini per il Parco è un movimento civico che dal 2011 s’impegna per un dialogo costruttivo tra la cittadinanza vesuviana, l’Ente Parco e le altre istituzioni ad esso complementari, come ad esempio la Comunità del Parco (organo statutario e consultivo che ha come membri i sindaci dei 13 comuni del PNV). Sin da settembre, le domande dei “Cittadini” cercano risposte, lo fanno prima consultando gli esperti, che confermano i loro timori per quel che concerne lo stato precario della pineta e il dissesto idrogeologico, ma non trovano ascolto alcuno presso l’Ente Parco che ignora sistematicamente le loro istanze e quelle del “Club Alpino Italiano” che li affianca in queste richieste.
Stiamo, con questi fatti, al dicembre del 2016, dove oltre alla richiesta di udienza al presidente dell’Ente, Cittadini per il Parco e CAI organizzano anche un evento sui luoghi dell’incendio e più precisamente a Terzigno. All’evento partecipano altre associazioni, oltre al CAI, rappresentato dal sottoscritto, presidente della “Commissione regionale per la Tutela dell’Ambiente Montano” (TAM), anche la “Federazione Italiana Escursionismo” (FIE), con il suo presidente nazionale, i bikers di “Vesuvio Mountain bike”, quelli di “MTB Vesuvio” e una folta rappresentanza delle “Attività Sportive Confederate” leggi.
Tutte queste richieste e manifestazioni vengono comunque disattese dall’Ente che, in barba al suo new deal di apertura al dialogo, rifiuta, non solo ogni voce critica ma ogni voce a prescindere, che non sia esclusivamente ludica o autocelebrativa; rispondendo solo superficialmente, e solo quando sollecitato, a mezzo stampa, ed evitando ogni confronto costruttivo sull’argomento. La presidenza anteporrà, come farà anche dopo il disastro del luglio 2017, le carte ai fatti, le sue riunioni con le parti in causa istituzionali alla mancata protezione del parco e tutto ciò a dispetto di una realtà di un patrimonio boschivo e naturale praticamente distrutta leggi. La presidenza del Parco sosterrà tra l’altro, anche nelle fasi successive all’incendio, la logica a senso unico del turismo al Gran Cono, spingendo in tempi rapidi l’apertura delle due vie d’accesso al Cratere, la Strada Provinciale/Comunale e la Matrone, ponendo ancora una volta in secondo piano la restante sentieristica e facendo prevalere l’immagine unica di un Parco ridotto solo al Gran Cono e la logica dello sviluppo su quella della tutela; e quando si parla di sviluppo economico, sia ben chiaro, parliamo di ricchezza per pochi e briciole per gli altri ma soprattutto l’abbandono più totale del resto del parco.
Ed arriviamo dunque al luglio 2017, risulta evidente che, dopo un evento così grave come quello del 2016, per nulla imputabile all’attuale presidenza, ma utile monito a chi assume questo incarico, corri comunque ai ripari e non speri nella buona sorte, quella che non ti riproponga più lo stesso evento a distanza di un anno, come invece è avvenuto, ma con l’aggravante di aver sottovalutato, non solo un problema intrinseco in qualsiasi area protetta ma anche una siccità che non si ricordava in quest’ultimo decennio. Ciò nonostante, l’Ente Parco, ma anche gli altri organi competenti, quali Regione e Città Metropolitana, fanno ancora finta di niente, e neanche davanti alle avvisaglie sopra esposte corrono ai ripari. Anzi la delega all’Anti Incendio Boschivo (AIB) di competenza dell’Assessorato all’Agricoltura e Foreste, passa, a maggio, alla vigilia della stagione degli incendi e delle attività AIB, alla Protezione Civile regionale, con improvvida solerzia e in assenza del benché minimo barlume di buon senso.
In tal modo, la PC, si trova impreparata a dover gestire, oltre al più grande incendio vesuviano mai avvenuto negli ultimi settantatré anni, anche una situazione regionale aggravata da un contesto meteo avverso e probabilmente con le medesime situazioni di disorganizzazione. Inoltre la Regione non stipula nessuna convenzione per le operazioni di prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi con i Vigili del Fuoco che si limiteranno alle sopra elencate azioni di contenimento (vedi file word). Pare ovvio che alla luce di tutto ciò la PC, per quanto fosse sembrata impreparata, ha probabilmente retto, meglio di quanto potesse fare, la situazione e in un contesto, per quanto prevedibile, effettivamente senza precedenti.
