mercoledì 21 maggio 2025

Le morti grigie

 


A volte ho l’impressione che anche sui morti si faccia speculazione, pare ci siano i morti di serie A e morti di serie B.

Aggiungo che esistono anche lavoratori di serie A e quelli di serie B. La notizia è quella della morte di una maestra in un incidente stradale mentre era in gita con la scolaresca che le era stata assegnata. Il cordoglio è unanime, certo, ma lo è per il fatto tragico in sé, per la presenza dei bambini e per il ricordo che va ad eventi passati ben più gravi di questo, come ad esempio a quello della galleria del Melarancio, ma non al sacrificio di quell’insegnate in quanto tale. Nessuno, al netto dei ringraziamenti a Forze dell’ordine e Vigili del fuoco, ha infatti giudicato quella maestra come una vittima sul lavoro, lei non rientra nella retorica dei sindacati, lei non rientra nella pietas di stato.

In effetti molti considerano il lavoro degli insegnanti come un lavoro privilegiato ma lo è solo per la materia che trattiamo, e il privilegio diventa subito responsabilità, e parliamo ovviamente dei bambini e dei ragazzi che ci vengono affidati, responsabilità legata, non solo alla loro crescita culturale e morale, ma anche alla loro incolumità psico-fisica.

Innanzitutto vorrei sottolineare che quei docenti che accompagnano gli studenti in gita, come ancora la si chiama, ricoprono un incarico assai oneroso nelle visite guidate, nei viaggi d’istruzione, nelle trasferte Erasmus e quelle per i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento), lo fanno gratis! Il che significa che tali lavoratori sono costretti, da una sorta di pressione sociale, a lavorare 24 ore su 24, a volte anche per più giorni, se non settimane, senza percepire straordinari e a volte rimettendoci anche i propri soldi e con una responsabilità immane, anche perché, oltre ai rischi comuni che un viaggio può avere, gli studenti più grandi vedono la gita come una zona franca nella quale l’eccesso la fa da padrone. Ebbene, nell’Italia delle commemorazioni e dei 3 morti al giorno sul lavoro, maestri e professori non hanno spazio, perché luogo comune vuole che loro siano dei privilegiati.

Lo sono perché sono quelli delle 18 ore settimanali, dei tre mesi di vacanze all’anno, dei fannulloni e del doppio lavoro. Pare che questo stereotipo, che potrebbe valere anche per altre categorie, valga anche per i sindacati, i quali, soprattutto nel mondo della scuola, badano più a far carriera, mirando alla dirigenza scolastica (che implica anche questa esperienza nel proprio curriculum), che a tutelare i lavoratori del loro comparto. In effetti non è che durante gli scioperi, gli insegnanti facciano sentire la loro voce ma mi chiedo il perché, in un mondo tanto attento a tutto e a tutti, si segua ancora il senso comune più che il buon senso e si dimentichi una fascia importante di lavoratori italiani che, se non soggetti ad orari da metalmeccanici hanno stipendi simili se non più bassi. Hanno sì la sosta lunga durante la pausa estiva ma questa è soggetta ad una regolamentazione che varia da regione a regione e da ordine e grado, nel senso che se i docenti della primaria sono liberi da impegni da luglio, quelli delle superiori, tra esami, corsi ed esami di recupero, lo sono, quanto meno, dal 19 luglio in poi, a seconda se gli esami di recupero del debito formativo si facciano a luglio o a fine agosto.

Rispetto ai colleghi europei va inoltre sottolineato che, sebbene qui si facciano pause estive più corte, almeno per gli studenti, all’estero si fanno lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come la settimana bianca a febbraio e la Pentecoste a giugno, ovviamente con Natale e Pasqua, per quel che concerne ad esempio la Francia. Inoltre l’ora scolastica, che da noi è statutariamente di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) [1] e se è la somma che fa il totale, i numeri non tornano se si considerano più i luoghi comuni che la realtà dei fatti e se questi prevalgono su di una categoria, prima o poi varranno anche per un’altra mentre i lavoratori si azzanneranno gli uni con gli altri in un’assurda guerra tra poveri.

[1] https://www.orizzontescuola.it/tempo-scuola-durata-media-ue-185-giorni/#:~:text=Nella%20maggiornaza%20dei%20casi%2C%20una,i%2040%20e%20i%2055%20minuti.

             

venerdì 9 maggio 2025

Cattolico ma non troppo

 

Sono ateo e lo sono da prima della maggiore età, ho sempre professato il mio modo di essere e talvolta ne ho dovuto pagare anche le conseguenze, soprattutto quando, fresco laureato, inviavo i miei curricula presso le scuole cattoliche, subendone l’ostracismo. La mia è stata una scelta libera, forse ribelle in gioventù, ma ora agonisticamente consapevole e priva di coercizione alcuna, perché la libertà è forse la mia vera religione e anche per questo difendo quella altrui come se fosse la mia.

