sabato 28 giugno 2025

La scintilla

 

Sto facendo gli esami di stato, sì perché si chiamano ancora così; neanche il tempo di farci abituare a questa dizione che a breve si ritornerà alla statutaria e anacronistica maturità. Sono commissario esterno ed assisto alla lenta e incessante trafila della meglio gioventù di una cittadina della provincia di Napoli, quella che, con enfasi e passione espone il suo percorso culturale davanti alla nostra commissione. C’è chi lo fa bene, chi lo fa male e chi lo fa anche in maniera egregia, ma nessuno, al momento nessuno, e sono anni che lo aspetto, ha ancora mostrato quella scintilla negli occhi caratteristica della giovinezza e della sua indole ribelle, innovativa e rivoluzionaria.

L’esame di stato, ormai, non è altro che un rito di passaggio, lo è come la prima sigaretta, il primo bacio, la patente e tante altre cose ormai inflazionate e ormai fugaci come tanto altro in questo mondo consumistico, e forse anche per questo gli argomenti trattati dai ragazzi sono tradizionalmente scontati, scontati e spesso superficiali come il loro rapporto con lo studio, con la conoscenza e con la loro crescita culturale e mi auguro che almeno le emozioni si salvino da tutto questo inutile marasma.

La colpa è sicuramente nostra, nostra come insegnanti ma anche come genitori e uomini di questo tempo; perché non sempre siamo stati capaci di ricoprire il nostro ruolo di docenti, nelle nostre rispettive materie di insegnamento, ma soprattutto perché siamo venuti meno al nostro ruolo di educatori. Del resto, nel bene come nel male, loro ci offrono quello che gli abbiamo dato, ma anche quello che noi vogliamo che loro ci dicano. Stiamo diventando degli meschini burocrati che producono quintali di carte e che registrano il nulla. Diffondiamo luoghi comuni, che promuovono altrettanto mediocri studenti, tutte parti in causa di un quadro sconfortante e spesso inconsapevoli delle proprie miserie.

Entro in questo liceo, una scuola modello, là dove tutto non sembra appartenere ad un contesto meridionale (consentitemelo); la scuola è tappezzata di opere inneggianti alla difesa dell’ambiente e a tutte quelle tematiche affini al sociale e soprattutto alla condanna del femminicidio e alla discriminazione di genere. Anche la classe dove si stanno svolgendo gli orali ne è piena ma, sul lato opposto di questa, trovo un intero muro imbrattato da figure falliche, graffiti degni della camera proibita del MAN e in netto contrasto con ciò dovrebbe stimolare la contrapposta cartellonistica ufficiale.

I power point sulla questione ambientale esposti dagli esaminandi scorrono inesorabili tra buoni propositi, bottiglie, bicchieri e vassoi di plastica; tra la problematica delle microplastiche e i lustrini diffusi ai quattro venti per festeggiare il diploma; tra un mare di proponimenti e buone intenzioni che rimarranno all’interno di quell’aula e che quasi mai ne usciranno fuori. Fuori c’è il mondo reale che comunque appiattisce un po’ tutto e un po’ tutti e che ci plagia, illudendoci di essere al passo coi tempi e di essere cittadini modello perché ci indigniamo per l’Amazzonia che brucia e per lo scioglimento dei poli, ma per il quale non facciamo nulla, soprattutto per quanto abbiamo attorno, ammesso e non concesso che si sappia qualcosa a riguardo. Una recita nella quale siamo tutti attori, talvolta inconsapevoli, ma sicuramente, a vario titolo, tutti protagonisti.

martedì 10 giugno 2025

Armiamoci e partite, ovvero siam tutti figli del padre padrone.

 


Dedicato ai quei 14 milioni di italiani che sanno prendere posizione.

In un paese di tuttologi, dove tutti sentenziano su tutto, ci si arresta invece davanti a 5 semplici quesiti. Semplici quanto necessari, per correggere le anomalie di un paese che non sa che direzione prendere.

E invece no! Nell’unico momento di democrazia diretta, l’italiano medio preferisce andare come al solito al mare.

Di certo, se tra quei quesiti ci fosse stato quello dell’elezione diretta del primo ministro, allora sì che, in quel caso, si sarebbe andati in massa a votare, e non solo per la spinta dei referenti politici locali, ma per ferma convinzione.