La cosa che più offende però, chi, da vesuviano ma anche da conoscitore del territorio e testimone diretto dei fatti, è quella della caccia all’untore ad ogni costo prima, e quella dello scaricabarile istituzionale poi, avvenuta durante l’emergenza e attuata da chi, a questo punto, dovrebbe chiarire quale sia il suo ruolo istituzionale, se non quello esclusivo di produrre stipendi e burocrazia. Parliamo ovviamente dell’Ente Parco che in data 8 luglio, sulla stampa locale, per voce del suo presidente e a soli tre giorni dall’inizio dell’incendio, liquidava i fatti con testuali parole: “ … è difficile non supporre che le fiamme siano state appiccate da criminali ambientali intenzionati a distruggere fauna e flora.” Leggi. Farà lo stesso più volte sul suo FB istituzionale, debuttando finalmente, dopo vari post su albicocche e cavalli, in data 9 luglio e in questo modo: “Ringrazio tutte le donne e gli uomini che stanno rischiando le loro vite per difendere il Parco dai criminali che hanno appiccato le fiamme.” Il 21 luglio sempre su FB affermerà: “Se qualcuno ha pensato di fermarci si sbaglia di grosso, andremo avanti più determinati di prima.” Il 26 luglio però allargherà le presunte responsabilità anche ad altri, mettendoli sullo stesso piano dei presunti criminali: “Notizie che qualcuno sta utilizzando per minare la credibilità dell'Ente, facendo in tal modo il gioco dei criminali che hanno lanciato questo attacco.” Del resto già in data 14 giugno 2016 aveva già messo le mani avanti asserendo quanto segue: “I vesuviani purtroppo conoscono il peso asfissiante della criminalità sullo sviluppo e sulle legittime aspirazioni ad un futuro migliore. Ma proprio per questo sono convinto sapranno porsi a difesa del Parco, contro i criminali che vogliono distruggerlo. Contro anche quel piccolo gruppo di sciacalli che mantiene una posizione ambigua, che vorrebbe mettere sullo stesso piano di responsabilità i delinquenti che appiccano il fuoco e gli uomini dello Stato che rischiano la vita per spegnerlo e che vengono accusati di non fare abbastanza. Questa equidistanza è complice ed intollerabile, ma sono sicuro che tutte le persone perbene e i tantissimi amici "veri" del Parco Nazionale del Vesuvio sanno bene da che parte stare.”
Questo mantra dei criminali e delle ecomafie, diviene un leit motiv ufficiale e ripreso tra l’altro anche dal presidente della regione Campania, il quale, oltre a ribadire la stipula di una convenzione con i Vigili del Fuoco (ma solo in data 15 luglio 2017), insiste sull’azione dolosa ma con la fantasmagorica ragione del gesto criminale attuato per creare spazio per le discariche, dimenticando però che, per quanto sui generis, in un parco nazionale come quello del Vesuvio, le discariche non possono essere create ex novo e, per sua stessa ammissione, gli incendi erano stati appiccati in zone non raggiungibili leggi. Seguirà poi anche la chiesa, che, quando non può essere parte attiva, preferisce allinearsi e che, nelle parole del vescovo di Acerra, sosterrà anch’essa la tesi del complotto criminale.
Sui media locali e nazionali si susseguono le notizie del ritrovamento di colpevoli e di inneschi ma, fino al 28 luglio, non esce ancora fuori il nome del tanto desiderato capro espiatorio e che altri non sarebbe stato che un poveraccio, un macellaio di Torre del Greco con lievi precedenti penali, accusato di aver dato fuoco a sterpaglie fuori casa sua con un accendino. L’ipotesi di reato, e la conseguente condanna è stata quella di un incendio doloso di 10.000 metri quadrati di bosco leggi. I fatti dimostreranno una realtà ben diversa e più complessa di quella narrata ma ormai il colpevole era stato trovato e per questo salvi tutti, ma pensare che una sola persona con un accendino potesse scatenare quell’inferno è improponibile e lo è a maggior ragione se si scopre che la condanna è avvenuta solo per elementi indiziari e senza nessun elemento probante a suo carico. Allora perché non anche una cicca di sigaretta, vista la situazione? Perché non una marmitta catalitica visto lo stato delle strade e dei sentieri? Perché non i quintali di vetro depositati lungo i margini delle strade che lambiscono e attraversano il Parco Nazionale del Vesuvio? No! Perché un altro dogma vuole che non esista l’autocombustione perché non indagare nelle pratiche di pulizia dei fondi dei contadini o sulle gite fuori porta dei locali? Troppo scomodo, troppo scontato, poco spettacolare, c’è bisogno della mano criminale per coprire la nostra ipocrisia.
In data 15 luglio, a 10 giorni dall’inizio dell’incendio il presunto incendiario/piromane è accusato di aver dato fuoco ad un’area circoscritta rispetto agli circa 3.000 ettari andati in fumo durante questo infernale mese di luglio nel Parco Nazionale, quindi, a rigor di logica, non può esser stato l’unico ad aver distrutto tutto il Parco, ma evidentemente basta e avanza per scrollarsi di dosso le responsabilità istituzionali. Anche il 12 luglio, con la venuta del ministro Galletti, in soccorso di un presidente del Parco sprovvisto di uomini, mezzi, ma anche di scuse e competenze, si era rivangata ancora una volta l’ipotesi dell’ecocriminale, ma anche quella del cambiamento climatico, tutto insomma, fuorché un’assunzione di responsabilità, tutto, fuorché il nome di un responsabile certo, proprio come accadde l’anno scorso, prima che l’oblio e il campionato di calcio prendessero il sopravvento sugli italici umori.
