Fairbanks-142, ma cos’è? Che cosa significa? Questa è la domanda che vi sarete sicuramente posti. Siccome non è mia volontà mantenere segreto e criptico questo spazio e non è nella mia indole non spiegare le cose, esaudirò questa e qualsivoglia domande mi porrete su questo e altri argomenti.
Un po’ presuntuoso come inizio, non c’è che dire, ma sono speranzoso che questo spazio che mi son creato, un po’ per gioco, un po’ per quell’innata e necessaria voglia di comunicare possa aprire a tutti la mia persona, non in quanto tale, singolarmente e naturalmente egocentrica, ma preziosa fonte di esperienza, come io ritengo tutti quelli che mi circondano, nel bene come nel male. Credo nella comunicazione delle proprie esperienze, che, sovrastrutture a parte, sono comuni a tutti, almeno nelle necessità e talvolta nelle aspirazioni.
Ma starete già pensando - e sto Fairbanks!? -
Veniamo al dunque; Fairbanks è un importante città dell’Alaska, ma il suffisso 142 ci trasporta verso l’altro significato, metaforico, col quale ho voluto battezzare questo mio blog. Il Fairbanks-142 era un vecchio pullman di linea, di quelli che vediamo di tanto in tanto nei film americani, attivo appunto nell’omonima città. Una volta terminata la sua attività su strada gli fu concessa una seconda opportunità di vita, quella di ospitare cacciatori ed escursionisti in quelle impervie regioni prossime al Circolo Polare Artico.
Un rifugio insomma, di quelli che, nelle notti buie e tempestose, ti sembrano meglio del grand hotel. Fu tale anche per Chris Mc Candless, un ragazzo che sognava, e amava realizzare i suoi sogni. I più informati avranno già capito che faccio riferimento al personaggio di un bel film (e di un bel libro!) di un annetto fa, diretto da Sean Penn. Il film Nelle terre selvagge (Into the wild) che ho trovato ben fatto e fedele al libro di Jon Krakauer da cui è stata tratta la sceneggiatura, supportato tra l’altro dalla suadente colonna sonora di Eddie Vedder, già cantante dei Pearl Jam, è incorniciato in una natura sconvolgente e meravigliosa. Il libro, una sorta di racconto tra il biografico e il cronachistico mi ha fatto invece conoscere una storia, reale, quella di un ragazzo come tanti, con sogni e aspirazioni, e che ad un certo punto della sua vita decide di prendere in mano il suo destino, decidendo di vivere in piena libertà; libertà dal mondo delle convenzioni, dal denaro e dal lavoro quando questi non erano vincolati a una sussistenza vera e propria, e dagli stessi affetti. Chris pagherà con la vita questa sua scelta, a causa anche di inesperienza e sfortuna, e finirà prematuramente i suoi giorni nel suo rifugio, nel Fairbanks-142.
Il prezzo da pagare alla libertà è caro nella società come nella natura, nella prima, non meno crudele della seconda, ti ci si schiaccia nei canoni prestabiliti a botte di convenzioni, in cambio di sicurezze fittizie. Allo stato naturale invece non c’è sicurezza, unico riparo, le proprie capacità, ma lì non esistono compromessi, si è se stessi, fino in fondo, fin anche alle estreme conseguenze.
Come Chris molti, da sempre, varcano il confine tra noi e gli altri, per ritornare con un bagaglio di conoscenza da condividere, non tutti però tornano, vuoi perché non ce l’hanno fatta, vuoi perché preferiscono non tornare. Del resto l’incomprensione o la frustrazione per chi fallisce sono un ottimo deterrente per chi non ha la forza e il coraggio di affrontare le nuove realtà e ci si schiera in massa dietro le più svariate attenuanti, facendosi forza con il senso comune delle sicurezze precostituite.
Per me quindi il Fairbanks-142 è un luogo franco, dove ci si può incontrare, dove si può discutere dei più svariati argomenti, dove l’unica regola ferrea è quella di essere se stessi, con i rischi che ne conseguono ma con la certezza di vivere ancora, senza preconcetti, senza ipocrisia.
Chris, con la sua vicenda ha innescato una serie discussioni e diatribe dove c’era chi lo vedeva come una sorta di eroe romantico, chi un poco di buono che non sapeva come spendere la sua vita. Per me resta una persona che ha voluto provare a uscire fuori dai canoni prestabiliti della nostra società, per raggiungere una conoscenza più alta, e che non fosse soltanto frutto del possesso, ma di una reale essenza. La ricerca di quella felicità e consapevolezza che scaturiscono non dal poter ottenere le cose, ma concepirle, e magari farle anche materialmente, vivendo da protagonisti le proprie esistenze e non semplici spettatori. In effetti si rischia in questo modo di esser considerati dei balordi, ma il vero rischio è quello di perdere il possesso di se stessi.
