giovedì 25 settembre 2025

Gli orsi che volano

C’era da aspettarselo, dopo i gatti kamikaze, i cervi, i lupi e i cinghiali arrivano pure gli orsi immaginari.

Stavolta non è più il Vesuvio con “i cinghiali che sbranano le persone“ ma è sempre un altro splendido vulcano campano ed area protetta, quella di Roccamonfina, a portare alla ribalta la presenza di fantomatici animali selvatici.

e accade quindi che ieri, in località Torano, così come avverte in un post il sindaco Carlo Montefusco, appaia d’improvviso un orso. Stavolta però, il singolare incontro, sempre in base alle informazioni ormai divenute virali e diffuse dai social durante tutta la serata del 23, sono state inoltrate al primo cittadino proprio dai Carabinieri del nucleo Forestale di Roccamonfina. Questi ultimi, contattati dal sottoscritto nella mattinata di oggi, confermano la ricezione della segnalazione da parte di una persona che sostiene di aver visto un orso, ma non confermano la veridicità di tale incontro, non essendoci al momento foto che ritraggono l’animale, né tanto meno altre testimonianze dirette o attendibili che riscontrino la presenza dell’animale nei suddetti luoghi.

Innanzitutto, e nella speranza che, prima di allarmare la popolazione, si consulti finalmente uno zoologo o altri esperti del campo, è fondamentale specificare che non esistono corridoi naturali tra il pur lontano Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, dove è effettivamente presente l’orso marsicano, e il Parco Regionale di Roccamonfina. Invece, un luogo dal quale potrebbe, più verosimilmente, arrivare un ipotetico orso, è il neocostituito Parco Nazionale del Matese ma, così come ci informa il biologo ed ex presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Maurizio Fraissinet, sebbene sul versante molisano siano state avvistate tracce irregolari dell’animale, non ci sono attestazioni su quello campano, e non basta; Infatti, sempre come asserisce il naturalista, ammesso e non concesso che un orso possa essersi spostato dal Matese verso Roccamonfina, il plantigrado avrebbe dovuto attraversare l’A1, la ferrovia, la Casilina, l’Appia e una miriade di barriere antropiche che lo avrebbero messo in seria difficoltà se non addirittura procurarne la morte e, soprattutto, viste le sue dimensioni, lo avrebbero reso visibile molto prima del suo arrivo presso la città campana.

Un’altra ipotesi, forse più plausibile, potrebbe essere quella di un possibile abbandono da parte di un circo o di un delinquente che abusivamente lo custodiva, ma andrebbe fatto anche notare che un animale vissuto in cattività sarebbe molto più incline nell’avvicinarsi all’uomo e al suo ambiente ma, al momento, ciò pare non accadere, paventando così un caso molto simile a quello della famigerata pantera beneventana di qualche anno fa, quando tutti cercavano quell’animale che nessuno trovò mai e che forse, altro non era, che un grosso cane scuro, scuro e oscuro come quello avvistato a Roccamonfina.

Ciò che fa più pensare è che dai tempi del proverbiale lupo cattivo delle favole ad oggi, l’animale selvatico viene visto ancora come il catalizzatore delle nostre paure, lo spauracchio di molte problematiche legate al contesto agropecuario, il capro espiatorio per le nostre incoerenze e per le nostre inadempienze. Le reti sociali amplificano poi questo sentimento ancestrale, impedendo, talvolta in maniera subdola, la corretta comprensione di un mondo naturale sempre più contrastato dalla nostra presenza umana; è quindi molto più facile vedere gli orsi volare da un parco all’altro, così come si faceva una volta con gli asini che accettare pacificamente la loro esistenza.

 

Immagini create con l’IA

martedì 16 settembre 2025

Cinghiali, minolli e rostocchi e il mondo fatato della rete.

 

Già in passato ebbi una discussione con una consigliera di Massa di Somma, perché scrisse un post dove raccontava di aver fatto catturare un cinghiale per le strade del suo paese. Quando le feci notare che era un maiale nero, uno di quelle specie straniere, abbandonato da qualcuno, probabilmente perché importato illegalmente, si incazzò e mi portò, come prove attendibili e a conforto della sua tesi, i post presi in rete di privati o anonimi cittadini che asserivano che quello fosse un cinghiale e il fatto stesso che fosse nero ne era per lei la riprova.

