venerdì 29 agosto 2025

Il genio italico

 

 Salvini non è uno stupido, Salvini è una persona che, per strano che possa sembrare, rasenta la genialità. Salvini fiuta l’aria che tira con perizia da statista e lo fa sulla falsa riga del più grande degli imbonitori italiani, dà al mediocre ciò che vuole, quel che lui vuol sentirsi dire e lo fa sentire il centro del mondo.

Il proteiforme Salvini cambia pelle come le lucertole, è passato dalla sinistra radicale al revanchismo leghista e dal Leoncavallo a Casa Pound in un batter d’occhio. Non solo parla alle pance degli italiani ma rappresenta lui stesso, anche esteticamente, lo stereotipo dell’italiano; fisicamente e soprattutto culturalmente. È cattolico ma non praticante (ammesso che questo abbia una logica) ed esalta tanto la famiglia da aver fatto figli con più donne diverse, fuori e dentro il matrimonio. È tifoso come ogni italiano (anche se questa ormai è una caratteristica imprescindibile di tutti i politici, anche per quelli più radicali ed antitetici al capitalismo); è amante del mare e della buona cucina, sempre come tutti gli italiani, ed è un voltagabbana e un presunto furbo come ogni italiano che si rispetti. Salvini è l’ultraitaliano!

A ciò, in mancanza di altri argomenti, ti tira fuori gli altri assi nella manica, aizzando le masse con le paure ataviche di ogni uomo: il timore per lo straniero, soprattutto se musulmano, così come faceva con i meridionali quando era ancora separatista; oppure rivanga l’eterno astio per i cugini ricchi di Francia e di un Macron che si presta particolarmente alle sue invettive. Ma anche l’ammiccamento ai “bimbi” e ai pensionati, senza per questo fare qualcosa di concreto né per gli uni né per gli altri.

L’esaltazione poi di tutto ciò che è italico o, all’occorrenza, di ciò che è locale, passando dalla Liga Veneta ai neoborbonici, dal Parmigiano alla Mozzarella senza problema alcuno, lo rendono simpatico ovunque lungo lo Stivale, così come in Europa quando passa da Trump a Putin senza vergogna alcuna. Il tutto sapientemente condito con un po’ di terrorismo psicologico no vax, sempre utile all’occorrenza. Tanto a pescare nel vago del luogo comune, non si sbaglia mai.

Del resto la memoria è labile e sono sempre di meno coloro capaci di rispolverarla a monito per se stessi e per le future generazioni, sempre più obnubilate dalla rapidità e dall’insipienza di un’informazione sensazionalistica.

Ecco! Questo è il capolavoro Salvini, nessuno può stargli dietro, nemmeno quando fa meschine figure di strame come quella col sindaco polacco di Przemysl, che lo accusava di essere filorusso. Ad ogni modo lui ha la dote più importante di un politico di razza ed è quella della faccia tosta, ovvero sostenere l’inammissibile ad ogni costo e in questo lui è da oscar e nessuno sa farlo meglio, e nessuno potrà durare più a lungo di lui, perché lui è la sintesi dell’Italia attuale ovvero un coacervo di passato e futuro condito di timori e credenze ancestrali e un finto richiamo alla modernità.

Una volta mi chiedevo se fosse nato prima Belusconi o il berlusconismo e, risalendo all’edonismo reaganiano di D’Agostino e alla Milano da bere di Craxi e i soci della prima repubblica, qualche spiegazione me la sono pure data ma ora mi chiedo, altrettanto retoricamente: chi è nato prima, Salvini o lo stronzismo?

giovedì 28 agosto 2025

Ambientalista chi?

Ci sono almeno tre tipi di ambientalista: il buono, il brutto e il cattivo!

Il Cattivo 

È quello istituzionalizzato, quello che appartiene alle grandi associazioni nazionali, quelle corazzate e intangibili che, forti delle centinaia di migliaia di iscritti e dalle solide basi politiche, puntano più al globale che al locale. Quelle che parlano di ecomafie ma senza fare nomi e cognomi, e che puntano tutto sulle scuole, sulle giornate ecologiche, sulla stampa accondiscendente e sulle reti sociali per giustificare la loro talvolta inutile esistenza e il loro essere fini a se stesse.

Il brutto

  Poi c’è l’ambientalista fondamentalista, quello che vede il male dappertutto anche là dove non ce n’è. Vede complotti ovunque e si indigna per tutto tranne che per le cause concrete del male che vorrebbe combattere. Anche in questo caso, in maniera meno organizzata, più spontanea e occasionale, quest’invasato guarda sempre il dito e mai la luna, perché così anche a lui conviene. Nel momento poi, in cui sbatte la testa contro la dura realtà, decide si tirarsi indietro, per ricomparire alla prossima occasione di visibilità o in qualche tornata elettorale.

Il buono

  Infine vorrei citare l’ambientalista vero, ammesso che ce ne siano ancora, o che ce ne siano veramente stati in questo paese. Non quello politicizzato, non quello fanatico ma quello che studia o, quantomeno, conosce molto bene la realtà di cui parla. Forse è l’unico che frequenta il territorio e dal quale generalmente proviene, conosce la realtà globale, spesso collegata con la sua, ma prende di petto quella locale e lo fa a suo rischio e pericolo.  l’unico che ci mette la faccia ed è l’unico che denuncia con atti concreti ciò che accade sulla sua terra, senza creare cortine fumogene, quelle utili a chi non vuol sporcarsi le mani o chi sciacquandosi la faccia con la sua retorica “green” è complice del suo presunto nemico.

A quest’ultima categoria, loro malgrado, appartengono anche quei martiri e quegli eroi che saranno opportunamente sfruttati dalle due precedenti, quelle che brilleranno della loro luce riflessa portando avanti un nome o un logo all’antitesi della loro missione.

martedì 26 agosto 2025

I giovani in fuga da noi stessi

 

Molti lamentano la fuga di cervelli all’estero; una folta schiera di rappresentanti istituzionali e della società civile invitano i giovani a non andare all’estero o a ritornare nei loro paesi d’origine.

Fermo restando che l’essere umano dovrebbe essere libero di muoversi e spostarsi là dove vuole e senza confine alcuno, in un luogo che ritiene essere più congeniale al proprio stile di vita e alle proprie aspirazioni, bisognerebbe a questo punto capire, analizzare meglio, il perché i giovani, così come per altre ragioni facevano i loro nonni e i loro bisnonni, continuano ad emigrare. Non essendo un sociologo, porterò ad esempio la mia esperienza familiare.

Mia figlia

Mia figlia vive stabilmente in Spagna da almeno 6 anni e non è intenzionata minimamente a tornare né in Italia, né tanto meno a Napoli. Mia figlia ha due lauree ma non ha disdegnato, come del resto il padre, lavori considerati più umili. Ha conosciuto tutti i livelli di un contesto lavorativo straniero ed ora lavora nelle risorse umane di una multinazionale. Ogni impiego, mia figlia se l'è trovato da sola, senza raccomandazione paterna, senza scendere a compromessi con niente e con nessuno e con tutti i diritti garantiti, inclusi, sembra assurdo dirlo, anche quelli economici. Già questo basterebbe a trattenerti nella Penisola Iberica, come in qualsiasi altro luogo del mondo dove non sia normale lavorare sottopagati o, addirittura, senza percepire reddito alcuno, come è capitato a me, nonostante non fosse stata mia intenzione farlo e nonostante una causa di lavoro vinta all’attivo.