Non vorremmo quindi che, il macellaio di Torre del Greco, divenisse l’unico colpevole di questa immane distruzione, per salvare le altrui poltrone e le altrui carriere politiche. L’unica cosa certa, che abbiamo come elemento probante, è lo stato di incuria dei boschi e della sentieristica del parco e la mancata prevenzione degli incendi nonché un intervento emergenziale tardivo e talvolta approssimativo. Lasciamo quindi alla magistratura il suo lavoro perché al momento, così come per l’incendio del 2016, abbiamo ben poco, non abbiamo il movente e tanto meno la pistola fumante. L’unico elemento che abbiamo di certezza è un sottobosco secco, cataste di legna mai raccolte e strade sporche e assenza di linee spartifuoco tra l’altro previste da una convenzione del 2017 leggi, tutto carburante che, in maniera colposa o criminale, era lì ad attendere l’innesco. 
A questo punto però sarebbe opportuno capire quali fossero le responsabilità dell’Ente Parco, vista la sua posizione relativamente all’AIB, delegata per legge ai 13 comuni del Parco e di un piano AIB del Parco e di un protocollo con la SMA praticamente inattuati.
Per quel che concerne la manutenzione dei comuni delle aree boschive di loro competenza non ci risulta difficile credere nelle loro inadempienze, appurate nelle nostre ricognizioni escursionistiche, così come le fantomatiche o parziali pulizie dei sentieri vesuviani ad opera o direzione del PNV; ma allora vien da chiederci a cosa serva un Ente Parco se questi deve solo produrre carte per stare a posto con la legge. Qual è la sua funzione di tutela se poi l’area che dovrebbe proteggere viene distrutta da fiamme, rifiuti ed incuria? Sì l’incuria delle strade che lo attraversano, di responsabilità della Città Metropolitana e dei Comuni ma anche dei sentieri che dovrebbero portare alla scoperta del parco e che invece, salvo pochi percorsi, da sempre agibili perché carrozzabili, sono stati puliti solo per pochi tratti e spesso ad opera di volontari.
Ad ogni modo vogliamo ricordare alla presidenza del parco che, secondo la normativa vigente, anche il parco ha le sue responsabilità diretta.
“Ad un livello intermedio fra le attribuzioni dello Stato e quelle delle Regioni, si collocano le competenze attribuite all’ente parco, come istituzione dotata tanto di poteri amministrativi, «diretti a impedire o a prevenire che la cura di ogni altro interesse pubblico (in materia urbanistica, agricoltura, turismo, ecc.) si svolga in contrasto, o comunque in modo incompatibile, con le finalità di conservazione e valorizzazione dell’ambiente proprie del parco, quanto di poteri pianificatori, diretti a favorire lo sviluppo dell’area protetta nella sua evoluzione storico-naturale e in raccordo col divenire del territorio circostante» da attuare, ovviamente, con forme di cooperazione con gli organi regionali.” Pag 9 del doc.
Inoltre
“non può dubitarsi che la regolamentazione dell’Ente parco… verrà ad interferire con le potestà costituzionalmente garantite alle Regioni nelle materie del governo del territorio (nelle quali rientra la difesa del suolo… l’attività di difesa idrogeologica…, nonché la disciplina urbanistica ed edilizia degli interventi all’interno del parco), dell’agricoltura, del turismo, della caccia, della pesca” ) Corte cost., 27 gennaio 2006, n. 21 in Giur. cost., 2006, p. 1.
A nove 10 mesi dal disastro ed un autunno ed un inverno abbastanza piovosi, l’ente parco continua a fare convenzioni e protocolli  ma, salvo sporadiche azioni, frutto del lavoro dei comuni come ad Ottaviano che hanno arginato alla meno peggio la grossa frana nel bosco lungo il sentiero numero 2, oppure i soliti volontari delle gare podistiche e ciclistiche che hanno fatto in buona parte pulizia lungo i tracciati delle competizioni si è rimasti allo stadio progettuale ed intanto un'altra stagione estiva incombe con tutte le sue incognite.
Il risultato di tutto ciò è quello di un parco nazionale, di per sé già fortemente antropizzato e messo a rischio ed ora semidistrutto dalle fiamme e con il forte rischio di un dissesto idrogeologico incombente per le piogge autunnali. Una flora distrutta e una fauna già a rischio che ora potrebbe essere soggetta a un ulteriore e drastico ridimensionamento. Un parco che pubblicizza ora un concerto, ora una gara, ora un evento ancora una volta organizzato da altri, come esorcismo verso il male che vi incombe, ancora operazioni di facciata, mentre il parco brucia ancora, ed ancora una volta un compito scritto in bella ma privo di contenuto.

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