Prima ancora ci fu l'immagine del facocero diffusa dalla Regione Campania, quella di un manifesto che paventava la peste suina, trasmessa appunto dai cinghiali e pedissequamente affissa sui muri di Sant'Anastasia là dove, a memoria d’uomo e a rigore di scienza, i cinghiali, né tanto meno i facoceri, non c’erano mai stati. Poi sono venuti gli influencer durante l'incendio del Vesuvio di quest’anno, sempre con i cinghiali, ma stavolta anche con i famosi (e inesistenti anch’essi) cervi vesuviani e la frittata è fatta!

Oggi, purtroppo, leggiamo dalla cronaca locale della tragica morte di un anziano ad Ottaviano, che sarebbe stato “sbranato da volpi, cinghiali o cani”. Nell’attesa degli esami autoptici e delle indagini degli inquirenti, non possiamo non notare l’ennesimo tirare in ballo a sproposito, e senza prova alcuna, dell’immagine terrorifica di animali tutto sommato innocui e, ancora una volta, ad essere sulla ribalta è il cinghiale, anche là dove non c’è.

Ormai dobbiamo rassegnarci, una bugia ripetuta cento volte diventa realtà, sul Vesuvio ci sono i cinghiali! Perché così hanno deciso i social! Ovviamente i prossimi a comparire saranno i lupi e gli orsi ma sono fiducioso anche dell'arrivo di minolli e rostocchi.

Immagine creata con l’IA

sabato 13 settembre 2025

Nazi è chi il nazi fa

 


Ovvero è fascista chi fa il fascista e non chi esprime la propria opinione.

Non sarà un vessillo, una bandiera, uno stemma a farti fascista o comunista ma le tue azioni.

Leggo commenti sull’uccisione dell’attivista politico pro Trump Charlie Kirk, leggo commenti analitici, ma anche di violentemente faziosi e, la maggior parte di questi, corrisponde al classico: se l’è andato a cercare; ovvero: si merita di essere ucciso perché è un fascista.

A questo punto bisognerebbe, prima di stabilire cosa è fascista e cosa non lo è, capire cos’è la destra e cos’è la sinistra oggi, anche perché far coincidere entrambi con il nazifascismo o col comunismo (con il loro atroce bagaglio di repressione del libero pensiero e del libero esistere) non mi sembra affatto corretto. Questo non solo perché le ideologie sono ormai assai annacquate, se non dissolte e relegate, nell’un caso come per l’altro, ad una semplice iconografia e a pochi capisaldi, ma per il semplice fatto che gli opposti si attraggano oggi più che mai.

Demonizzare poi l’avversario politico è un’invenzione vecchia come il mondo, così come quella di trovare il nemico di turno che ti ascolta di nascosto e che ti arreca danno, che ti invade, che violenta le tue donne e ti ruba il lavoro, un timore percepito e spesso indotto da quando l’uomo esiste e produce storia. Ma purtroppo è evidente, da una parte come dall’altra, anche la convinzione che ognuno pretenda di aver ragione, se non addirittura che abbia anche dio dalla propria parte.

La destra sostiene quindi che la sinistra detenga il monopolio della cultura in maniera quasi feudale, mentre la sinistra afferma che i loro antagonisti non siano altro e solo che fascisti e, pertanto, siano antitetici alla cultura stessa. E così, con questi due dogmi, si va avanti, almeno in Italia, dal Dopoguerra ad oggi.

A questo aggiungiamo che il prontuario delle istanze, dei vessilli e delle bandiere delle due compagini si irrigidisce sempre più, soprattutto se si è all’opposizione e va invece affievolendosi quando si va al governo, attuando un pragmatismo tutto democristiano e che spesso accomuna i due schieramenti nella logica della real politik. Ne è una prova il fatto che, ad ogni cambio di governo, quasi mai ciò che si contestava prima, quando si era all’opposizione, viene cambiato poi. Non lo si fa dopo, lo si mantiene o lo si trasforma, perseguendo talvolta il progetto precedente, il tutto sulla linea comune dell’annientamento dello stato sociale. È il caso del decreto Brunetta, della Legge Fornero, del reddito di cittadinanza e così via.