La ricerca della felicità

Ma, un'altra cosa non viene tenuta in conto da chi lamenta la fuga dei giovani verso altri paesi, ed è quella che, altrove, si vive meglio! Ci riempiamo la bocca dei primati borbonici ma perdiamo d'occhio i primati negativi del nostro Paese e, soprattutto, della nostra bella Napoli. Forse, quei presunti e senz’altro anacronistici primati servono proprio a quello, a nascondere il nostro stato miserrimo e, magari, anche la nostra inerzia. Pare che, secondo i più, le indubbie bellezze della nostra città e del Belpaese tutto, bastino a trattenere qualcuno che non sia un turista; ma, le tanto decantate contraddizioni di Napoli, possono divertire una persona in vacanza ma di certo non un ragazzo che vede quotidianamente mortificate, non solo le sue aspirazioni, ma anche la sua dignità; parlo ovviamente di ragazzi poiché noi adulti, quando non siamo diventati parte di questo sistema balordo che ormai giustifica l’ingiustificabile, dovremmo aver già trovato, in un modo o nell’altro, la soluzione alle nostre di frustrazioni.

L’esempio della Spagna

Badate bene, nel caso di mia figlia sto parlando di Spagna e non di Germania, di paesi scandinavi, o altri dove lo stato sociale è ancora più solido e unanimemente riconosciuto. Tenete presente che, benché il PIL spagnolo sia più basso del nostro, lì, oltre ad essere tendenzialmente in ascesa, contrariamente al nostro, esiste ancora uno stato sociale degno di questo nome e dove tutto, anche se in maniera farraginosa va ancora avanti e senza la necessità di intercessione dell’amico o del parente di turno e soprattutto non ancora definitivamente svenduto al privato.

La Spagna non è il paradiso in terra, la Spagna è un paese normale! È un paese con i suoi problemi ma dove, se un monoreddito che vive in un’area interna del paese, vuole portare la famiglia al mare, non dovrà indebitarsi per fare le sue vacanze e cedere al ricatto dei balneari perché, prendendo un’autostrada gratuità potrà raggiungere una spiaggia attrezzata dallo stato e altrettanto gratuita. Il bagno a mare non è tutto ma è già tanto; potrei parlarvi dei parchi cittadini con annesse aree per i bambini, presenti in ogni città e ogni luogo, anche il più sperduto; degli spazi per gli anziani e per i diversamente abili, delle piste ciclabili reali e non nominali come quelle che spacciano i nostri governanti o chi opportunisticamente li asseconda, nel migliore dei casi volendo vedere un bicchiere mezzo pieno e non lo squallore nel quale essi stessi circolano curnuti e mazziati. A volte basterebbe poco per trattenere una persona nel luogo dove vive, basterebbe il poter passeggiare in sicurezza nel centro storico e una sacrosanta normalità, e non la Disneyland partenopea.

Non si vive di sola pizza

I giovani quindi vogliono essere liberi, liberi di scegliere il loro futuro e vivere in un contesto con un minimo di normalità, i giovani che se ne vanno perché se li azzeccano i pittoreschi contrasti della Napoli di Maurizio De Giovanni e il suo folclore prêt-a-porter, del murale di Maradona e dell’ottima cucina, o di quella sua unicità che mortifica e che spesso uccide.

Il genio italico non è un qualcosa di innato da esportare all’estero, ma è quel naturale istinto alla sopravvivenza che si elabora sin dai primi anni di vita, nelle aule scolastiche fatiscenti, nei mezzi pubblici inesistenti, nelle interminabili file agli sportelli, nelle indicazioni stradali sovrapposte e nella vana ricerca di una legalità che non c’è e nel divincolarsi tra gli strali di false promesse di benessere e realtà sconfortanti.

I giovani vogliono essere se stessi e non l’immagine stereotipata di un napoletano!

Immagine creata con l’IA

PS: vedere i miei colleghi palestinesi morire per raccontare e riportare la realtà mi fa sentire male e anche un po’ fuori luogo quando scrivo di queste amenità. Ma mi rendo anche conto che il comunicare non ha colore, non ha tempo, è un istinto primario e basta. W la Libertà! W la Palestina libera!

domenica 24 agosto 2025

La cintura di sicurezza

 

La cintura di sicurezza della mia auto mi ha salvato la vita, e non per casualità, perché la metto sempre e non mi sono mai vergognato di farlo.

Chi non l’indossa non è solo un irresponsabile, per se e per gli altri, ma è anche uno che presume di essere superiore agli altri. Quest’atteggiamento è assai diffuso dalle nostre parti, in qualsiasi contesto, anche tra i lavoratori, quelli che sostengono che si è sempre fatto così e che senza le misure di sicurezza lavorano meglio e che quelli buoni non perdono tempo dietro queste cose inutili e, nel frattempo, anche loro, sono vittime di un sistema che loro stessi reiterano. Poi arrivano le attenuanti: il fastidio, la dimenticanza, l’ignoranza, l’età, la patologia, l’altezza, il breve tratto di strada da percorrere, le bufale che le cinture fanno più danni che altro o, un colpevole e talvolta infastidito e stizzito silenzio.

I veri uomini e le vere donne fanno scelte serie e consapevoli, anche quando questo significa andare contro un opprimente, esteso e stupido senso comune, quello che non gli verrà mai incontro dopo un incidente.

mercoledì 20 agosto 2025

Stato della SP 114


Campa cavallo che l’erba cresce …

… e poi brucia lungo la carreggiata che porta al Vesuvio.

La strada che porta al Vesuvio è una strada provinciale (la SP 114) fino al bivio di quota 800 m.slm. Poi da lì, fino all’ingresso del percorso turistico che porta al Cratere, a “Quota 1000”, è stata affidata in comodato d’uso al Comune di Ercolano, lo stesso che gestisce, attraverso una società, gli stalli per il parcheggio delle auto, delle moto e dei bus.

Da una settimana a questa parte, pare che l’incendio che ha interessato il versante sud-orientale del Vesuvio, si sia finalmente placato, anche se qua e là spuntano ancora pennacchi di fumo, dovuti a quei tronchi carbonizzati che lentamente si consumano e che possono essere ancora molto pericolosi. Da poco siamo usciti fuori da un incendio che poteva bissare quello del 2017, e che ha comunque mandato in fumo quasi 1000 ettari di bosco e macchia vesuviana, con un alto rischio di desertificazione di una parte di territorio che ha visto passare, in un relativamente breve intervallo di tempo, ben tre grossi incendi, quelli del 2016, del 2017 e quest’ultimo del 2025.

Eppure, grazie anche al fatto che il versante nord-occidentale del Vulcano non è stato fortunatamente toccato da quest’incendio, la vita, lungo la strada che porta al Vesuvio, è ricominciata come se nulla fosse accaduto, il traffico turistico è ripreso a tutta forza, navette, NCC, bus granturismo, moto, camper, auto continuano a salire lungo l’unico asse viario carrabile che conduce al Gran Cono del Vesuvio. Il che sembrerebbe un bene, vista l’alta stagione turistica, è cosa buona è giusta che l’economia si riprenda dopo una decina di giorni di sosta forzata a causa dell’incendio, ma sembra che l’accaduto non sia servito di monito per nessuno.

