mercoledì 8 gennaio 2025

Il solito nemico alle porte

 


Io capisco tutto e tutti, capisco anche che esista una dialettica tra le parti e che, per sostenere le proprie tesi, ognuno cerchi di tirare acqua al proprio mulino. Capisco pure i timori che le persone possano avere nei confronti degli sconosciuti, verso l’ignoto più indotto che reale, e prendo atto delle incognite e delle problematiche che scaturiscono da un’immigrazione spesso ingestibile o mal gestita e soprattutto inarrestabile da che mondo è mondo, ma non accetto la mistificazione della realtà.

Soprattutto non accetto le generalizzazioni, che fanno male sempre a tutti, a chi le subisce ma anche a chi le fa, ma sopra ogni cosa, non posso assistere in silenzio a proclami governativi infondati e che vanno in maniera talvolta opposta ai dati reali, soprattutto quando questi sono quelli ufficiali e prodotti da organi afferenti al governo stesso.

Secondo l’attuale governo, l’Italia è preda di un’invasione straniera e di conseguenza i nostri confini vanno protetti ad ogni costo da questa inesorabile avanzata. Ora, senza volermi soffermare sulle rotte migratorie e dei tanti paesi interessati nei vari anni da questi flussi, e con cifre spesso rilevanti col mutare degli eventi bellici e climatici e non sempre a scapito del nostro paese; situazioni che meriterebbero quindi altro spazio per un approfondimento. Mi rivolgo però ai più recalcitranti negazionisti del neofascismo e chiedo a loro se le affermazioni governative ricordino più il ventennio fascista che una democrazia del ventunesimo secolo. Inoltre, pare, sempre secondo altri ministri, che pure dovrebbero occuparsi più del loro dicastero che del fenomeno migratorio, che a commettere i reati siano gli stranieri più degli italiani quasi come se l’immigrato, l’extracomunitario, il nero, il marocchino, o in qualsiasi altro modo lo si voglia chiamare, sia il male assoluto, ben coadiuvati da una stampa che mette in risalto ogni reato commesso dallo straniero, soprattutto se questo ha la pelle scura e viene dal sud del mondo.

Un modo come un altro per distrarre l’opinione pubblica dalle proprie inadempienze o da quelle politiche economiche meno popolari e meno accattivanti della creazione di un nemico, un nemico che ci distragga da altro. Ma siccome è giusto verificare con dati alla mano quanto sospettato da chi ha un minimo di scetticismo e scarno di preconcetti, si fa notare che la popolazione carceraria italiana, in data 31 gennaio 2024 è costituita da 60.637 detenuti totali di cui 18.985 stranieri; di questi 44.555 sono gli italiani con condanna definitiva e 13.407 gli stranieri.

Ora posta la presunzione di innocenza statutaria nel nostro paese e la presenza di circa 5 milioni di stranieri registrati in Italia, i condannati stranieri per vari reati in Italia sono circa lo 0,27% della popolazione straniera presente nel nostro paese contro un più basso 0,08% dei detenuti italiani e calcolato sulla popolazione totale di circa 59.000.000 di abitanti che, al netto dei su citati 5 milioni di stranieri, non cambia che in maniera infinitesimale. Tutto questo ragionamento vorrebbe dimostrare che, utilizzando il fattore della condanna definitiva come elemento caratterizzante di una presenza criminale nel nostro paese, risulta che nelle nostre carceri è maggiore la presenza degli italiani rispetto a quella degli stranieri. Ovviamente, così come sopra illustrato, le cose cambiano se valutiamo il discorso in base alla percentuale dei condannati in via definitiva stranieri rispetto al numero complessivo della popolazione non italiana presente in Italia.

Ammesse le attenuanti economiche e le normative più restrittive rispetto alla popolazione straniera ed extracomunitaria, potremmo ammettere che, benché maggiore, la percentuale dei condannati stranieri è irrisoria rispetto al contesto globale ma soprattutto se è vero che i reati non caratterizzano il paese di provenienza, l’etnia, etc., come vorrebbe invece qualcuno, a questo punto, se questo fosse una discriminante reale dovremmo incominciare a porci dei seri problemi interni, soprattutto se valutassimo la popolazione carceraria italiana in base alla provenienza regionale interna, dove si evincerebbe un primato della presenza, nelle patrie galere, della popolazione campana e in linea globale quella delle regioni meridionali, almeno valutando l’andamento degli ultimi vent’anni.

Qual è il problema quindi, il reato o chi lo compie? Cosa cambia se sono vittima di un crimine, se a commetterlo è un italiano o uno straniero, se è un umbro o un pugliese, un campano o un valdostano?

1 . https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?facetNode_1=3_1_6&facetNode_3=1_5_31&facetNode_2=3_1_6_0&previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST613918#

2.