Oggi, lo sfasamento tra destra e sinistra è evidente là dove, in mezzo ai residui ancestrali di un marxismo impolverato e una maglietta di Che Guevara da un lato e l’immancabile busto del Duce dall’altro, i supposti epigoni di Lenin parteggiano ancora oggi per la Russia, mentre quelli di Mussolini per l’Ucraina, quasi come se fosse una partita di calcio. Qualcosa di simile accade con la questione palestinese, in questo caso la destra è assai timida con Israele mentre la sinistra dimentica spesso e volentieri ciò che è Hamas, molto nero e poco rosso; ma si sa che i ritornelli rendono meglio di qualsiasi altro discorso. E così, in maniera antitetica rispetto alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, la sinistra, in particolar modo quella radicale e parte di quella pentastellata, è contro qualsiasi cosa facciano gli USA, mentre la destra è sempre e comunque a favore degli americani.

Purtroppo non c’è via di mezzo, purtroppo e ancor peggio, non c’è dialogo, non c’è ragionamento ma solo ragione da far valere. Ognuno porta avanti i suoi dogmi, le sue teorie e i suoi complotti. I proseliti di destra e sinistra sembrano fatti con lo stampino, pronti a snocciolarti dai loro vademecum del qualunquismo le loro mezze verità e le loro bufale. Attentissimi i sinistrorsi sulle questioni del Donbass: “la guerra è iniziata nel 2014” ma assai recidivi nel criticare il terrorismo di Hamas, per non parlare dei più elementari principi del diritto internazionale. Dal canto suo, la destra, assai allergica alla parola genocidio, porta avanti il vessillo del 7 ottobre come prosieguo della shoah dimenticando le decine di migliaia di morti di Gaza.

Voi mi chiederete, e tu, da che parte stai? Non che questo importi più di tanto ma, proprio per non deviare l’attenzione su di una mia presunta faziosità, io sono sempre stato a sinistra, ma soprattutto sono sempre stato dalla parte della libertà e del diritto e non c’è colore che possa farmi arretrare su questi principi fondamentali. Essere di sinistra, era per me lo stare dalla parte dei più deboli e non dalla parte di una bandiera. Per me i deboli non hanno colore e sono ancora quei popoli privati della loro indipendenza, della loro cultura e della loro emancipazione, oltre che l’esser privati della propria vita.

Io sto dalla parte dei Palestinesi, ma sto anche dalla parte degli ucraini. Sto dalla parte della Global Sumud Flotilla ma inorridisco per l’uccisione di Kirk, anche se sono anni luce lontano dalle sue posizioni. Uccidere il tuo avversario non ti rende eroe, non ti rende martire ma ti rende simile a ciò che vorresti combattere, sei sulla falsa riga di quei fondamentalisti antiabortisti che uccidono i medici che praticano l’aborto. Gli anni settanta e gli anni ottanta dovrebbero averci insegnato che la violenza terroristica non porta a nulla, ha solo rovinato, in un modo o nell’altro, intere generazioni, solo il confronto democratico può vincere, basta solo accettarlo, altrimenti sarai il miglior alleato di chi vuoi avversare, perché a prevalere sarà sempre la violenza e non la ragione, le armi e non il diritto.

Immagine creata con l’IA e modificata dall’autore.

 

lunedì 8 settembre 2025

Più libri più liberi

Puntuale come il Natale e le feste comandate arriva a settembre la polemica del caro libri.

 Quando ero ragazzo non amavo leggere, preferivo la televisione, i film di Bud Spencer e Terence Hill ed altre amenità di quei tempi, come ad esempio la classica partitella di calcio tra amici. All’epoca però, sto parlando degli anni settanta, per fortuna esisteva ancora un’inattaccabile morale comune, quella che imponeva a chi ti stava intorno, parente o affine che fosse, di darti dei sani insegnamenti di vita: sonori paliatoni, cazziatoni a più non posso o semplici lezioni di vita, che ringrazio ancora di aver ricevuto, come oro colato, da chi me li ha consegnati, anche in malo modo, perché anche quelle azioni mi hanno insegnato a vivere.