Infatti, nei due tratti di competenza della strada, che parte all’incirca da Via Vesuvio ad Ercolano (localita “La Siesta”) e arriva fino al piazzale di “Quota 1000”, nello stesso comune, i bordi della carreggiata sono invasi da vegetazione spontanea ed erba secca infiammabile che, a nostro modesto avviso, visto anche l’alto flusso automobilistico giornaliero, potrebbero creare una situazione assai pericolosa per la possibilità di innesco di incendio. Gli automezzi, con le loro marmitte catalitiche surriscaldate, ma anche l’inciviltà di chi fuma e lancia le cicche dai finestrini, moltiplicato per le migliaia di visitatori al giorno, potrebbero facilmente innescare incendi cagionevoli di nuove sciagure, proprio come accadde il 5 luglio 2017 in via Vesuvio quando l’incendio scoppiò in una cunetta sporca e arsa dalla siccità, e non si arrestò fin quando, esaurita la sua forza e il combustibile a disposizione, arrivò fin sui Cògnoli del Monte Somma.

Sarebbe corretto e opportuno che, così come giustamente si impone ai fondi privati, di pulire i propri terreni dall’erba secca per evitare l’innesco e la propagazione degli incendi, misura attuata in molti comuni vesuviani, anche gli enti che amministrano la strada del Vesuvio puliscano e mettano in sicurezza l’importante via di comunicazione. Soprattutto quando questa attraversa un Parco Nazionale e, in più punti, la riserva integrale del Tirone Alto Vesuvio.

La questione delle competenze sembra essere complessa, perché pare che non sia chiara la giurisdizione sulle fasce latistanti l'asfalto, ma pare anche chiaro che i due enti interessati siano appunto la Città Metropolitana e il Comune di Ercolano che, pur avendo quest’ultimo esternalizzato la gestione dei parcheggi, acquisisce comunque un notevole introito per tale servizio, che ammonterebbe tra i seicento e i settecentomila euro, se non di più, e che potrebbero essere utilizzati per una pulizia degna di una parco nazionale e, soprattutto, per evitare disastri come quello degli ultimi giorni e degli ultimi anni.



















 

sabato 2 agosto 2025

La dolosa colpa


… quella del non informarsi e puntare sempre il dito verso qualcuno o qualcosa e rimanere sempre e comunque inattivi davanti agli incendi.

Posto che la maggior parte degli incendi boschivi sono provocati dall’uomo andrebbe fatta una sostanziale chiarezza tra le varie tipologie di cause. Sì perché pare proprio che la parola incendio, più che un sostantivo, sia ormai divenuta una locuzione e che sia sempre considerato a prescindere un incendio doloso deviando di fatto l’attenzione là dove sarebbe più opportuno farlo.

L’incendio doloso, sia ben chiaro, è effettivamente la maggiore delle cause rilevate per gli incendi boschivi (il 49,9% secondo fonte ISPRA nella sua relazione 2024). Sempre L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) individua 5 tipologie di cause di incendio: naturale; involontaria, volontaria; dubbia e non classificata, i Carabinieri Forestali invece, classificano le cause nel seguente modo: naturali; accidentali; colpose e dolose. Contrariamente però a quanto si trasferisce attraverso i mezzi di comunicazione, un po’ come accade anche con l’uso errato della parola piromane, usata invece di quella di incendiario, esiste anche una buona parte di incendi di natura colposa o involontaria, il 18,2% che, accompagnato da un 28,1% di cause non classificate; un 2,9% di cause dubbie e uno 0,9% di cause naturali ci troviamo davanti a un 50,1% che, molto probabilmente, non risulterà essere dolo (sempre dati ISPRA 2024). Incendi quindi provocati più dall’imperizia o l’ignoranza che dalla ricerca del profitto o da fantasmagorici complotti che spesso tendono a nascondere colpe condivise se non complicità da ricercare altrove.

La colpa

Generalmente la stagione di maggior rischio per gli incendi è quella estiva, anche se non mancano dalle nostre parti incendi autunnali o addirittura invernali, il periodo di maggiore attenzione va, in linea di massima, dal 15 giugno al 15 settembre, con possibilità di prolungarlo ad ottobre come accadde lo scorso anno. Ciò nonostante, in molti, a prescindere dall’area protetta o meno, conservano alcune insane abitudini, talvolta tollerate anche dalle autorità, ma che mettono a serio repentaglio la sicurezza pubblica e i preziosi ecosistemi qualora si trattasse di zone rilevanti dal punto di vista naturalistico. Esistono infatti alcune pratiche, come ad esempio quella di dar fuoco ai terreni agricoli per rivitalizzarli precocemente, oppure l’incendio delle aree incolte per favorire la crescita degli asparagi selvatici che, in taluni periodi dell’anno, e con talune condizioni meteo favorevoli al fuoco, spesso cagionano incendi indomabili e dalle conseguenze imprevedibili.

Un’altra pratica molto in voga nel Napoletano è quella del cuocere le conserve di pomodoro al fuoco della legna, molti lo fanno per fortuna nei cortili, là dove questi esistono ancora, nelle famose curtine, ma molti altri, continuano a farlo in campagna, così come accade quando va “scippata a pummarulara” ovvero quando, tra agosto e settembre, si ripulisce il campo coltivato a pomodori e se ne bruciano le sterpaglie con i conseguenti disastrosi incendi, rafforzati anche dall’esistenza di numerosi campi incolti che per ragioni di microfondo, di mancata osservanza delle direttive delle amministrazioni locali e della non individuazione dei proprietari, costituiscono dei veri e propri serbatoi di combustibile.

Infine c’è la pratica della furnacella, della gita estiva fuori porta con brace annessa, in montagna, al fresco dei boschi ma spesso, questa bella attività cagiona danni irreparabili per la cattiva gestione del fuoco, del suo abbandono e, consentitemelo anche dello scarso controllo di queste aree adibite al pic-nic.

Il dolo

Poi è vero, esiste il dolo ma per far sì che questo venga dimostrato mediante le indagini degli inquirenti, c’è bisogno di trovare in flagranza di reato l’incendiario, o, in caso di patologia conclamata, il piromane. Capire quindi se esistono motivazioni per quel gesto ma molto spesso, il dolo equivale, contrariamente a quanto si pensa, alla colpa di qualcun altro, poiché le azioni preventive da parte di chi di dovere sono spesso inesistenti, palliative se non addirittura dannose.

Il dolo prevede una mano criminale o, come abbiamo detto, quella di un piromane, le cui azioni non possono spesso essere previste o talvolta, non c’è la volontà di farlo, come per chi dà fuoco alle discariche abusive della Terra dei fuochi, ma l’incendio colposo invece, legato alle suddette usanze, può essere combattuto, oltre che con i divieti e le eventuali sanzioni, anche con un’opportuna opera di educazione ambientale, ma stavolta rivolta verso gli adulti e non i bambini, questi da tempo opportunamente edotti sugli argomenti di natura ambientale. Il problema non è la scuola ma al di fuori di questa dove non esiste né rispetto né educazione e, molto spesso, nuda e cruda prevaricazione, ecco perché la distinzione tra le due cause principali di incendio va opportunamente fatta, per individuarle e combatterle separatamente.