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST459008

3.

https://noi-italia.istat.it/pagina.php?L=0&categoria=4&dove=ITA

martedì 7 gennaio 2025

“Cosa vuol dir sono una donna ormai ... “

 

Inutile appellarsi al buon senso e alla ragione, o ancor peggio alla religione, il nostro è un paese misogino, ed hai voglia di parlare di sante, madonne ed eroine; la donna, per una larga fetta degli abitanti di questo paese, rimane tale, ovvero un essere inferiore, un qualcuno, e a questo punto potremmo dire anche, un qualcosa, che deve stare al suo posto, possibilmente il proverbiale focolare, in famiglia, con i figli, a servire gli uomini e il marito.

Quindi perché, secondo costoro, queste dovrebbero andare in territori pericolosi a fare le giornaliste come Cecilia Sala? Che lascino fare ai maschi queste cose! Perché lavorare per le ONG in territori bellici come fecero Greta e Vanessa? Perché farsi rapire, arrestare, se non di peggio, quando esistono già gli uomini per affrontare le crisi del pianeta? Per non parlare poi dei riscatti e degli altri compromessi che l’agire di queste obbligherà i nostri politici ad affrontare situazioni quanto meno imbarazzanti, salvo essere uomini, maschi o marò. Nel migliore dei casi, ci si troverà davanti ad un paternalismo che lascia trasparire un atteggiamento verso le donne, nei fatti, non tanto distante da quella parte del mondo islamico che additiamo come incivile ma che mettiamo in atto nella sfera privata delle nostre case e delle nostre menti.

L’impressione forte è quella de: “se l’è andata a cercare”. In altre parole, così come una ragazza, secondo purtroppo il senso comune, merita le molestie sessuali se veste abiti succinti o passeggia in orari ritenuti non consoni per una donna in determinati contesti, ritenuti non sicuri; allora lo stesso varrà per quelle donne che decideranno di fare cose da uomini o che fino ad oggi erano appannaggio maschile.

Ecco, nonostante le leggi, talvolta anche all’avanguardia, nonostante un politicamente corretto che parifica la donna all’uomo, esiste un sostrato culturale spesso, denso, ma neanche tanto profondo, che pensa l’esatto contrario, depersonalizzando la donna, incasellandola, non sempre suo malgrado, in contesti ristretti e delimitati a ciò che tradizione comanda, cucina, famiglia e diciamocela tutta, oggetto sessuale; e se la si ama lo si fa come si ama un cane o un qualsiasi altro animale domestico, e pronti a castigarla nel momento in cui questa trasgredisce le regole e sopprimerla quando non serve più, vedasi femminicidio.

mercoledì 1 gennaio 2025

I giovani

 


I giovani, i giovani! Ma cosa sono i giovani? Chi sono? La proiezione del nostro passato, una speranza per il nostro futuro? O semplice e demagogico nepotismo?

Un po’ come accade con le quote rosa, si parla sempre più spesso di giovani all’interno dei gruppi politici e in quelli delle associazioni, ma cosa siano i giovani, così come tanti altri concetti inflazionati dallo sterile parlare per slogan, leggasi anche quello dell’ambientalismo, non è ben chiaro. Ma partiamo innanzitutto dall’aspetto cronologico, a quale fascia d’età stiamo facendo riferimento? Di chi stiamo parlando, degli studenti? E quali studenti? Quelli nell’età dell’obbligo scolastico? I diciottenni? I ventenni? I trentenni? Od oltre, vista la gerontocrazia della classe dirigente italiana?

Relativamente agli studenti, quando si parla delle problematiche italiane, quando si parla di violenza giovanile o di genere, ma anche quando si parla di ambiente e lavoro, si mette in mezzo sempre la scuola, quasi come se questa non facesse nulla a riguardo e come se bastasse questa sola istituzione a mandare avanti l’intera macchina sociale. Temo invece che, più che alla scuola, in balìa degli umori di una politica decontestualizzata da ogni realtà tangibile e di una visione a compartimenti stagni della società, si punti alla massa inerme e quasi sempre acritica dei giovani che affollano le aule scolastiche, più a loro che ai problemi che li attanagliano, plagiandoli e facendone uso e consumo per i propri scopi elettorali e per nascondere le proprie inadempienze morali e istituzionali ed usando la scuola come capro espiatorio per colpe, molto spesso, altrui.

Ma la domanda delle domande, oltre a capire chi è giovane, è: cosa deve fare un giovane per essere considerato tale?

Di certo un ragazzo in età scolare, non può che avere come punto di riferimento gli adulti a lui più vicini, i genitori in primis ma anche i parenti più prossimi, i famosi zii e i cugini più grandi che, nel bene come nel male, hanno praticamente da sempre formato la nostra coscienza sociale e politica in età di pubertà. Questa formazione familiare è, oggi come oggi, ancora forte, anche davanti alla progressiva delegittimazione dell’istituzione scolastica, considerata ormai più un obbligo che una necessità.