Tra le tante lezioni che il mondo mi ha dato c’era anche quella del valore della cultura, considerato, quanto meno, come un modo per elevarsi e per utilizzare quell’ascensore sociale che pare oggi essersi arrestato. Ecco quindi che, pian pianino, mi sono avvicinato alla lettura, prima con riluttanza, per imposizione scolastica, poi con curiosità ed infine con entusiasmo. I libri mi hanno dato la libertà, mi hanno fatto conoscere il mondo prima ancora di viaggiare, mi hanno dato le basi per interpretarlo e continuano a farlo ancora, ma mi hanno dato anche le varie visioni che questo nostro mondo possiede, mi hanno dato, più di ogni altra cosa, l’inestimabile facoltà di scegliere e non di minore importanza anche un lavoro.

Oggi, questa ribalta data al mondo della scuola, tra fine agosto e inizio settembre, costituisce l’unico momento dell’anno, assieme a quello degli Esami di Stato/Maturità, in cui si parla del mondo dell’istruzione. Purtroppo se ne parla a sproposito e quasi sempre, come accade per il comparto, senza cognizione di causa o con sottile ma percettibile demagogia.

Prima di andare ai numeri che pare che siano solo quelli a contare, io mi sono sempre chiesto, ma se un meccanico spende una certa cifra per i suoi attrezzi, senza i quali non potrebbe mai lavorare, perché si demonizza poi la spesa, a mio parere, mai eccessiva, dei libri? Non sono forse questi gli attrezzi di chi si appresta ad entrare nel mondo dello studio o del lavoro, della ricerca e dell’insegnamento? Non sono questi gli strumenti su cui investire?

Purtroppo il mondo digitale ha dato l’illusione ai più che sia meglio investire per i propri figli in uno smartphone che in quegli oscuri, pesanti e sorpassati oggetti di carta ma ovviamente non è così.

Non è così nella misura in cui una ricerca in internet, in un motore di ricerca, su di un cellulare o magari in quello sconosciuto oggetto che per molti è il computer, richiede una ben salda base culturale pregressa, tale da aggirare le insidie dell’algoritmo. Sì perché per non fermarsi ai primi risultati che ti consegna Google, per saperlo istruire bene nella ricerca, così come anche bisognerebbe ben fare quando si impartiscono ordini all’intelligenza artificiale, bisogna aver prima studiato. Per capire, ad esempio, perché se gli chiedi l’immagine di un’Ape car ti darà una scimmia che guida un’auto e se gli chiedi un carabiniere armato di carabina te ne darà uno con un moschettone, altrimenti non faremo altro che diffondere l’ovvio in rete presumendo di sapere o essere di informati.

Bisogna quindi essere preparati quando si usa un traduttore on-line, perché la lingua non è solo un insieme di vocaboli incollati tra di loro ma è la matrice culturale di un popolo o di più popoli, cosa che non conosce ancora il traduttore simultaneo che non sa cosa siano le parole polisemiche e che, visto il contenitore in cui attinge l’IA, ovvero la rete, esiste ancora un mondo al di fuori di essa che ancora deve essere addirittura scoperto e per farlo, non basterà di certo un telefonino ma tanta consapevolezza e sana curiosità. Ecco a cosa servono i libri, servono come serve un pallone o una bicicletta a chi s’avvia a conoscere il mondo, prima di affrontarlo con l’uso di macchine più complesse. Soprattutto se si vuole che i propri figli eccellano negli studi che si accingono ad affrontare.

Ed ecco finalmente le cifre che, per decreto ministeriale, impongono ai testi della scuola dell’obbligo di essere calmierati e questo accade ormai da anni e sono invece gratuiti per il ciclo primario d’istruzione. Ciononostante ogni anno si parla di aumenti dei libri di testo, si parla di questi aumenti come se fosse qualcosa di scandaloso perché la cultura ormai è scandalosa, soprattutto quando ti aiuta ad vedere il mondo con occhi diversi. Ma la cultura non paga come diceva qualche ministro di un tempo non molto lontano e mi viene da chiedere come, quel ministro così come l’uomo della strada che asseconda questo andante, possano aver imparato a leggere, scrivere e far di conto, saranno nati già imparati?

