sabato 7 aprile 2012

Pasqua a Procida





La nostra Primavera entra trionfalmente tra le nostre umane cose. E non intendo solo nel suo contesto astronomico, con le sue naturali conseguenze, ma anche nelle nostre vite, nelle nostre feste, nel nostro credo.



Anche quest’anno la primavera lambisce la Pasqua e, nonostante un rigurgito d’inverno che imbianca il cono del Vesuvio, non ci si perde certo d’animo per così poco e si porta avanti quanto di meglio si ha del nostro passato e della nostra tradizione, uniti in quel sincretismo religioso che in questi luoghi trova la sua più alta realizzazione.





Anche stavolta, come lo scorso settembre ho giocato a fare l’antropologo e mi sono buttato tra i miei simili per sentirmi più loro e, a farmi sentire più loro. Ho incominciato giovedì scorso, un Giovedì Santo, uno di quelli che da anni desideravo di trascorrere a Procida per vivere le sue famose processioni pasquali. Sapevo della loro solennità che pure ho in parte riscontrato nelle celebrazioni del Venerdì Santo, con tanto di banda, marcia funebre e penitenti incappucciati, ma la cosa che più m’ha colpito è stata preparazione dei Misteri e della loro conseguente sfilata. I Misteri, in questo contesto, sono la rappresentazione plastica dei passaggi biblici, non solo quindi quelli legati alla Passione ma nel suo toto, o meglio, nella totalità dell’animo di chi li crea. Ma il fenomeno impressionante è stato quello legato ai fautori di detti Misteri, i giovani. Io m’aspettavo un rituale iniziatico dove i vecchi introducevano i giovani all’usanza, ho invece trovato un gara artistica che, se pur guidata da qualche anziano, ha visto una totale partecipazione giovanile.





Stranamente i Misteri, alla vigilia della loro sfilata, erano ancora incompleti, dunque ho chiesto lumi ai miei compagni di nottata, quella che m’accingevo a trascorrere in quella tranquilla e umida isola incantata. Il perché di tale ritardo e della frenetica veglia di lavori e rifiniture era da attribuire al fatto che i ragazzi, in buona parte studenti, dovevano approfittare dei ritagli di tempo, offertigli tra l’altro dalle vacanze pasquali, per completare l’opera.





Terra Murata, ‘ncoppa Terra, come la chiamano là è un arroccamento di case, splendide per la loro spontanea architettura, un acropoli di tufo, dove i ragazzi di Procida portano a termine il frutto della loro visione della tradizione. I Misteri sono rinchiusi in piccoli capanni illuminati, dove si lavora intensamente il legno, la cartapesta e vari materiali di risulta; tutt’attorno c’è una frenesia di motorini, auto, cinquantini e gruppi di ragazzi che gironzolano e si riuniscono come se stessero fuori una delle tante discoteche di terra ferma. Qualcuno storcerà il naso, per questa visione poco ortodossa del rituale pasquale, io invece l’ho vista la più intensa e la più vera possibile, viva figlia di questi tempi e non mesta rappresentazione di un qualcosa di non vissuto, di stantio, di recitato.





La coreografia, per non parlare della splendida scenografia dell’abbraccio che la Corricella e la più lontana Punta Pizzaco ci offre, lascia spazio alla tradizione; il giorno dopo, il Venerdì Santo, con la sfilata dei giovani misteri, no più in jeans ma con gli abiti bianchi e turchini della congrega dell’Immacolata, precedono l’Addolorata e il Cristo Morto. Una fusione pienamente riuscita tra antico e moderno nella sua logica continuità.























































































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