giovedì 6 aprile 2017

Passione di cronaca


Giorni fa, un paio di amici fraterni mi fanno pacatamente notare che a loro giudizio, il mio scrivere gli sembra arrabbiato e troppo critico, - perché ce l’hai col mondo? Perché non mostri il buono e il bello che pure c’abbiamo qui da noi? Perché scrivi solo di cose brutte e di quello che va male? Perché non scrivi di tal associazione che lavora alla Sanità? - Questi gli argomenti spassionati dei miei amici, che già s’erano confrontati sull’argomento in questione prima di espormelo.
A primo acchito rimango un po’ perplesso, in pratica disorientato; che certe critiche te le rivolgano gli estranei, quelli che non ti conoscono, sono cose di ordinaria amministrazione e talvolta lasciano il tempo che trovano e, bene o male, te le aspetti, anche per pregiudizio o per spirito di contraddizione ma, se è un amico che ti conosce e che ti vuole bene a farti una critica, tu la prendi sul serio e ci rifletti su.
E rimugini su quante volte hai mosso critiche nei confronti di politica e società, quante volte hai mostrato gli aspetti più reconditi o quelli che ritenevi tali del mondo che ti circonda ma poi ti sorge un dubbio, ma forse, quello che faccio non è giornalismo? Forse riportare la realtà non è corretto, devi mediarla? Non c’erano già gli addetti stampa effettivi e putativi ad esaltare l’indifendibile? Forse non parlare la lingua aggressiva e ruffiana e senza sfumature dei social è sbagliato? Forse è meglio seguire l’onda del momento? Forse è meglio fare il copia incolla di un’illusione?
Certo è che leggendo la stampa locale, quella che parla di quanto siamo belli e di quanto siamo buoni, quella accondiscendente e che sancisce senza ombra di dubbio l’unicità partenopea e la cattiveria altrui, qualche dubbio mi sovviene. Ma allora aver sempre pensato che gli uomini sono tutti uguali è sbagliato! Essere napoletani è meglio che essere, ad esempio, siciliani o calabresi? E lo è ancor di più nei confronti di chi è nato a nord del Garigliano? Incomincio ad essere confuso, e dire che pensavo che la camorra e la mafiosità fossero mali storici locali o, ad esempio che l’incendio dei campi rom che vidi a Ponticelli, fosse stato attuato dagli abitanti del quartiere ma evidentemente il mio pregiudizio è grande, evidentemente esiste sempre un se ed un ma che sciacquerà le nostre coscienze.
Eppure pensavo che affermare cose e corroborarle con fatti, foto e filmati fosse garanzia di credibilità, pensavo che fossero inattaccabili ebbene, c’è ancora chi mi critica per quello che mostro, ma non rispondendo sui fatti ma col processo alle intenzioni; c’è poi chi mi ha denunciato per questo o chi minaccia di farlo, ma dove ho sbagliato allora? Pensavo che mettere in luce quello che non si vedeva o che restava nascosto sotto coltri di dabbenaggine ed ipocrisia, fosse la via da seguire, ma, evidentemente mi sbagliavo ancora, dovevo scrivere di calcio, magari del Napoli calcio, perché si porta! Perché rappresenta la città e non gli interessi del suo padrone ed è quindi meglio parlare delle ipocrisie di Higuaín che di quelle di De Magistris e di chi lo accompagna. A che pro quindi parlare di discariche, di roghi tossici, quando tutti esaltano ‘n’albero? Se la monezza non arriva più al primo piano delle case, non fa più notizia, e che bruci ancora nelle campagne, cosa può interessare se non è un “prete coraggio” o un pentito a parlarne? Ormai se n’è scritto già abbastanza e non è più di moda. Perché dare quindi una visione diversa delle cose, perché dimostrare che ormai, oggi, ci stiamo suicidando ancora sotto cumuli di spazzatura ed ipocrisia?
Perché scrivere per anni di quel che vedevo, perché entrare nelle discariche, perché affrontare un incendio, sia esso tossico, che boschivo, perché intervistare faccia a faccia le persone e non risolvere il tutto attraverso il computer o magari parafrasando quello che si trovava in Rete? Tanto, dopo dieci anni che scrivi del malcostume locale, diventi pure noioso, ti fossilizzi sul medesimo argomento e nessuno ti renderà atto del tuo operato e varrà sempre la voce dell’ultimo arrivato più di quella di chi storicamente ha fatto la cronaca di quegli eventi.
Ho sbagliato tutto, la gente non vuole leggere dei problemi che già sa che l’affliggono, vuole altro vuole l’illusione! La gente vuole essere strunziata perché, renderla partecipe delle proprie sciagure, contempla renderla cosciente della propria corresponsabilità, quanto meno morale di quel che l’attanaglia. Dovevo fare quindi l’addetto stampa di qualcuno, magari di uno di quei politici giovani e rampanti o di uno di quei parrucconi potenti e ben ammanigliati, tanto fa lo stesso, si azzuppa comunque, o magari fare l’addetto stampa del luogo comune, quello sì che non passa mai di moda e non perde mai le elezioni, perché non dà dubbi ma certezze.
Invece no, faccio il Don Chisciotte, uno di quelli che neanche in famiglia sanno perché lo fai, uno di quelli che hanno bisogno di scrivere come l’aria per respirare, altro che nicotina! Scrivere è creare, e questo creare è comunicare e questo già basterebbe per lasciare la mia piccola impronta in questo mondo assurdamente bello e maledetto.
Che dire allora a quei miei amici?

Ma quello che scrivo è vero o non è vero? Corrisponde alla realtà o sono menzogne? Qual è il compito di un giornalista? Scrivere quel che piace alla massa o quel che accade nella realtà?

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