I prezzi dei testi non possono sforare il preventivo di spesa imposto, non possono andare oltre una minima percentuale stabilita anch’essa per legge e, qualora accadesse, le sanzioni fioccherebbero per le scuole inadempienti ma ciò nonostante si parla ancora di prezzi vertiginosi. I telegiornali sguazzano in questo pantano mediatico, in un modo, oserei dire, disgustoso poiché l’unica cosa che fanno è quella di intervistare gli acquirenti delle librerie, quasi come se andassero buttare i soldi nel cesso, obbligati dalla lobby degli editori e degli insegnanti, senza interpellare le presunte controparti, come se poi gli insegnati non comprassero libri per se e per i propri figli. Mi chiedo perché non siano mai stati fatti servizi del genere fuori le tabaccherie e i bancolotto, là dove, senz’altro a scapito di salute e cultura e con maggiore dispendio di soldi, vanno senz’altro in fumo migliaia di euro a prescindere gli aumenti e le accise a tal riguardo.

Ad ogni modo, parlare di cinquecento euro se non più per singolo studente e al netto del corredo, che nulla ha a che vedere, con la cultura, non sta né in cielo né in terra, a meno che non si abbiano più figli a scuola e non nella stessa scuola. Ma in tal caso esistono tante soluzioni possibili e legali ma chissà perché il caro palestre, il caro piscina, l’imprescindibile e assai caro telefonino, il cinquantino, il mezzo e il caro tutto non contano, perché la carta, se non si tratta di carta moneta, oggi non serve a nessuno, perché nessuno la vuole e le conseguenze incominciano ad essere più che evidenti.


venerdì 29 agosto 2025

Il genio italico

 

 Salvini non è uno stupido, Salvini è una persona che, per strano che possa sembrare, rasenta la genialità. Salvini fiuta l’aria che tira con perizia da statista e lo fa sulla falsa riga del più grande degli imbonitori italiani, dà al mediocre ciò che vuole, quel che lui vuol sentirsi dire e lo fa sentire il centro del mondo.

Il proteiforme Salvini cambia pelle come le lucertole, è passato dalla sinistra radicale al revanchismo leghista e dal Leoncavallo a Casa Pound in un batter d’occhio. Non solo parla alle pance degli italiani ma rappresenta lui stesso, anche esteticamente, lo stereotipo dell’italiano; fisicamente e soprattutto culturalmente. È cattolico ma non praticante (ammesso che questo abbia una logica) ed esalta tanto la famiglia da aver fatto figli con più donne diverse, fuori e dentro il matrimonio. È tifoso come ogni italiano (anche se questa ormai è una caratteristica imprescindibile di tutti i politici, anche per quelli più radicali ed antitetici al capitalismo); è amante del mare e della buona cucina, sempre come tutti gli italiani, ed è un voltagabbana e un presunto furbo come ogni italiano che si rispetti. Salvini è l’ultraitaliano!

A ciò, in mancanza di altri argomenti, ti tira fuori gli altri assi nella manica, aizzando le masse con le paure ataviche di ogni uomo: il timore per lo straniero, soprattutto se musulmano, così come faceva con i meridionali quando era ancora separatista; oppure rivanga l’eterno astio per i cugini ricchi di Francia e di un Macron che si presta particolarmente alle sue invettive. Ma anche l’ammiccamento ai “bimbi” e ai pensionati, senza per questo fare qualcosa di concreto né per gli uni né per gli altri.

L’esaltazione poi di tutto ciò che è italico o, all’occorrenza, di ciò che è locale, passando dalla Liga Veneta ai neoborbonici, dal Parmigiano alla Mozzarella senza problema alcuno, lo rendono simpatico ovunque lungo lo Stivale, così come in Europa quando passa da Trump a Putin senza vergogna alcuna. Il tutto sapientemente condito con un po’ di terrorismo psicologico no vax, sempre utile all’occorrenza. Tanto a pescare nel vago del luogo comune, non si sbaglia mai.

Del resto la memoria è labile e sono sempre di meno coloro capaci di rispolverarla a monito per se stessi e per le future generazioni, sempre più obnubilate dalla rapidità e dall’insipienza di un’informazione sensazionalistica.

Ecco! Questo è il capolavoro Salvini, nessuno può stargli dietro, nemmeno quando fa meschine figure di strame come quella col sindaco polacco di Przemysl, che lo accusava di essere filorusso. Ad ogni modo lui ha la dote più importante di un politico di razza ed è quella della faccia tosta, ovvero sostenere l’inammissibile ad ogni costo e in questo lui è da oscar e nessuno sa farlo meglio, e nessuno potrà durare più a lungo di lui, perché lui è la sintesi dell’Italia attuale ovvero un coacervo di passato e futuro condito di timori e credenze ancestrali e un finto richiamo alla modernità.