Poi esiste il complottismo dell’abusivismo edilizio, degli stagionali, dei Canadair e della tuttologia da social, tutte eventualità talvolta possibili ma non ricalcabili per tutti contesti che, al netto delle leggende metropolitane dei cani e i gatti kamikaze, andrebbero basate nelle realtà specifiche e non generalizzate come verità assolute, stile bar dello sport. Nel caso del Napoletano e soprattutto del Parco Nazionale del Vesuvio, oggetto nel 2017, di un devastante incendio, l’edilizia era interdetta a prescindere, con o senza anagrafe delle aree incendiate comunali (obbligo spesso non ottemperato dalle stesse amministrazioni), gli operatori forestali sono tutti dipendenti delle partecipate statali, Armena, SMA Campania, SOGESID, etc e i Canadair, essi pure appartengono allo stato (Protezione Civile, Vigili del Fuoco e così via).

Spesso però, bisognerebbe chiedersi quanta responsabilità abbiamo anche noi a tal riguardo, come testimoni muti di un malcostume tutto nostrano dell’autoassoluzione e della ricerca spasmodica di un capro espiatorio.

Immagine creata con l'IA

sabato 26 luglio 2025

Mi carta a Rosa Montero sobre la cuestión de la caza y sobre todo de como muchos lo actúan con el medio ambiente


 Hola Rosa,

soy Ciro un profe de secundaria en una pequeña ciudad en las laderas del Vesubio. Te escribo después de haber leído, en el País Semanal, tu artículo sobre la caza, los cazadores y la criminalidad inherente a esos personajes. No te escribo sólo como convencido animalista sino como activista. En efecto, en mi tiempo libre, soy Guardia Venatoria del WWF, es decir que hago el guardabosques como policía administrativo en la Provincia de Nápoles. Es un trabajo voluntario que me permite de luchar contra la caza ilegal, la contaminación y el maltrato animal en mi país.

Empecé este dificil camino desde hace mucho tiempo, principalmente cuando supe del sacrificio de Angelo Prisco, un mariscal de Guardia de Finanza que fue brutalmente asesinado en 1995 por dos cazadores furtivos que perseguía en el Parque Nacional del Vesubio. Entender que se podía morir para proteger el medio ambiente me indignó y me tocó el hecho que la comunidad de San Giuseppe Vesuviano, ciudad de nacimiento del Angelo, pronto se olvidó de él, viendolo como una figura incómoda o un tonto que había muerto por nada, nada por lo cual valiese la pena morir.

¿Por qué te escribo esto? Porque estamos en tierra de camorra, la mafia napolitana, de la que todos hablan pero a la que nadie quiere ver, y sobre todo, la que está en cima de cada principio de legalidad, real o ficticia que sea. La imagen de Angelo Prisco fue manchada con una capa de rumores que nada tenían que ver con la realidad: que era una cuestión pasional; que había descubierto algo más, algo que no tenía que ver; y que no era posible ser matado por dos liebres y unas becadas. Eso es el punto de la cuestión, en un país donde se sigue muriendo por un zapato manchado o por una cuestión de precedencia en un cruce, a los demás no parecía posible ser matado por un presumido derecho ancestral de caza.

Cuando pasó lo de Angelo, eran unos pocos meses que había nacido el Parque Nacional, una conquista para los defensores de la naturaleza vesuviana, un sitio precioso que, a pesar de su Volcán activo, es una de la áreas más pobladas de Europa. Hoy, después de 30 años, a la mayoría de las personas, el parque es indiferente, según muchas de ellas, impone sólo vínculos y no permite el desarrollo de las comunidades locales. A pesar de estos vínculos, durante este tiempo, el Parque Nacional ha sido objeto de cientos de vertederos ilegales, sigue con sus cinco vertederos históricos, antecedentes a su realización y, en sus bosques, en buena parte quemados durante el incendio del 2017, todos hacen lo que quieren, contruyen, contaminan, corren con sus motos, ensucian y sobre todo cazan aunque sea vedato.

El derecho feudal de cazar, de considerar privado lo colectivo es una actitud arraigada profundamente aquí: lo que está cerca de mí, es mío; lo que he siempre hecho, lo continuaré a hacer, y eso sigue adelante por encima de cada ley, legal o moral que sea.

Ser animalista y ambientalista en mi país significa ser un bicho raro, ser visto como un afeminado, siempre que sea un insulto, un vago que no tiene nada que ver con la realidad o el pragmatismo del mundo real, a menos que, tu activismo no sea formal, el que mira más lo global y que no toque lo local, lo que sí tiene nombre y apellido.

Yo seguiré mi camino, aun si creo que va a ser inútil, y lo haré porque tengo la responsabilidad del ejemplo que tengo que dar, porque soy mayor, soy padre, soy docente y porque la muerte de un joven de 27 años no puede quedarse así, sin una razón.

Link all'articolo di Rosa Montero

‘A guerra ‘ncapa*

 


“L’unica guerra che esiste in questo mondo, è quella che ognuno di noi combatte contro il proprio ego. Le altre guerre, sono solo effetti secondari.”  Abdal-lah Abulaban Shalabi

Chi mi conosce, e quei pochi che mi leggono, sanno bene qual è la mia posizione in merito alla questione palestinese così come per quella Ucraina. Sanno che, più che condividere post non miei, più che aizzare l’indignazione altrui con immagini forti, cerco di portare avanti un confronto costruttivo con chi ha talvolta la bontà, altre volte solo il puntiglio, nel rispondermi.

È mia opinione che, a Gaza, sia in atto un genocidio in piena regola e che, quella dell’Ucraina, benché in molti si ostinino ancora a fare distinzioni stereotipate sia, senza se e senza ma, una guerra di conquista da parte della Russia, che stato democratico non è, mai lo è stato e forse mai lo sarà. Scrivo questo perché non ritengo opportuno che si facciano distinzioni tra le due tragedie, senza per altro scadere nella più becera faziosità politica e ideologica.

Il mio scrivere non vorrebbe essere quello di chi spara sentenze ad ogni costo o di uno che vuol cercare una comoda mediazione in stile democristiano/governativo, del resto a che pro dovrei farlo, viste le mie umili velleità comunicative? Il mio messaggio a tal riguardo è semplicemente quello di chi vuol interagire con gli altri, per capire e dare il mio minimo apporto alla causa della pace. Infatti, mentre per la questione palestinese, per la sua estrema tragicità, quasi nessuno mostra obiezioni (e vorrei ben vedere!), fatta esclusione per l’opportunismo politico del nostro governo e dei suoi partigiani che giocano ancora con le parole, per quella ucraina abbondano i distinguo nell’opposizione e negli ambienti di sinistra.

Per il discorso palestinese, in virtù di una sterile e ormai anacronistica geopolitica atlantica, c’è ancora chi si ostina, nella compagine governativa, a negare la “sistematica distruzione di una popolazione” inerme, giustificata dall’azione, spesso complementare con Israele, da parte di Hamas. Questo di certo non può rappresentare l’intero popolo palestinese, benché sia l’unico esercito che ormai lo protegga. È comunque un dato incontrovertibile che Tel Aviv abbia di fatto, dal 48 ad oggi, fagocitato tutti i territori popolati dai palestinesi e che, dal 7 ottobre 2023 in poi, abbia iniziato la conquista definitiva di ciò che rimaneva ancora a quel popolo.

Negare tutto ciò è criminale, e chi lo sta facendo dovrà assumersene prima o poi la responsabilità.