Un po’ presuntuoso come inizio, non c’è che dire, ma sono speranzoso che questo spazio che mi son creato, un po’ per gioco, un po’ per quell’innata e necessaria voglia di comunicare possa aprire a tutti la mia persona, non in quanto tale, singolarmente e naturalmente egocentrica, ma preziosa fonte di esperienza, come io ritengo tutti quelli che mi circondano, nel bene come nel male. Credo nella comunicazione delle proprie esperienze, che, sovrastrutture a parte, sono comuni a tutti, almeno nelle necessità e talvolta nelle aspirazioni.
Ma starete già pensando - e sto Fairbanks!? -
Veniamo al dunque; Fairbanks è un importante città dell’Alaska, ma il suffisso 142 ci trasporta verso l’altro significato, metaforico, col quale ho voluto battezzare questo mio blog. Il Fairbanks-142 era un vecchio pullman di linea, di quelli che vediamo di tanto in tanto nei film americani, attivo appunto nell’omonima città. Una volta terminata la sua attività su strada gli fu concessa una seconda opportunità di vita, quella di ospitare cacciatori ed escursionisti in quelle impervie regioni prossime al Circolo Polare Artico.
Un rifugio insomma, di quelli che, nelle notti buie e tempestose, ti sembrano meglio del grand hotel. Fu tale anche per Chris Mc Candless, un ragazzo che sognava, e amava realizzare i suoi sogni. I più informati avranno già capito che faccio riferimento al personaggio di un bel film (e di un bel libro!) di un annetto fa, diretto da Sean Penn. Il film Nelle terre selvagge (Into the wild) che ho trovato ben fatto e fedele al libro di Jon Krakauer da cui è stata tratta la sceneggiatura, supportato tra l’altro dalla suadente colonna sonora di Eddie Vedder, già cantante dei Pearl Jam, è incorniciato in una natura sconvolgente e meravigliosa. Il libro, una sorta di racconto tra il biografico e il cronachistico mi ha fatto invece conoscere una storia, reale, quella di un ragazzo come tanti, con sogni e aspirazioni, e che ad un certo punto della sua vita decide di prendere in mano il suo destino, decidendo di vivere in piena libertà; libertà dal mondo delle convenzioni, dal denaro e dal lavoro quando questi non erano vincolati a una sussistenza vera e propria, e dagli stessi affetti. Chris pagherà con la vita questa sua scelta, a causa anche di inesperienza e sfortuna, e finirà prematuramente i suoi giorni nel suo rifugio, nel Fairbanks-142.
Il prezzo da pagare alla libertà è caro nella società come nella natura, nella prima, non meno crudele della seconda, ti ci si schiaccia nei canoni prestabiliti a botte di convenzioni, in cambio di sicurezze fittizie. Allo stato naturale invece non c’è sicurezza, unico riparo, le proprie capacità, ma lì non esistono compromessi, si è se stessi, fino in fondo, fin anche alle estreme conseguenze.
Come Chris molti, da sempre, varcano il confine tra noi e gli altri, per ritornare con un bagaglio di conoscenza da condividere, non tutti però tornano, vuoi perché non ce l’hanno fatta, vuoi perché preferiscono non tornare. Del resto l’incomprensione o la frustrazione per chi fallisce sono un ottimo deterrente per chi non ha la forza e il coraggio di affrontare le nuove realtà e ci si schiera in massa dietro le più svariate attenuanti, facendosi forza con il senso comune delle sicurezze precostituite.
Per me quindi il Fairbanks-142 è un luogo franco, dove ci si può incontrare, dove si può discutere dei più svariati argomenti, dove l’unica regola ferrea è quella di essere se stessi, con i rischi che ne conseguono ma con la certezza di vivere ancora, senza preconcetti, senza ipocrisia.
Chris, con la sua vicenda ha innescato una serie discussioni e diatribe dove c’era chi lo vedeva come una sorta di eroe romantico, chi un poco di buono che non sapeva come spendere la sua vita. Per me resta una persona che ha voluto provare a uscire fuori dai canoni prestabiliti della nostra società, per raggiungere una conoscenza più alta, e che non fosse soltanto frutto del possesso, ma di una reale essenza. La ricerca di quella felicità e consapevolezza che scaturiscono non dal poter ottenere le cose, ma concepirle, e magari farle anche materialmente, vivendo da protagonisti le proprie esistenze e non semplici spettatori. In effetti si rischia in questo modo di esser considerati dei balordi, ma il vero rischio è quello di perdere il possesso di se stessi.