A volte credo che le persone cerchino degli alibi per stare a posto con la propria coscienza e continuare a fare, così come facevano prima, ciò che volevano. Un po’ come fa quel ragazzo che getta la carta a terra forte del luogo comune del così fan tutti, ma lo fa con la mano dietro le spalle, per evitare che qualcuno possa vederlo, perché lui sa che non è corretto farlo, gliel’hanno detto a scuola, ma è più forte di lui, la pressione sociale di un mondo retrogrado, opportunista ed egoista gli impone di non tenere quella la carta in tasca fino al prossimo cestino perché, così come il pacchetto di sigarette e l’involucro delle caramelle, va gettato sull’asfalto, perché non è degno conservarlo, il vero uomo usa e getta, non conserva ciò che non serve, né tanto meno ricicla, perché: “tanto mischiano tutto”. Chissà quanto c’entri in tutto questo il nostro ormai consolidato consumismo o l’effettiva ignoranza nel distinguere ciò che organico da ciò che è inorganico o da ciò che è tuo da ciò che è di tutti.
Questo ed altro pensavo ieri durante l’escursione da me
organizzata per la Sottosezione CAI
Vesuvio, in commemorazione del trentennale
della morte di Angelo prisco. Lo pensavo quando camminavo tra il lapillo
lavico di una Valle dell’Inferno ridotta realmente ad un qualcosa di infernale
dall’ultimo e disastroso incendio, uno scenario post-atomico, monumento
trionfale della nostra insipienza. Pensavo a quante menzogne sono state
dette durante quell’incendio, quante bufale sono state diffuse pur di non
ammettere le nostre di colpe, ovvero quelle di non curare il nostro patrimonio,
quelle di gridare allo scandalo solo a cose fatte e cascare dalle nuvole
ostentando finta indignazione e senza per questo aver fatto nulla in quegli
otto anni di intervallo dall’ultimo grande incendio. La stessa ipocrisia di chi
si ostina ancora a voler vedere altro dietro l’omicidio di Angelo Prisco, la
stessa ostinata incapacità nel non voler vedere la mafia che è in noi, la
camorra che abbiamo dentro, perché le colpe non sono mai nostre, sono sempre di
qualcun altro e ancor meglio se dietro di queste si nasconda un oscuro
complotto a far danni e protrarli nel tempo, in tal modo allontaneremo ancor di
più le nostre responsabilità e la soluzione stessa di ogni problematica.
Arrivando allo Slargo della legalità, con la tristezza dentro trovo, accanto alle immancabili bucce d’arancia e di banana, ormai caratteristiche della pinetina che persiste nello Slargo, un inusitato cumulo di rifiuti attorno ad un secchio, anch’esso di recente acquisizione. Fatta la sosta pranzo e siccome eravamo in tanti e forniti di buste, decidiamo, che sia opportuno raccogliere quello schifo. Svuotando il secchio, scopro sul fondo, tra i rifiuti, una pietra lavica, messa lì a mo’ di contrappeso. Ne deduco che chi l’aveva messa, sapeva cosa faceva e perché lo faceva. A questo punto, pur concedendogli il beneficio della buona fede, sappiamo benissimo come vanno a finire le cose dalle nostre parti quando si lascia la spazzatura per terra e, soprattutto, chi li avrebbe mai raccolti fin lassù tutti quei rifiuti contenuti in quel secchio? Se L’ente parco ha deciso di non mettere i cestini per la loro raccolta lungo i sentieri, c’è una ragione, c’è una logica , se non altro legata al fatto che quel luogo sia impervio e raggiungibile via terra solo con mezzi speciali a trazione integrale oltre che a piedi. Sappiamo anche molto bene che, con la tristissima esperienza fatta con l’emergenza rifiuti del nostro recente passato, ma anche guardando le corsie di ingresso e i cavalcavia della SS 268 e della SS 162, che basta un sacchetto gettato in una zona di passaggio per generare una piccola discarica, perché è risaputo che, se lo fanno gli altri, quasi per istinto lo faccio pure io, e posso farlo gratificandomi dello stato miserrimo dei luoghi e di non avere il primato del primo lancio e magari prendendomela anche con lo stato che non pulisce; tanto, lo ripeto, la colpa, è sempre degli altri.
Quindi chi ha messo lì quel secchio pensava di aver assolto
ai suoi doveri civici perché aveva dimostrato la buona volontà di mettere un
recipiente per i rifiuti, senza sapere che aveva invece innescato un processo negativo
che avrebbe rischiato di creare in quel luogo, per emulazione, una discarica
fatta di bottiglie di plastica, scarto organico alimentare, involucri di
barrette energetiche e gel proteico dei tanti sportivi che frequentano la zona
e che di certo rientrano nel novero di cui sopra, ovvero di coloro che nel loro
sforzo fisico non possono pensare a come disfarsi in maniera ecologica dei
propri rifiuti, ed ecco la trovata del secchio! E così ci si pulisce anche la
coscienza, ma non di certo il Vesuvio.
Inutile infine parlare di teoria de
vetri rotti e di uno stato pressoché assente in quel contesto perché
affronteremmo un contesto troppo elevato per chi vi sovraintende e soprattutto,
anche in quel caso, la colpa sarà, ancora una volta di qualcun altro e magari
pure la mia che scrivo di queste cose.

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