Per quel che concerne l’Ucraina, mentre il nostro governo sembra, e sempre per ragioni atlantiste, quasi del tutto schierato in favore di questa, la Lega, il M5S e la sinistra radicale (quando gli opposti si attraggono e convergono) invece giustificano, in diversa misura, l’azione russa che, contrariamente al loro punto di vista, anch’essa sta attuando una sanguinosa guerra di conquista al pari di Israele. Questo conflitto, quando non avallato da una vicinanza ideologica, come lo si è fatto ad esempio per la Siria Asad, non può essere senz’altro giustificato dal presunto accerchiamento della NATO di quelle zone di influenza russa (che pure meriterebbero rispetto in quanto entità nazionali e non semplici espressioni geografiche) perché, a questo punto, si giustificherebbe il terrorismo di Hamas per ciò che sta accadendo a Gaza, visti i 77 anni di invasione di quei territori e poi, permettetemelo, entrare nella NATO, è cosa ben diversa dal dichiarare guerra a un paese, invadendolo con forze soverchianti, proprio come sta accadendo anche in Palestina.

Un’altra obiezione delle sinistre (ma anche del populismo in generale) è quella che il cosiddetto occidente stia fornendo aiuti sostanziali all’Ucraina mentre, verso il popolo palestinese non ci si è mossi se non attraverso i pronunciamenti, pressoché platonici, delle Nazioni Unite. Se questo è vero, ciò non vuol dire che nessuno armi Hamas, il gruppo jihadista è evidentemente armato e finanziato da altri paesi che pure ne condividono intenti e sorti, vedi tra gli altri l’Iran. Quest’atteggiamento dell’Occidente però, spesso vincolato da un non riconoscimento effettivo dello stato palestinese da parte di molti paesi, non è che annulli o diminuisca l’azione che la Russia sta invece attuando in Ucraina. Ciò significa che, tra le due guerre, l’una non esclude l’altra, quanto meno nel principio di condanna di chi la guerra l’ha scatenata e di chi la sta esacerbando a scapito, in entrambi i casi, delle inermi popolazioni civili.

Anche in questo caso, tutti coloro che negano l’aggressione della Russia o la giustificano, si assumeranno le loro di responsabilità di fronte alla storia e alla propria coscienza, se ne hanno ancora una o se l’hanno persa tra le maglie appiccicose della Rete.

*Espressione napoletana che indica uno stato psicologico fortemente alterato.

Immagini create con l’IA

giovedì 17 luglio 2025

La scuola oltre i luoghi comuni

 


Partendo dal presupposto che il concetto di scuola non equivale a quello di baby-sitting, andrebbero specificate alcune cose prima di parlare delle emblematiche 13 settimane di vacanze estive.

Rispetto agli altri paesi europei va sottolineato che, sebbene altrove si facciano pause estive più corte, ciò non vuol dire che da noi in Italia si vada di meno a scuola.

I dati effettivi

In effetti, oltre a non essere gli unici a farne 13 di settimane, come l’andante vorrebbe, ci sono molti altri paesi che ne fanno 12, 11, 10,  e così via, fino alle 6 di Germania, Regno Unito e Danimarca. Quindi, almeno per quanto riguarda gli studenti, secondo i dati di Eurydice (The Organization of School time in Europe, primary and general secondary education), in Europa, gli studenti bulgari della scuola primaria, che hanno tra le 13 e le 15 settimane di vacanze, gli studenti italiani, che hanno tra le 11 e le 14 settimane e gli studenti islandesi della secondaria superiore, che hanno più di 13 settimane, sono quelli che fanno in media più vacanze estive.

Ma se incominciamo a sottrarre agli altri paesi i lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come le vacanze autunnali (in Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito), la settimana bianca a febbraio (in Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito), le vacanze di maggio (in Germania e Regno Unito), la Pentecoste a giugno (in Francia) e via dicendo, ovviamente con Natale e Pasqua inclusi e con pause in media molto più lunghe delle nostre, si ridurranno non poco gli effettivi giorni di lezione anche per quei paesi che hanno vacanze estive più corte delle nostre. L’Italia quindi, se è vero che ha il record per le vacanze estive più lunghe, tuttavia condivide, assieme alla Danimarca, anche quello dei giorni effettivi di presenza a scuola, pari a 200 rispetto alla metà dei 37 paesi europei presi in considerazione (paesi UE e paesi candidati UE), dove l’anno scolastico dura in genere tra i 170/180 giorni.

Se poi consideriamo che l’ora scolastica, che da noi è di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) il quadro si ribalta di non poco rispetto alle ore e quindi ai giorni effettivi di studio dei nostri studenti. Sostenere quindi che quella pausa andrebbe rivista, dovrebbe tener presente anche del quadro generale europeo e farlo in senso compiuto, senza estrapolare un unico dato ma esaminandoli tutti e non stabilire per assioma ciò che il luogo comune vorrebbe come dato certo e inconfutabile.

A ciò è necessario aggiungere che, mentre dopo la prima decade di giugno termina l’attività didattica per gli alunni della scuola primaria, questa non termina affatto per quelli della Scuola dell’Infanzia, che si conclude assieme a quella dei docenti entro il 30 giugno, così come non termina per gli studenti e i professori della secondaria di primo grado, che devono affrontare gli esami di fine ciclo. Non termina a giugno neanche per quelli della secondaria di secondo grado, impegnati tra esami di stato, corsi ed esami di recupero e progetto “Scuola Viva” nelle calde aule estive, arrivando facilmente alla fine di luglio, in genere il 18 di questo mese, ma talvolta anche oltre.

Una riflessione ironica ma non troppo.

Le nostre scuole, ma anche il nostro comparto turistico, non sono di certo pronti per un calendario scolastico che si protragga, là dove non lo faccia già, oltre la metà di giugno, fino a luglio e ad agosto incluso, a meno che, non si voglia dotare opportunamente i locali scolastici di aria condizionata e di servizio frigobar e che gli esercenti turistici debbano rassegnarsi a lavorare solo ad agosto e, a questo punto, nemmeno entro quel limite temporale, in base alle richieste di un certo tipo di utenza o chi per loro. Si vorrebbe pertanto una sorta di scuola prêt-à-porter, una scuola che vada incontro alle necessità delle singole famiglie e non della comunità tutta e ancor meno della crescita sociale e culturale dei propri figli, che hanno sì bisogno di scuola, ma anche e soprattutto di vivere.

Se quindi in inverno si riesce a sopperire con gli indumenti più pesanti, al freddo delle aule, il caldo insopportabile della nostra estate e di un clima che inesorabilmente cambia, non sarà di certo coerente con una didattica degna di questo nome, del resto non lavoriamo tutti nelle privilegiate segreterie scolastiche dove i condizionatori vanno a palla.

L’allaccio al mondo del turismo, pur essendo una provocazione, si avvicina molto alla realtà di un mondo interconnesso e che pure risentirebbe dell’assenza, non solo fisica, ma anche economica di quelle famiglie e di quelle parti in causa che decidono di andare in vacanza come si era sempre fatto, tra luglio ed agosto.

Rapporto Eurydice 2024-25

sabato 28 giugno 2025

La scintilla

 

Sto facendo gli esami di stato, sì perché si chiamano ancora così; neanche il tempo di farci abituare a questa dizione che a breve si ritornerà alla statutaria e anacronistica maturità. Sono commissario esterno ed assisto alla lenta e incessante trafila della meglio gioventù di una cittadina della provincia di Napoli, quella che, con enfasi e passione espone il suo percorso culturale davanti alla nostra commissione. C’è chi lo fa bene, chi lo fa male e chi lo fa anche in maniera egregia, ma nessuno, al momento nessuno, e sono anni che lo aspetto, ha ancora mostrato quella scintilla negli occhi caratteristica della giovinezza e della sua indole ribelle, innovativa e rivoluzionaria.

