Sul come, e forse sul perché, il calcio è diventato il
nuovo oppio dei popoli.
Non
sono un tifoso di calcio, non sono un tifoso di nessuno sport in particolare
perché la mia concezione di sport è arcaicamente amatoriale e possibilmente
ripulita da qualsiasi sovrastruttura acquisita col tempo e con gli interessi
economici che ormai lo regolano. Per cui amo il calcio come ogni sport ma non
ne seguo nessuno o quasi. Premesso ciò, ritengo che il calcio in primis sia la
cartina tornasole della nostra società.
In
un mondo sempre più borghese e conservatore che si chiude in se stesso e nelle
proprie paure e nelle proprie convinzioni e che, non solo diffida dello
straniero, ma resta chiuso anche nei confronti di chiunque rappresentasse la
mancata omologazione alla sua visione del mondo; il calcio, come dicevo prima,
vive invece in una zona franca o quanto meno privilegiata.
Nel
mondo del calcio infatti, le regole sembrano essere diverse da quelle del mondo
reale o che almeno sembra esserlo, anzi pare che vada in una direzione
diametralmente opposta alla vita dell’italiano medio. Il mondo del calcio ha
una libertà economica e culturale tutta sua, e con le sue eccezioni anche nel
senso qui sopra accennato. Innanzitutto questo vale per quel che riguarda la
figura del calciatore.
Se
lo si incontrasse per strada come una persona comune, un qualsiasi calciatore,
anche quello delle serie cadette, al vederlo ci si scosterebbe facendo gli
scongiuri, per rozzezza ed atteggiamento di costui, e lo si guarderebbe con
forte sospetto e, in certi casi, anche con un po’ di schifo, lo stesso
atteggiamento che il nostro italiano medio avrebbe nei confronti di un
“punk-a-bestia” o un cuozzo di media
portata. E invece no! Nonostante l’aspetto truce, volgare, da galeotto rilasciato
o da legionario in libera uscita, dal corpo ricoperto di tatuaggi indecenti,
piercing, catene d’oro e dalle capigliature improponibili, questi vengono
invece osannati ad ogni goal e ad ogni azione calcistica degna di merito, ed
imitati nell’aspetto e nello stile. Diciamo quindi che l’estetica fa la sua
scalata sociale se è vincolata all’essenza calcistica.
In
verità anche la logica ruota come il pallone e lo fa là dove l’economia vuole.
Basti pensare alle scommesse e i soldi che gli italiani (e non solo!) buttano
con le loro “bollette”, vere e proprie tassazioni volontarie. Ma anche il
ricchissimo mercato dei cosiddetti gadget
dove su tutti prevalgono le divise originali dei calciatori, sogno di ogni
ragazzino, ma dai costi esorbitanti, che possono infatti raggiungere e superare
anche il centinaio di euro, senza neanche un barlume di sconto per chi fa
gratuitamente pubblicità, non solo alla squadra e al giocatore, ma anche e
soprattutto allo sponsor marchiato a chiare lettere sul petto.
Non
parliamo poi della diretta televisiva delle partite! C’è gente che
ufficialmente non ha neanche gli occhi per piangere, ma non si perde una
partita della propria squadra del cuore, né in campionato e neanche nelle
coppe. C’è chi aggira le pay per view
con sistemi sempre più nuovi ma resta il fatto che ormai le priorità sono
cambiate e guai a mettere voce su questa nuova fede del ventunesimo secolo.
Ma
il calcio, per fortuna, non è solo aberrazione: lì, il colore della pelle, la
religione, la provenienza geografica e il credo politico sembrano non esistere più
per il tifo calcistico. Se il calciatore è musulmano, nessuno penserà per
fortuna all’ISIS, così come invece si fa per il migrante o il vucumprà che incontri per strada; se il
calciatore di colore gioca bene, non conterà la pelle nera od olivastra, se
viene dal Marocco o dall’Algeria, se è rumeno o albanese; tutto questo, e ripeto,
per fortuna, non conterà. Sarà ‘nu niro
‘e merda, all’occorrenza, se sbaglierà un passaggio o mancherà nella
realizzazione, come personalmente ho ascoltato tra i distinti del Napoli, ma
finirà lì poiché il razzismo, così come tutto il resto, ha il suo fondamento
nell’economia e non nella diversità.