Una volta mi chiedevo se fosse nato prima Belusconi o il berlusconismo e, risalendo all’edonismo reaganiano di D’Agostino e alla Milano da bere di Craxi e i soci della prima repubblica, qualche spiegazione me la sono pure data ma ora mi chiedo, altrettanto retoricamente: chi è nato prima, Salvini o lo stronzismo?

giovedì 28 agosto 2025

Ambientalista chi?

Ci sono almeno tre tipi di ambientalista: il buono, il brutto e il cattivo!

Il Cattivo 

È quello istituzionalizzato, quello che appartiene alle grandi associazioni nazionali, quelle corazzate e intangibili che, forti delle centinaia di migliaia di iscritti e dalle solide basi politiche, puntano più al globale che al locale. Quelle che parlano di ecomafie ma senza fare nomi e cognomi, e che puntano tutto sulle scuole, sulle giornate ecologiche, sulla stampa accondiscendente e sulle reti sociali per giustificare la loro talvolta inutile esistenza e il loro essere fini a se stesse.

Il brutto

  Poi c’è l’ambientalista fondamentalista, quello che vede il male dappertutto anche là dove non ce n’è. Vede complotti ovunque e si indigna per tutto tranne che per le cause concrete del male che vorrebbe combattere. Anche in questo caso, in maniera meno organizzata, più spontanea e occasionale, quest’invasato guarda sempre il dito e mai la luna, perché così anche a lui conviene. Nel momento poi, in cui sbatte la testa contro la dura realtà, decide si tirarsi indietro, per ricomparire alla prossima occasione di visibilità o in qualche tornata elettorale.

Il buono

  Infine vorrei citare l’ambientalista vero, ammesso che ce ne siano ancora, o che ce ne siano veramente stati in questo paese. Non quello politicizzato, non quello fanatico ma quello che studia o, quantomeno, conosce molto bene la realtà di cui parla. Forse è l’unico che frequenta il territorio e dal quale generalmente proviene, conosce la realtà globale, spesso collegata con la sua, ma prende di petto quella locale e lo fa a suo rischio e pericolo.  l’unico che ci mette la faccia ed è l’unico che denuncia con atti concreti ciò che accade sulla sua terra, senza creare cortine fumogene, quelle utili a chi non vuol sporcarsi le mani o chi sciacquandosi la faccia con la sua retorica “green” è complice del suo presunto nemico.

A quest’ultima categoria, loro malgrado, appartengono anche quei martiri e quegli eroi che saranno opportunamente sfruttati dalle due precedenti, quelle che brilleranno della loro luce riflessa portando avanti un nome o un logo all’antitesi della loro missione.

martedì 26 agosto 2025

I giovani in fuga da noi stessi

 

Molti lamentano la fuga di cervelli all’estero; una folta schiera di rappresentanti istituzionali e della società civile invitano i giovani a non andare all’estero o a ritornare nei loro paesi d’origine.

Fermo restando che l’essere umano dovrebbe essere libero di muoversi e spostarsi là dove vuole e senza confine alcuno, in un luogo che ritiene essere più congeniale al proprio stile di vita e alle proprie aspirazioni, bisognerebbe a questo punto capire, analizzare meglio, il perché i giovani, così come per altre ragioni facevano i loro nonni e i loro bisnonni, continuano ad emigrare. Non essendo un sociologo, porterò ad esempio la mia esperienza familiare.

Mia figlia

Mia figlia vive stabilmente in Spagna da almeno 6 anni e non è intenzionata minimamente a tornare né in Italia, né tanto meno a Napoli. Mia figlia ha due lauree ma non ha disdegnato, come del resto il padre, lavori considerati più umili. Ha conosciuto tutti i livelli di un contesto lavorativo straniero ed ora lavora nelle risorse umane di una multinazionale. Ogni impiego, mia figlia se l'è trovato da sola, senza raccomandazione paterna, senza scendere a compromessi con niente e con nessuno e con tutti i diritti garantiti, inclusi, sembra assurdo dirlo, anche quelli economici. Già questo basterebbe a trattenerti nella Penisola Iberica, come in qualsiasi altro luogo del mondo dove non sia normale lavorare sottopagati o, addirittura, senza percepire reddito alcuno, come è capitato a me, nonostante non fosse stata mia intenzione farlo e nonostante una causa di lavoro vinta all’attivo.