L’esame di stato, ormai, non è altro che un rito di passaggio, lo è come la prima sigaretta, il primo bacio, la patente e tante altre cose ormai inflazionate e ormai fugaci come tanto altro in questo mondo consumistico, e forse anche per questo gli argomenti trattati dai ragazzi sono tradizionalmente scontati, scontati e spesso superficiali come il loro rapporto con lo studio, con la conoscenza e con la loro crescita culturale e mi auguro che almeno le emozioni si salvino da tutto questo inutile marasma.

La colpa è sicuramente nostra, nostra come insegnanti ma anche come genitori e uomini di questo tempo; perché non sempre siamo stati capaci di ricoprire il nostro ruolo di docenti, nelle nostre rispettive materie di insegnamento, ma soprattutto perché siamo venuti meno al nostro ruolo di educatori. Del resto, nel bene come nel male, loro ci offrono quello che gli abbiamo dato, ma anche quello che noi vogliamo che loro ci dicano. Stiamo diventando degli meschini burocrati che producono quintali di carte e che registrano il nulla. Diffondiamo luoghi comuni, che promuovono altrettanto mediocri studenti, tutte parti in causa di un quadro sconfortante e spesso inconsapevoli delle proprie miserie.

Entro in questo liceo, una scuola modello, là dove tutto non sembra appartenere ad un contesto meridionale (consentitemelo); la scuola è tappezzata di opere inneggianti alla difesa dell’ambiente e a tutte quelle tematiche affini al sociale e soprattutto alla condanna del femminicidio e alla discriminazione di genere. Anche la classe dove si stanno svolgendo gli orali ne è piena ma, sul lato opposto di questa, trovo un intero muro imbrattato da figure falliche, graffiti degni della camera proibita del MAN e in netto contrasto con ciò dovrebbe stimolare la contrapposta cartellonistica ufficiale.

I power point sulla questione ambientale esposti dagli esaminandi scorrono inesorabili tra buoni propositi, bottiglie, bicchieri e vassoi di plastica; tra la problematica delle microplastiche e i lustrini diffusi ai quattro venti per festeggiare il diploma; tra un mare di proponimenti e buone intenzioni che rimarranno all’interno di quell’aula e che quasi mai ne usciranno fuori. Fuori c’è il mondo reale che comunque appiattisce un po’ tutto e un po’ tutti e che ci plagia, illudendoci di essere al passo coi tempi e di essere cittadini modello perché ci indigniamo per l’Amazzonia che brucia e per lo scioglimento dei poli, ma per il quale non facciamo nulla, soprattutto per quanto abbiamo attorno, ammesso e non concesso che si sappia qualcosa a riguardo. Una recita nella quale siamo tutti attori, talvolta inconsapevoli, ma sicuramente, a vario titolo, tutti protagonisti.

martedì 10 giugno 2025

Armiamoci e partite, ovvero siam tutti figli del padre padrone.

 


Dedicato ai quei 14 milioni di italiani che sanno prendere posizione.

In un paese di tuttologi, dove tutti sentenziano su tutto, ci si arresta invece davanti a 5 semplici quesiti. Semplici quanto necessari, per correggere le anomalie di un paese che non sa che direzione prendere.

E invece no! Nell’unico momento di democrazia diretta, l’italiano medio preferisce andare come al solito al mare.

Di certo, se tra quei quesiti ci fosse stato quello dell’elezione diretta del primo ministro, allora sì che, in quel caso, si sarebbe andati in massa a votare, e non solo per la spinta dei referenti politici locali, ma per ferma convinzione.

Questo perché, in questo paese, su quel nuovo bar dello sport che sono diventati i social, si parla e si sentenzia fin quando le parole non comportano responsabilità dirette, ma poi, al dunque, quando dalle parole si deve passare ai fatti, tutti si tirano indietro, per la serie, armiamoci e partite! L’elezione diretta del premier implicherebbe invece l’affidamento all’uomo/donna forte di turno, delle proprie responsabilità, gli si delegherebbe ogni cosa pur di non prendere posizione ma, soprattutto, pur di non prendersi nessuna responsabilità. Una sorta di padre padrone che dovrebbe dirigere un paese di figli immaturi e incapaci di muovere un passo senza che qualcuno non gli indichi la direzione, il vero grande problema è che spesso, i presunti statisti, loro stessi non amano prendere posizioni, e il cane si morde la coda, fin quando questa non è completamente spolpata.

e quindi, in paese di dipendenti, pare assurdo che almeno 4 di quei 5 quesiti referendari, tesi ad equilibrare le sorti dei lavoratori, molti di questi non si siano recati alle urne, ma purtroppo è così, il relativismo assoluto e la sfiducia nello stato (del quale facciamo comunque parte anche noi) e un imborghesimento della classe operaia, che tutto è meno che proletaria, li hanno tenuti lontani dai seggi elettorali ma, benché comprensibile questa sfiducia, non è comunque accettabile, né tanto meno giustificabile poiché si è volontariamente consegnato, salvo specifiche faziosità, ancora una volta il paese in mano a quella stessa politica che, almeno sulla carta, si contesterebbe come il male assoluto dell’Italia.

Se non nel rispetto di chi ci ha permesso di esercitare questo sacrosanto diritto di voto, ovvero chi, spesso con sommo sacrificio, un’ottantina di anni fa ci ha donato la libertà, la prossima volta andiamo a votare e magari facciamolo anche per rispetto di quei 14 milioni di elettori che sono andati a farlo e che, con il loro 30% potrebbero, orientativamente corrispondere a un partito di maggioranza.

Risultati referendari 2025

domenica 8 giugno 2025

Locale e globale, vicino e distante, la luna e il dito

 

Ovvero, se vedi il bicchiere mezzo pieno è perché l’altra metà l’hai già bevuta tu!

Il relativismo culturale, l’autoassoluzione di massa e un certo opportunismo italico preferiscono guardare lontano, nel tempo e nello spazio, preferiscono speculare sui massimi sistemi ma disdegnano ciò che hanno a portata di mano e talvolta anche di risoluzione.

E sì! Perché, come spesso ho scritto, abbassare lo sguardo verso ciò che sta davanti a noi implica il riconoscere le nostre responsabilità, dirette o indirette che siano. Guardare altrove, soprattutto al passato oppure fuori dai confini regionali, e ancor meglio fuori da quelli nazionali, ci permette di muoverci con maggiore agilità tra le acque stagnanti della nostra ipocrisia.

Questo accade per le questioni ambientali dove spesso si preferisce preoccuparsi della tigre siberiana o del rinoceronte del Borneo ma non della discarica sotto casa. Questioni sacrosante, per carità, ma perché sporcarsi le mani con la monnezza, perché complicarsi l’esistenza con le dinamiche di un territorio complesso e quanto meno assai compromesso? Del resto, perché stuzzicare il can che dorme quando risulta molto più remunerativo parlare di ambiente in termini generali? Senza fare nomi e cognomi e fare al contempo anche carriera politica?