Anche
per i nostri “oriundi”, a maggior ragione, esistono trattamenti di riguardo, se
hai l’avo di origine italiana, anche se non sei nato in Italia, né tu, né i
tuoi genitori, se non parli italiano e confondi l’inno di Mameli con quello del
tuo paese d’origine, puoi lo stesso giocare in Italia e come italiano, e
giocare anche in nazionale con una cittadinanza guadagnata grazie al nonno, l’ingaggio
ed ai goal. Nella realtà degli uomini comuni è però tutto più difficile, se un
bimbo nasce in Italia da genitori, ad esempio senegalesi, venuti nel nostro
paese a cercare una vita migliore no! Non può essere considerato italiano ma se
un calciatore nato in Argentina o in Brasile ha il bisnonno che era andato a
cercar fortuna in quei paesi può accedere alla cittadinanza. Potere del pallone
e ipocrisia del Paese!
Il
calciatore poi guadagna migliaia di euro al mese e milioni a contratto, molti
guadagnano in un anno quanto nessuno di noi guadagnerà in tutta la sua vita;
più di un medico, più di un premio Nobel, più di un vigile del fuoco e più di
chiunque faccia del bene a questo Paese e sfoggerà spesso un lusso sfrenato e
pacchiano, svolgerà una vita sregolata ed evaderà il fisco quando potrà, ma ciò
nonostante, il nostro tifoso, che in genere non dà scampo a nessuno, lo
perdonerà, anzi, lo giustificherà, perché lui è un calciatore, è un divo tra
noi comuni mortali e lo additerà come esempio ai propri figli, nell’illusoria
speranza che questi divengano come lui e risollevino all’occorrenza le sorti e
l’economia familiare. Ma non finisce qui! Perché se osi sottolineare
l’immoralità della cosa, ne sottolinei l’eccessivo guadagno, magari quando
fanno le pulci a te e alla tua di professione, allora tutti in coro ti
risponderanno: - ma loro sono dei campioni, noi li giudichiamo in quanto tali,
non in quanto uomini, quello non ci compete e i soldi poi li caccia la società e
gli sponsor che sono privati, non sono soldi che caccio io come contribuente.-
Orbene,
al di là della morale, transitoria e volubile, ma che dovrebbe contenere tante
umane pulsioni, tra le quali l’ira del borghese medio allorquando questi si
scaglia contro lo stato e gli impiegati pubblici, facile bersaglio dell’ignava
invidia di chi frustrato è assuefatto al nuovo oppio dei popoli, andrebbe
ribadito che gli stadi sono quasi sempre strutture pubbliche messe a
disposizione dei club, che ovviamente pagano un fitto ai comuni, ma privano la
comunità di strutture per altri sport ed altre attività e spesso con contratti tutt’altro
che a scapito delle società calcistiche e che soprattutto, le forze
dell’ordine, quelle che ogni domenica e ad ogni partita garantiscono la
pubblica sicurezza, sono pagate dallo stato, ovvero sono pagate da noi, almeno
da quelli che pagano le tasse. Ovviamente, le società di calcio si guardano
bene dall’usare la polizia privata e tanto meno mettersi contro il tifo che,
organizzato e non, rimpingua le sue già ricche casse con introiti, gadget ed
altro.
Non
mi soffermerò sulla violenza perpetrata ai danni delle tifoserie avversarie,
spesso costituite da inermi famiglie che vogliono solo godersi lo spettacolo ma,
altrettanto spesso, costituite da facinorosi e violenti. Ma vorrei sottolineare
l’astio verso polizia e carabinieri, gli improperi che subiscono dal troppe
volte impunito mondo del tifo calcistico, per molti scontati, li trovo
fintamente “anarchici” e fin troppo impuniti e tutto ciò è scandaloso, come tutto
quello che viene lasciato passare al calcio che ha già dato, con omicidi,
violenza, distruzione e attacchi diretti allo stato, il peggio di sé che invece
viene relegato ipocritamente ai “soliti 4 imbecilli” che chissà perché non sono
mai gli stessi e possono mettere in scacco anche un’intera città leggi qui e leggi anche qui .
