venerdì 4 aprile 2025

La scuola

 


L’ennesimo fatto di cronaca, l’ennesimo femminicidio e l’ennesimo appello alla scuola.

Sembra inverosimile che la scuola possa risolvere tutti i problemi della nostra società eppure pare proprio questo l’atteggiamento della politica e della società che vi si accoda. La scuola sembra esser diventata il capro espiatorio per la risoluzione di tutte le aberrazioni del mondo, la panacea per tutti i mali, come se tutto nascesse e morisse lì, tra i banchi di scuola. Certo, la cultura, l’analisi delle problematiche, la crescita intellettuale, civica e sociale dei giovani è lì che in buona parte si realizza ma ho la forte impressione che questa stia diventando una sorta di scialuppa di salvataggio nella quale riversiamo tutte le nostre paure senza depositarvi mai le nostre di responsabilità.

La scuola italiana da anni fa didattica ambientale, da anni cerca di avviare gli studenti verso il mondo del lavoro, da anni affronta le tematiche del bullismo e del cyberbullismo, da anni fa educazione sentimentale e di conseguenza prova a portare avanti anche discorsi relativi alla sessualità, scontrandosi col suo tabù e lottando contro l’immane fraintendimento che la società stessa manifesta attraverso tutti gli strumenti di comunicazione di massa, internet inclusa.

Da sempre la scuola nel suo corpo docenti, e non solo, dialoga con i giovani e lo fa tra notevoli difficoltà, lo fa camminando su un campo minato, là dove, gestire famiglie sempre più esigenti ma poco inclini al dialogo, è diventato più che un’opportunità, un rischio; un contesto dove i giovani, sempre più restii al confronto e immersi in un mondo sempre più distaccato dalla realtà, parlano spesso una lingua diversa dalla nostra; e infine tartassati da una burocrazia schiacciante, opprimente, che vanifica ogni iniziativa legata al fine stesso della scuola, ovvero la didattica e neanche ad un sano e auspicabile buon senso che spesso risolverebbe molte delle problematiche più immediate. Di certo questo buon senso non è quantificabile, non è un regola scritta ed è basato sull’esperienza professionale del docente ed alla sua sensibilità umana, ma rendiamoci conto di cosa, o meglio, di chi stiamo parlando, rendiamoci conto che l’oggetto e il soggetto in questione è l’essere umano, un bambino che s’affaccia sul mondo o un giovane nella fase più critica della sua formazione, un adolescente, quindi, come poter applicare su di lui regole matematiche e ancor meno ridurre la sua esistenza a semplici restrizioni burocratiche?

Infine aggiungo che, le risoluzioni prese dall’alto, quelle del ministero, si riducono quasi sempre sovrapposizioni burocratiche ad altra burocrazia di per se già stratifica da precedenti provvedimenti, adempimenti da svolgere, documenti da redigere, tempi da rispettare, distogliendo i docenti dal loro reale lavoro, trasformandolo in uno sterile riempimento di carte, utile solo a giustificare l’azione governativa nei confronti del problema più scottante in quel momento, per dare solo l’impressione di aver fatto qualcosa e che quel qualcosa soddisfi chi non ha voglia di vedere, pensare ed agire.