La stessa cosa accade per la storia, sarà che il mondo contemporaneo rimane ancora un mistero per molti, sarà che la storia nella scuola in tutti i suoi ordini e gradi, si ferma alla prima guerra mondiale, ma sempre più persone preferiscono il passato al presente, una fuga da un’attualità sempre più compromettente e che forse è meglio evitare. Questa è ad esempio una delle caratteristiche del revanchismo neoborbonico, un’età dell’oro tutta ad uso e consumo di chi vuole credere che le colpe del disastro meridionale siano tutte da addurre a qualcun altro che malignamente sia sceso dal nord del mondo per toglierci l’eden borbonico. Meglio pensare agli sbiaditi fatti di oltre 160 anni fa che speculare sulle nostre chiare colpe attuali, meglio puntare il dito sui Savoia che parlare di centosessanta anni e più di connivenza con ciò che si critica e soprattutto con mafia e mafiosità, questa sì che insita da sempre nella nostra cultura e vicina, molto più vicina dei Borbone e del loro bidet.

Un po’ come quando si usa il grandangolo per fare una foto, o ancor meglio, il drone, per ritrarre splendidi panorami, rigorosamente “mozzafiato”, senza focalizzare, magari con una bella zoomata, il male che si annida tra le bellezze della nostra terra. A che pro mostrare le discariche e le altre criticità dei nostri territori? Noi siamo la grande bellezza, noi siamo il paese che il mondo invidia e meglio quindi mostrare il bello che c’è in noi, meglio vedere il bicchiere mezzo pieno che il contrario.

Che poi, dopo i pensionati, ormai anche i giovani se ne vadano in altri paesi, non solo per lavoro ma anche per condizioni di vita migliori, poco conta, noi siamo simpatici e abbiamo il cibo migliore e le navi più belle del mondo e quando qualcuno dirà il contrario voi vedrete sempre il dito e non la luna che esso indica.

Immagine creata con l’IA

mercoledì 21 maggio 2025

Le morti grigie

 


A volte ho l’impressione che anche sui morti si faccia speculazione, pare ci siano i morti di serie A e morti di serie B.

Aggiungo che esistono anche lavoratori di serie A e quelli di serie B. La notizia è quella della morte di una maestra in un incidente stradale mentre era in gita con la scolaresca che le era stata assegnata. Il cordoglio è unanime, certo, ma lo è per il fatto tragico in sé, per la presenza dei bambini e per il ricordo che va ad eventi passati ben più gravi di questo, come ad esempio a quello della galleria del Melarancio, ma non al sacrificio di quell’insegnate in quanto tale. Nessuno, al netto dei ringraziamenti a Forze dell’ordine e Vigili del fuoco, ha infatti giudicato quella maestra come una vittima sul lavoro, lei non rientra nella retorica dei sindacati, lei non rientra nella pietas di stato.

In effetti molti considerano il lavoro degli insegnanti come un lavoro privilegiato ma lo è solo per la materia che trattiamo, e il privilegio diventa subito responsabilità, e parliamo ovviamente dei bambini e dei ragazzi che ci vengono affidati, responsabilità legata, non solo alla loro crescita culturale e morale, ma anche alla loro incolumità psico-fisica.

Innanzitutto vorrei sottolineare che quei docenti che accompagnano gli studenti in gita, come ancora la si chiama, ricoprono un incarico assai oneroso nelle visite guidate, nei viaggi d’istruzione, nelle trasferte Erasmus e quelle per i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento), lo fanno gratis! Il che significa che tali lavoratori sono costretti, da una sorta di pressione sociale, a lavorare 24 ore su 24, a volte anche per più giorni, se non settimane, senza percepire straordinari e a volte rimettendoci anche i propri soldi e con una responsabilità immane, anche perché, oltre ai rischi comuni che un viaggio può avere, gli studenti più grandi vedono la gita come una zona franca nella quale l’eccesso la fa da padrone. Ebbene, nell’Italia delle commemorazioni e dei 3 morti al giorno sul lavoro, maestri e professori non hanno spazio, perché luogo comune vuole che loro siano dei privilegiati.

Lo sono perché sono quelli delle 18 ore settimanali, dei tre mesi di vacanze all’anno, dei fannulloni e del doppio lavoro. Pare che questo stereotipo, che potrebbe valere anche per altre categorie, valga anche per i sindacati, i quali, soprattutto nel mondo della scuola, badano più a far carriera, mirando alla dirigenza scolastica (che implica anche questa esperienza nel proprio curriculum), che a tutelare i lavoratori del loro comparto. In effetti non è che durante gli scioperi, gli insegnanti facciano sentire la loro voce ma mi chiedo il perché, in un mondo tanto attento a tutto e a tutti, si segua ancora il senso comune più che il buon senso e si dimentichi una fascia importante di lavoratori italiani che, se non soggetti ad orari da metalmeccanici hanno stipendi simili se non più bassi. Hanno sì la sosta lunga durante la pausa estiva ma questa è soggetta ad una regolamentazione che varia da regione a regione e da ordine e grado, nel senso che se i docenti della primaria sono liberi da impegni da luglio, quelli delle superiori, tra esami, corsi ed esami di recupero, lo sono, quanto meno, dal 19 luglio in poi, a seconda se gli esami di recupero del debito formativo si facciano a luglio o a fine agosto.

Rispetto ai colleghi europei va inoltre sottolineato che, sebbene qui si facciano pause estive più corte, almeno per gli studenti, all’estero si fanno lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come la settimana bianca a febbraio e la Pentecoste a giugno, ovviamente con Natale e Pasqua, per quel che concerne ad esempio la Francia. Inoltre l’ora scolastica, che da noi è statutariamente di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) [1] e se è la somma che fa il totale, i numeri non tornano se si considerano più i luoghi comuni che la realtà dei fatti e se questi prevalgono su di una categoria, prima o poi varranno anche per un’altra mentre i lavoratori si azzanneranno gli uni con gli altri in un’assurda guerra tra poveri.

[1] https://www.orizzontescuola.it/tempo-scuola-durata-media-ue-185-giorni/#:~:text=Nella%20maggiornaza%20dei%20casi%2C%20una,i%2040%20e%20i%2055%20minuti.

             

venerdì 9 maggio 2025

Cattolico ma non troppo

 

Sono ateo e lo sono da prima della maggiore età, ho sempre professato il mio modo di essere e talvolta ne ho dovuto pagare anche le conseguenze, soprattutto quando, fresco laureato, inviavo i miei curricula presso le scuole cattoliche, subendone l’ostracismo. La mia è stata una scelta libera, forse ribelle in gioventù, ma ora agonisticamente consapevole e priva di coercizione alcuna, perché la libertà è forse la mia vera religione e anche per questo difendo quella altrui come se fosse la mia.

Questa mia coerenza cozza però contro quella un po’ blanda della maggioranza dei miei connazionali, quelli che vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca e che vorrebbero sentirsi cattolici e al contempo fare un po’ come cazzo gli pare. Quelli che: tanto basta credere e poi si vedrà; tanto un’assoluzione non te la nega nessuno e così via. E quindi, anche potendo definirmi cristiano per filosofia, non appartenendo al cattolicesimo per mantenere salde le mie scelte e, anche se non privo di merito, ne resto fuori perché non ho il marchio di fabbrica. Sono del resto cresciuto all’interno dei principi cristiani dell’amore o, quanto meno, della tolleranza verso il prossimo e quindi la mia vita non differisce più di tanto da quella degli altri, se non per la coerenza di certe scelte e per questo se non andrò all’inferno mi risparmierò forse qualche annetto di purgatorio ma non mi spetterà nulla in terra, perché non professo la fede cattolica, apostolica e romana.

