I giovani, i giovani! Ma cosa sono i giovani? Chi sono? La
proiezione del nostro passato, una speranza per il nostro futuro? O semplice e
demagogico nepotismo?
Un po’ come accade con le quote rosa, si parla sempre più
spesso di giovani all’interno dei gruppi politici e in quelli delle
associazioni, ma cosa siano i giovani, così come tanti altri concetti
inflazionati dallo sterile parlare per slogan, leggasi anche quello dell’ambientalismo,
non è ben chiaro. Ma partiamo innanzitutto dall’aspetto cronologico, a quale
fascia d’età stiamo facendo riferimento? Di chi stiamo parlando, degli
studenti? E quali studenti? Quelli nell’età dell’obbligo scolastico? I
diciottenni? I ventenni? I trentenni? Od oltre, vista la gerontocrazia della
classe dirigente italiana?
Relativamente agli studenti, quando si parla delle
problematiche italiane, quando si parla di violenza giovanile o di genere, ma
anche quando si parla di ambiente e lavoro, si mette in mezzo sempre la scuola,
quasi come se questa non facesse nulla a riguardo e come se bastasse questa
sola istituzione a mandare avanti l’intera macchina sociale. Temo invece che,
più che alla scuola, in balìa degli umori di una politica decontestualizzata da
ogni realtà tangibile e di una visione a compartimenti stagni della società, si
punti alla massa inerme e quasi sempre acritica dei giovani che affollano le
aule scolastiche, più a loro che ai problemi che li attanagliano, plagiandoli e
facendone uso e consumo per i propri scopi elettorali e per nascondere le
proprie inadempienze morali e istituzionali ed usando la scuola come capro
espiatorio per colpe, molto spesso, altrui.
Ma la domanda delle domande, oltre a capire chi è giovane, è:
cosa deve fare un giovane per essere considerato tale?
Di certo un ragazzo in età scolare, non può che avere come
punto di riferimento gli adulti a lui più vicini, i genitori in primis ma anche
i parenti più prossimi, i famosi zii e i cugini più grandi che, nel bene come
nel male, hanno praticamente da sempre formato la nostra coscienza sociale e
politica in età di pubertà. Questa formazione familiare è, oggi come oggi, ancora
forte, anche davanti alla progressiva delegittimazione dell’istituzione
scolastica, considerata ormai più un obbligo che una necessità.
Ma anche l’educazione parentale, così come quella
scolastica, in famiglie sempre più frazionate, è messa anch’essa seriamente in
discussione dall’incalzante e immanente cultura della rete che, attraverso gli smartphone, sta praticamente sostituendo
genitori, parenti e affini, in virtù di una velocità e facilità d’accesso alle
informazioni senza precedenti ma che non può essere considerata in senso
assoluto la fonte per eccellenza, per qualità, scarsa perizia e moralità; sì,
la moralità, perché la morale comune, quando applicata e forgiata sulla cultura
di un popolo, metteva una volta quasi sempre le cose in regola, certo, con i
suoi pro e i suoi contro, ma di certo con regole tutto sommato condivise
dall’esperienza e migliori senz’altro del relativismo amorale di internet, quello
che non insegna a porre freni ai nostri istinti irrazionali e soprattutto non
fa sì che ci sia qualcuno che ponga freno alle sue e nostre aberrazioni, molto
spesso enfatizzate in maniera voluta o frutto indiretto della viralità e non
della correttezza dell’informazione condivisa, frutto dell’indicizzazione
dell’algoritmo.
Al netto di tutto ciò, e nel vano tentativo di capire chi è
giovane e chi no, la spesso remunerativa carriera di imitatori, più o meno
consapevoli, di questi diversamente vecchi che ci ostiniamo a chiamare giovani,
va avanti ben oltre la maggiore età e si spinge fino alla cosiddetta età della
ragione. Quest’età potrebbe essere quella nella quale si decide di mettere su
famiglia o, quanto meno, quella in cui si decide di prendere in mano il proprio
destino e che, ovviamente, come molti sanno, è un’età che si sposta sempre più in
avanti e ciò accade per tanti motivi e non sempre vincolati alla contingenza
economica. Spesso prevale anche la scarsa volontà di affrontare responsabilità
e compromessi, verso i propri partner ma anche verso la stessa società che
sconti di certo non te ne fa e quindi meglio essere eterni fidanzati, eterni
figli di famiglia, cittadini con diritti ma senza doveri da affrontare.
I Primi complici di questa attitudine, assai diffusa lungo
lo Stivale, sono gli stessi genitori che spalleggeranno i propri virgulti fino
alla fine dei loro giorni, cosa naturale, per carità, ma al limite del
patologico là dove viene a mancare la presa di coscienza che i figli, oltre a
non essere angeli asessuati, sono anche persone con precise responsabilità
verso se stessi e gli altri. Persone che dovrebbero avere una propria posizione
nella società che non fosse esclusivamente quella di figli, persone con un esempio
da dare soprattutto in caso di maternità e paternità, attività anche queste demandate
a loro volta ad altro o ad altri, chiudendo in tal modo il circolo vizioso
della delegittimazione e della deresponsabilizzazione.
Ecco quindi che, in questo nebuloso mondo dei giovani ci
troviamo in un ancor più incognito contesto dove non si capisce ancora quale
debba essere la funzione dei giovani, se proiezione delle nostre speranze di
vecchi (a questo punto ci verrebbe da chiederci chi è vecchio chi?) o strumento
demagogico di chi deve riempire programmi elettorali troppo scarni e privi di
reali contenuti.
Io ho quasi sessant’anni e non posso, e non voglio essere
considerato giovane, e neanche giovanile, non lo voglio, e non solo perché sono
cosciente dei miei limiti fisiologici, ma anche e soprattutto perché cosciente
di essere il frutto del confronto e dello scontro con chi mi ha preceduto. Sono
stato ovviamente giovane per poter stare ancora qui a scrivere di queste
amenità, posso farlo quindi in virtù dell’insegnamento ricevuto da chi ha
vissuto e chi è nato prima di me, da chi mi ha indicato la strada giusta, ma
anche da chi mi ha indicato quella sbagliata ma, sopra ogni cosa, grazie a chi mi
ha insegnato a scegliere.
Questa è la funzione del giovane, quella di apprendere a non
esserlo più, così come quella di noi vecchi è quella di carpire quella
scintilla che accende il fuoco della giovane età e far sì che non sia un fuoco di
paglia ma una fiamma continua che alimenti la voglia di crescere, apprendere e
costruire un mondo migliore ma soprattutto di insegnare a scegliere, non di
indicare la scelta giusta o presunta tale, perché non ne abbiamo né il diritto,
né spesso, tanto meno la dignità, ma perché le scelte sono tali solo se personali.
Le scelte sono la presa di responsabilità che rendono i ragazzi uomini o
viceversa nel caso contrario, perché nella vita vince chi sceglie, non chi
attende che lo facciano paternalisticamente gli altri per loro.