Va
quindi di per sé l’importanza che il mondo del pallone riscuote anche a livello
politico ed economico, là dove il politico, magari un imprenditore come Berlusconi,
che possedeva anche la sua squadra di calcio, otteneva un doppio risultato,
politico ed economico; là dove guadagnava elettori grazie al successo del suo
Milan e al contempo guadagnava denaro con gli introiti che la squadra gli
procurava, il tutto come presidente del consiglio. Ma comunque non bisogna
essere proprietario di un club per capire l’importanza politica oh! Pardon! Demagogica, che il calcio ha, in
particolare se coincide con i programmi del politico di turno; un sindaco “laico”
non riscuoterebbe molto successo, anzi non arriverebbe neanche ad esserlo se
non mostrasse simpatie calcistiche e se non facesse, una volta tanto, la sua
puntatina allo stadio, così come in chiesa.
Il
movimento cinque stelle, ad esempio, si oppose giustamente alle olimpiadi
romane poiché, come spesso accade, anche in quel contesto, sembravano prevalere
gli interessi economici e lobbistici sullo sport più puro ma, quando la giunta
capitolina della Raggi osò tergiversare sull’argomento del nuovo stadio della
Roma Calcio, mettendone in dubbio la costruzione, rischiò la crisi di
maggioranza e l’appoggio dell’elettorato, ed avviò quindi, prontamente le
pratiche per la sua costruzione e questo a prescindere dalla zona con vincoli
ambientali dove nascerà il nuovo stadio.
Una
serie infinita di opinionisti e di politici aizzano il popolo elettorale con
tematiche sempre più vicine al discorso calcistico che a quello politico, anzi,
spesso le due cose si confondono, è il caso della mia città, Napoli, dove si
confonde sempre più l’acredine verso le potenti squadre del nord Italia con
quella verso un Nord ritenuto causa di ogni nostro male. Chiunque volesse
sfondare una porta aperta a Napoli, ed ottenere successo e visibilità, dovrà
semplicemente passare per le sorti del Napoli calcio ma soprattutto divenirne
il tribuno, così come delle impareggiabili bellezze di Partenope e al netto
delle sue disgrazie, sulle quali sarà meglio tacere.
Ma
anche lungo lo Stivale, non solo avremo orde di giornalisti sportivi, impettiti
e saccenti a commentare il nulla, procaci presentatrici e giullari di stato che
esalteranno il mistero della fede calcistica, ma ci saranno purtroppo anche
uomini di scienza e di lettere che plaudiranno all’unisono la cattura di un
latitante di camorra con il superamento del turno del Napoli, così,
tranquillamente, come se le due cose fossero di egual valore, come se gli
intessi di un presidente non esistessero e come se i mercenari del pallone
giocassero, non solo per la gloria personale, ma per quella della città e della
sua emancipazione e che l’operato delle forze dell’ordine possa essere
equiparato alle fatiche di un calciatore.
Anche
il comunista più radicale non nasconde la sua simpatia calcistica e con buona
pace dell’incoerenza tra il capitalismo estremo delle società calcistiche e la
lotta di classe. Che Fausto Bertinotti si dichiarasse tifoso del Milan di
Berlusconi, quando i due sostenevano di essere agli antipodi politici, questo
già inquadrava il personaggio perbenista e borghese che tanto piaceva alla
destra, quella vera, ma anche a quella pezzotta,
scagnata e pseudo sinistrorsa e che
ha aperto la strada alla “cosa” e al PD. Ma oggi, andare in un bar equo e
solidale e trovarsi il mega schermo con le partite del Napoli, oltre che far
ridere, dà quasi un senso di pena, soprattutto per chi credeva negli ideali di
uguaglianza e ha combattuto per i diritti dei lavoratori, mandati, mo ‘nce vo! Nel pallone dai loro
epigoni.
Le
sorti del calcio vengono così confuse con quelle della propria città che, a
prescindere dal fatto che la rosa dei giocatori comprenda una legione straniera
e dove solo un’infinitesimale percentuale la rappresenta, tutti vibreranno per
le sue sorti e non solo il nostro mite signor Rossi che avrà finalmente la sua
bandiera da seguire, non solo il nostro italiano medio in cerca di affermazione
ma anche l’intellettuale non potrà fare a meno di parlare di calcio per
sentirsi parte di quel tutto che gira attorno al pallone e all’occorrenza farsi
anche pubblicità. Sarà talmente importante che chiunque potrà diffondere a
riguardo una notizia, minima o anche falsa, tanto da ottenere credito e seguito
poiché è talmente sfrenata la fede che potrai trovare anche il prete che
suonerà le campane per una vittoria della sua squadra del cuore o chi si
prodigherà nei più fantasiosi dei turpiloqui partenopei nei confronti di un
link di Trip advisor vedi qui.
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