Negli ultimi tempi ha fatto scalpore la notizia di una maestra che è stata licenziata da una scuola cattolica perché questa sbarcava il lunario spogliandosi su “Only fans”. Lei, e chi per lei, gridano ancora allo scandalo poiché nella propria sfera privata ognuno potrebbe fare ciò che vuole ma nel momento in cui si viene a sapere quel che fai scatta l’epurazione. La maestra si difende dichiarando che il suo basso salario (sicuramente più scandaloso delle sue nudità) la obbligava a spogliarsi in rete per vivere (e anche qualcosa in più) e che di certo non faceva e non aveva mai fatto pornografia. Ma sta di fatto che lei lavorava in una scuola cattolica e per questo, alla dirigenza e soprattutto alle famiglie, il suo denudarsi non piaceva perché non era cosa buona e giusta.

Due quesiti però mi sovvengono a tal riguardo, il primo è quello di come siano potute arrivare alla morigerata utenza le immagini di quell’insegnante tal come mamma l’aveva fatta. Mi vien da pensare a quei papà di quei bambini, che nella loro intimità, usando la famosa chat, abbiano creato uno sconcertante senso di ambiguità che cozza non poco con il moralismo che si è mosso contro l’insegnate. Il secondo quesito che mi sono posto è il seguente, ma che pensava la signorina, di farla franca in un mondo così perbenista? In questo paese solo quello che non si fa non si sa, ed ecco pronte le rimostranze delle famiglie e le loro logiche conseguenze, del resto era un istituto privato e confessionale e, in un contesto dove, anche nella scuola di stato, è la curia a dettar legge, cosa si aspettava?

Già altrove ho specificato che mostrare e usare il proprio corpo, vendendolo al migliore offerente, non sempre è una questione di piacere e di libera espressione del proprio essere, ma un nudo e crudo bisogno materiale. Non posso quindi che chiedermi, considerato il fatto di non essere stato mai assunto in una scuola cattolica per le mie idee, perché lei dovrebbe rimanervi per le sue azioni? La coerenza, questa è quella che non paga nel nostro contesto, magari entrambi siamo ottimi docenti ma con i nostri atti, dimostriamo di non appartenere alla loro morale e quindi destinati a restare al di fuori del loro mondo, con tutti gli annessi e connessi.

Molti, tanti divorziati, vivono fuori della grazia della chiesa, molti cattolici si indignano per tutto ciò, additando le mancanze, a volte ben più gravi dello stesso clero, ma mi chiedo, questi uomini e queste donne che si sono sposati secondo il rito cattolico, sapevano che quello era un sacramento e, in quanto tale, indissolubile o quasi? Ecco l’incoerenza e talvolta l’opportunismo dell’italiano medio, accettare tutto ciò che conviene nell’essere cattolico ma fare distinguo sul resto che non conviene. Ora, lungi da me fare l’apologia della Chiesa che, da almeno duemila anni a questa parte, difende bene i suoi dogmi, ma varrebbe la pena chiedersi cosa significa essere credenti e cattolici oggi, da una parte come dall’altra.

A che pro lamentare la scarsità di sacerdoti e le chiese sempre più vuote e paventare poi le moschee piene? Oramai la religione non è più il collante della società occidentale, i valori sono altri, e il relativismo impera. Temiamo le altre religioni, in primis l’Islam, difendiamo un Natale cristiano da presunte influenze levantine ma poi dal dopoguerra ad oggi abbiamo svenduto credo e tradizioni al consumismo e a un paganesimo hollywoodiano. La chiesa, non senza un certo fascino, continua ad essere ancorata ad un passato arcaico e mantiene la sua influenza sul mondo cattolico o sedicente tale. Il clero gestisce ancora quelle paure ataviche dell’uomo ma ancor più lo fa con la sua influenza politica più che con la sua morale cristiana, e questo i comuni mortali lo sanno molto bene e lo dimenticano solo quando sono vittime delle loro stesse azioni, magari dichiarandosi antiteticamente cattolici non praticanti.

Lo stesso Papa Francesco stentava a gestire questo mondo anacronistico con due parti in causa che andavano l’una nella direzione opposta dell’altra ma con la volontà di essere una cosa sola; questo sì che pare essere un dogma, più incredibile della stessa verginità di Maria.

mercoledì 30 aprile 2025

La fretta

 .. ovvero il ritenersi informati senza informarsi.

Oggi vanno tutti di fretta, anche se devono andare a prendersi un caffè; figurati se poi devono soffermarsi nel leggere un post che si dilunga oltre i limiti della loro attenzione. E dire che ci si lamenta dei ragazzi (e purtroppo non solo loro) che ormai comunicano solo con la sintesi di social come Tik-tok e Instagram, dove prevale l’immagine più che la parola o la lettera. Per carità, non pretendo neanche che le mie di esternazioni, come quelle di altri, valgano la pena di meritare la vostra attenzione e il vostro preziosissimo tempo ma per commentare, finanche per criticare, visto che di tempo per fare questo ne avete, bisognerebbe prima leggere, e spesso questo non lo si fa, e quando lo si fa, prevale l’ombra del pregiudizio o l’attenzione di un bradipo.

Oramai prevalgono due elementi tra chi usufruisce delle reti sociali, anche perché è palese che queste abbiamo ormai preso il sopravvento sulla televisione e a maggior ragione sulla stampa, in materia di informazione, e sono la difficoltà di mantenere l’attenzione e la presunzione di commentare ciò che non si è letto o che non si è capito, vedasi anche analfabetismo funzionale; e questo se si esclude la malafede di chi commenta con un radicato pregiudizio e che quindi non è minimamente intenzionato a leggere ed analizzare i testi altrui ma attaccarli a prescindere.

Ecco quindi il grande successo dell’IA, delle bufale e di tutta una serie di immagini, video e informazioni che toccano più le sensazioni dell’utente medio che il suo intelletto che, privo di sane letture (o privo a prescindere) e tronfio di convinzioni, rischia l’atrofizzazione e la soppressione del suo senso critico. La maggior parte di questi legge il titolo e guarda l’immagine del post e li giudica veri perché, nella maggior parte dei casi, li ritiene tali, non verifica la loro attendibilità, non va a fondo, ma se ne sente gratificato perché quasi sempre, quel messaggio lo plagia avvalorando le sue convinzioni pregresse e sostenendo, complice l’algoritmo, il suo pregiudizio.

Del resto questo atteggiamento è un segno dei tempi, è la dimostrazione che noi non siamo più utenti ma acquirenti, clienti che devono usufruire di un prodotto e che la preferenza per tale mercanzia non deve essere fidelizzata in maniera cronologica ma deve cambiare rapidamente, deve essere immediata, per acquistarne rapidamente altra subito dopo, e questo vale anche per le informazioni che ci vengono fornite, spesso non sono altro che ami per pescare le nostre preferenze. La contropartita, anche se gratuita, non è in realtà tale, è ripagata con i nostri dati personali che saranno venduti e riutilizzati da altri per bombardarci di pubblicità e, all’occorrenza, saremo anche arruffianati per dirigere, al momento opportuno, le nostre tendenze politiche, già abbondantemente precotte prima del fatidico momento elettorale.

Nessuna novità a riguardo, il concetto sopra espresso, è ormai noto, ma la fretta dei nostri atteggiamenti è ormai adducibile a quest’andamento generale dell’utenza media che, nella quale, ça va sans dire*, nessuno vi si riconosce mai.

*‘Afammoc’all’inglese!

Immagine creata con l'IA.