Questo perché, in questo paese, su quel nuovo bar dello sport che sono diventati i social, si parla e si sentenzia fin quando le parole non comportano responsabilità dirette, ma poi, al dunque, quando dalle parole si deve passare ai fatti, tutti si tirano indietro, per la serie, armiamoci e partite! L’elezione diretta del premier implicherebbe invece l’affidamento all’uomo/donna forte di turno, delle proprie responsabilità, gli si delegherebbe ogni cosa pur di non prendere posizione ma, soprattutto, pur di non prendersi nessuna responsabilità. Una sorta di padre padrone che dovrebbe dirigere un paese di figli immaturi e incapaci di muovere un passo senza che qualcuno non gli indichi la direzione, il vero grande problema è che spesso, i presunti statisti, loro stessi non amano prendere posizioni, e il cane si morde la coda, fin quando questa non è completamente spolpata.

e quindi, in paese di dipendenti, pare assurdo che almeno 4 di quei 5 quesiti referendari, tesi ad equilibrare le sorti dei lavoratori, molti di questi non si siano recati alle urne, ma purtroppo è così, il relativismo assoluto e la sfiducia nello stato (del quale facciamo comunque parte anche noi) e un imborghesimento della classe operaia, che tutto è meno che proletaria, li hanno tenuti lontani dai seggi elettorali ma, benché comprensibile questa sfiducia, non è comunque accettabile, né tanto meno giustificabile poiché si è volontariamente consegnato, salvo specifiche faziosità, ancora una volta il paese in mano a quella stessa politica che, almeno sulla carta, si contesterebbe come il male assoluto dell’Italia.

Se non nel rispetto di chi ci ha permesso di esercitare questo sacrosanto diritto di voto, ovvero chi, spesso con sommo sacrificio, un’ottantina di anni fa ci ha donato la libertà, la prossima volta andiamo a votare e magari facciamolo anche per rispetto di quei 14 milioni di elettori che sono andati a farlo e che, con il loro 30% potrebbero, orientativamente corrispondere a un partito di maggioranza.

Risultati referendari 2025

domenica 8 giugno 2025

Locale e globale, vicino e distante, la luna e il dito

 

Ovvero, se vedi il bicchiere mezzo pieno è perché l’altra metà l’hai già bevuta tu!

Il relativismo culturale, l’autoassoluzione di massa e un certo opportunismo italico preferiscono guardare lontano, nel tempo e nello spazio, preferiscono speculare sui massimi sistemi ma disdegnano ciò che hanno a portata di mano e talvolta anche di risoluzione.

E sì! Perché, come spesso ho scritto, abbassare lo sguardo verso ciò che sta davanti a noi implica il riconoscere le nostre responsabilità, dirette o indirette che siano. Guardare altrove, soprattutto al passato oppure fuori dai confini regionali, e ancor meglio fuori da quelli nazionali, ci permette di muoverci con maggiore agilità tra le acque stagnanti della nostra ipocrisia.

Questo accade per le questioni ambientali dove spesso si preferisce preoccuparsi della tigre siberiana o del rinoceronte del Borneo ma non della discarica sotto casa. Questioni sacrosante, per carità, ma perché sporcarsi le mani con la monnezza, perché complicarsi l’esistenza con le dinamiche di un territorio complesso e quanto meno assai compromesso? Del resto, perché stuzzicare il can che dorme quando risulta molto più remunerativo parlare di ambiente in termini generali? Senza fare nomi e cognomi e fare al contempo anche carriera politica?

La stessa cosa accade per la storia, sarà che il mondo contemporaneo rimane ancora un mistero per molti, sarà che la storia nella scuola in tutti i suoi ordini e gradi, si ferma alla prima guerra mondiale, ma sempre più persone preferiscono il passato al presente, una fuga da un’attualità sempre più compromettente e che forse è meglio evitare. Questa è ad esempio una delle caratteristiche del revanchismo neoborbonico, un’età dell’oro tutta ad uso e consumo di chi vuole credere che le colpe del disastro meridionale siano tutte da addurre a qualcun altro che malignamente sia sceso dal nord del mondo per toglierci l’eden borbonico. Meglio pensare agli sbiaditi fatti di oltre 160 anni fa che speculare sulle nostre chiare colpe attuali, meglio puntare il dito sui Savoia che parlare di centosessanta anni e più di connivenza con ciò che si critica e soprattutto con mafia e mafiosità, questa sì che insita da sempre nella nostra cultura e vicina, molto più vicina dei Borbone e del loro bidet.

Un po’ come quando si usa il grandangolo per fare una foto, o ancor meglio, il drone, per ritrarre splendidi panorami, rigorosamente “mozzafiato”, senza focalizzare, magari con una bella zoomata, il male che si annida tra le bellezze della nostra terra. A che pro mostrare le discariche e le altre criticità dei nostri territori? Noi siamo la grande bellezza, noi siamo il paese che il mondo invidia e meglio quindi mostrare il bello che c’è in noi, meglio vedere il bicchiere mezzo pieno che il contrario.

Che poi, dopo i pensionati, ormai anche i giovani se ne vadano in altri paesi, non solo per lavoro ma anche per condizioni di vita migliori, poco conta, noi siamo simpatici e abbiamo il cibo migliore e le navi più belle del mondo e quando qualcuno dirà il contrario voi vedrete sempre il dito e non la luna che esso indica.

Immagine creata con l’IA