La ricerca della felicità

Ma, un'altra cosa non viene tenuta in conto da chi lamenta la fuga dei giovani verso altri paesi, ed è quella che, altrove, si vive meglio! Ci riempiamo la bocca dei primati borbonici ma perdiamo d'occhio i primati negativi del nostro Paese e, soprattutto, della nostra bella Napoli. Forse, quei presunti e senz’altro anacronistici primati servono proprio a quello, a nascondere il nostro stato miserrimo e, magari, anche la nostra inerzia. Pare che, secondo i più, le indubbie bellezze della nostra città e del Belpaese tutto, bastino a trattenere qualcuno che non sia un turista; ma, le tanto decantate contraddizioni di Napoli, possono divertire una persona in vacanza ma di certo non un ragazzo che vede quotidianamente mortificate, non solo le sue aspirazioni, ma anche la sua dignità; parlo ovviamente di ragazzi poiché noi adulti, quando non siamo diventati parte di questo sistema balordo che ormai giustifica l’ingiustificabile, dovremmo aver già trovato, in un modo o nell’altro, la soluzione alle nostre di frustrazioni.

L’esempio della Spagna

Badate bene, nel caso di mia figlia sto parlando di Spagna e non di Germania, di paesi scandinavi, o altri dove lo stato sociale è ancora più solido e unanimemente riconosciuto. Tenete presente che, benché il PIL spagnolo sia più basso del nostro, lì, oltre ad essere tendenzialmente in ascesa, contrariamente al nostro, esiste ancora uno stato sociale degno di questo nome e dove tutto, anche se in maniera farraginosa va ancora avanti e senza la necessità di intercessione dell’amico o del parente di turno e soprattutto non ancora definitivamente svenduto al privato.

La Spagna non è il paradiso in terra, la Spagna è un paese normale! È un paese con i suoi problemi ma dove, se un monoreddito che vive in un’area interna del paese, vuole portare la famiglia al mare, non dovrà indebitarsi per fare le sue vacanze e cedere al ricatto dei balneari perché, prendendo un’autostrada gratuità potrà raggiungere una spiaggia attrezzata dallo stato e altrettanto gratuita. Il bagno a mare non è tutto ma è già tanto; potrei parlarvi dei parchi cittadini con annesse aree per i bambini, presenti in ogni città e ogni luogo, anche il più sperduto; degli spazi per gli anziani e per i diversamente abili, delle piste ciclabili reali e non nominali come quelle che spacciano i nostri governanti o chi opportunisticamente li asseconda, nel migliore dei casi volendo vedere un bicchiere mezzo pieno e non lo squallore nel quale essi stessi circolano curnuti e mazziati. A volte basterebbe poco per trattenere una persona nel luogo dove vive, basterebbe il poter passeggiare in sicurezza nel centro storico e una sacrosanta normalità, e non la Disneyland partenopea.

Non si vive di sola pizza

I giovani quindi vogliono essere liberi, liberi di scegliere il loro futuro e vivere in un contesto con un minimo di normalità, i giovani che se ne vanno perché se li azzeccano i pittoreschi contrasti della Napoli di Maurizio De Giovanni e il suo folclore prêt-a-porter, del murale di Maradona e dell’ottima cucina, o di quella sua unicità che mortifica e che spesso uccide.

Il genio italico non è un qualcosa di innato da esportare all’estero, ma è quel naturale istinto alla sopravvivenza che si elabora sin dai primi anni di vita, nelle aule scolastiche fatiscenti, nei mezzi pubblici inesistenti, nelle interminabili file agli sportelli, nelle indicazioni stradali sovrapposte e nella vana ricerca di una legalità che non c’è e nel divincolarsi tra gli strali di false promesse di benessere e realtà sconfortanti.

I giovani vogliono essere se stessi e non l’immagine stereotipata di un napoletano!

Immagine creata con l’IA

PS: vedere i miei colleghi palestinesi morire per raccontare e riportare la realtà mi fa sentire male e anche un po’ fuori luogo quando scrivo di queste amenità. Ma mi rendo anche conto che il comunicare non ha colore, non ha tempo, è un istinto primario e basta. W la Libertà! W la Palestina libera!