Ma anche l’educazione parentale, così come quella scolastica, in famiglie sempre più frazionate, è messa anch’essa seriamente in discussione dall’incalzante e immanente cultura della rete che, attraverso gli smartphone, sta praticamente sostituendo genitori, parenti e affini, in virtù di una velocità e facilità d’accesso alle informazioni senza precedenti ma che non può essere considerata in senso assoluto la fonte per eccellenza, per qualità, scarsa perizia e moralità; sì, la moralità, perché la morale comune, quando applicata e forgiata sulla cultura di un popolo, metteva una volta quasi sempre le cose in regola, certo, con i suoi pro e i suoi contro, ma di certo con regole tutto sommato condivise dall’esperienza e migliori senz’altro del relativismo amorale di internet, quello che non insegna a porre freni ai nostri istinti irrazionali e soprattutto non fa sì che ci sia qualcuno che ponga freno alle sue e nostre aberrazioni, molto spesso enfatizzate in maniera voluta o frutto indiretto della viralità e non della correttezza dell’informazione condivisa, frutto dell’indicizzazione dell’algoritmo.

Al netto di tutto ciò, e nel vano tentativo di capire chi è giovane e chi no, la spesso remunerativa carriera di imitatori, più o meno consapevoli, di questi diversamente vecchi che ci ostiniamo a chiamare giovani, va avanti ben oltre la maggiore età e si spinge fino alla cosiddetta età della ragione. Quest’età potrebbe essere quella nella quale si decide di mettere su famiglia o, quanto meno, quella in cui si decide di prendere in mano il proprio destino e che, ovviamente, come molti sanno, è un’età che si sposta sempre più in avanti e ciò accade per tanti motivi e non sempre vincolati alla contingenza economica. Spesso prevale anche la scarsa volontà di affrontare responsabilità e compromessi, verso i propri partner ma anche verso la stessa società che sconti di certo non te ne fa e quindi meglio essere eterni fidanzati, eterni figli di famiglia, cittadini con diritti ma senza doveri da affrontare.

I Primi complici di questa attitudine, assai diffusa lungo lo Stivale, sono gli stessi genitori che spalleggeranno i propri virgulti fino alla fine dei loro giorni, cosa naturale, per carità, ma al limite del patologico là dove viene a mancare la presa di coscienza che i figli, oltre a non essere angeli asessuati, sono anche persone con precise responsabilità verso se stessi e gli altri. Persone che dovrebbero avere una propria posizione nella società che non fosse esclusivamente quella di figli, persone con un esempio da dare soprattutto in caso di maternità e paternità, attività anche queste demandate a loro volta ad altro o ad altri, chiudendo in tal modo il circolo vizioso della delegittimazione e della deresponsabilizzazione.

Ecco quindi che, in questo nebuloso mondo dei giovani ci troviamo in un ancor più incognito contesto dove non si capisce ancora quale debba essere la funzione dei giovani, se proiezione delle nostre speranze di vecchi (a questo punto ci verrebbe da chiederci chi è vecchio chi?) o strumento demagogico di chi deve riempire programmi elettorali troppo scarni e privi di reali contenuti.

Io ho quasi sessant’anni e non posso, e non voglio essere considerato giovane, e neanche giovanile, non lo voglio, e non solo perché sono cosciente dei miei limiti fisiologici, ma anche e soprattutto perché cosciente di essere il frutto del confronto e dello scontro con chi mi ha preceduto. Sono stato ovviamente giovane per poter stare ancora qui a scrivere di queste amenità, posso farlo quindi in virtù dell’insegnamento ricevuto da chi ha vissuto e chi è nato prima di me, da chi mi ha indicato la strada giusta, ma anche da chi mi ha indicato quella sbagliata ma, sopra ogni cosa, grazie a chi mi ha insegnato a scegliere.

Questa è la funzione del giovane, quella di apprendere a non esserlo più, così come quella di noi vecchi è quella di carpire quella scintilla che accende il fuoco della giovane età e far sì che non sia un fuoco di paglia ma una fiamma continua che alimenti la voglia di crescere, apprendere e costruire un mondo migliore ma soprattutto di insegnare a scegliere, non di indicare la scelta giusta o presunta tale, perché non ne abbiamo né il diritto, né spesso, tanto meno la dignità, ma perché le scelte sono tali solo se personali. Le scelte sono la presa di responsabilità che rendono i ragazzi uomini o viceversa nel caso contrario, perché nella vita vince chi sceglie, non chi attende che lo facciano paternalisticamente gli altri per loro.

venerdì 24 maggio 2024

domenica 7 aprile 2024