Questa mia coerenza cozza però contro quella un po’ blanda della maggioranza dei miei connazionali, quelli che vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca e che vorrebbero sentirsi cattolici e al contempo fare un po’ come cazzo gli pare. Quelli che: tanto basta credere e poi si vedrà; tanto un’assoluzione non te la nega nessuno e così via. E quindi, anche potendo definirmi cristiano per filosofia, non appartenendo al cattolicesimo per mantenere salde le mie scelte e, anche se non privo di merito, ne resto fuori perché non ho il marchio di fabbrica. Sono del resto cresciuto all’interno dei principi cristiani dell’amore o, quanto meno, della tolleranza verso il prossimo e quindi la mia vita non differisce più di tanto da quella degli altri, se non per la coerenza di certe scelte e per questo se non andrò all’inferno mi risparmierò forse qualche annetto di purgatorio ma non mi spetterà nulla in terra, perché non professo la fede cattolica, apostolica e romana.

Negli ultimi tempi ha fatto scalpore la notizia di una maestra che è stata licenziata da una scuola cattolica perché questa sbarcava il lunario spogliandosi su “Only fans”. Lei, e chi per lei, gridano ancora allo scandalo poiché nella propria sfera privata ognuno potrebbe fare ciò che vuole ma nel momento in cui si viene a sapere quel che fai scatta l’epurazione. La maestra si difende dichiarando che il suo basso salario (sicuramente più scandaloso delle sue nudità) la obbligava a spogliarsi in rete per vivere (e anche qualcosa in più) e che di certo non faceva e non aveva mai fatto pornografia. Ma sta di fatto che lei lavorava in una scuola cattolica e per questo, alla dirigenza e soprattutto alle famiglie, il suo denudarsi non piaceva perché non era cosa buona e giusta.

Due quesiti però mi sovvengono a tal riguardo, il primo è quello di come siano potute arrivare alla morigerata utenza le immagini di quell’insegnante tal come mamma l’aveva fatta. Mi vien da pensare a quei papà di quei bambini, che nella loro intimità, usando la famosa chat, abbiano creato uno sconcertante senso di ambiguità che cozza non poco con il moralismo che si è mosso contro l’insegnate. Il secondo quesito che mi sono posto è il seguente, ma che pensava la signorina, di farla franca in un mondo così perbenista? In questo paese solo quello che non si fa non si sa, ed ecco pronte le rimostranze delle famiglie e le loro logiche conseguenze, del resto era un istituto privato e confessionale e, in un contesto dove, anche nella scuola di stato, è la curia a dettar legge, cosa si aspettava?

Già altrove ho specificato che mostrare e usare il proprio corpo, vendendolo al migliore offerente, non sempre è una questione di piacere e di libera espressione del proprio essere, ma un nudo e crudo bisogno materiale. Non posso quindi che chiedermi, considerato il fatto di non essere stato mai assunto in una scuola cattolica per le mie idee, perché lei dovrebbe rimanervi per le sue azioni? La coerenza, questa è quella che non paga nel nostro contesto, magari entrambi siamo ottimi docenti ma con i nostri atti, dimostriamo di non appartenere alla loro morale e quindi destinati a restare al di fuori del loro mondo, con tutti gli annessi e connessi.

Molti, tanti divorziati, vivono fuori della grazia della chiesa, molti cattolici si indignano per tutto ciò, additando le mancanze, a volte ben più gravi dello stesso clero, ma mi chiedo, questi uomini e queste donne che si sono sposati secondo il rito cattolico, sapevano che quello era un sacramento e, in quanto tale, indissolubile o quasi? Ecco l’incoerenza e talvolta l’opportunismo dell’italiano medio, accettare tutto ciò che conviene nell’essere cattolico ma fare distinguo sul resto che non conviene. Ora, lungi da me fare l’apologia della Chiesa che, da almeno duemila anni a questa parte, difende bene i suoi dogmi, ma varrebbe la pena chiedersi cosa significa essere credenti e cattolici oggi, da una parte come dall’altra.

A che pro lamentare la scarsità di sacerdoti e le chiese sempre più vuote e paventare poi le moschee piene? Oramai la religione non è più il collante della società occidentale, i valori sono altri, e il relativismo impera. Temiamo le altre religioni, in primis l’Islam, difendiamo un Natale cristiano da presunte influenze levantine ma poi dal dopoguerra ad oggi abbiamo svenduto credo e tradizioni al consumismo e a un paganesimo hollywoodiano. La chiesa, non senza un certo fascino, continua ad essere ancorata ad un passato arcaico e mantiene la sua influenza sul mondo cattolico o sedicente tale. Il clero gestisce ancora quelle paure ataviche dell’uomo ma ancor più lo fa con la sua influenza politica più che con la sua morale cristiana, e questo i comuni mortali lo sanno molto bene e lo dimenticano solo quando sono vittime delle loro stesse azioni, magari dichiarandosi antiteticamente cattolici non praticanti.

Lo stesso Papa Francesco stentava a gestire questo mondo anacronistico con due parti in causa che andavano l’una nella direzione opposta dell’altra ma con la volontà di essere una cosa sola; questo sì che pare essere un dogma, più incredibile della stessa verginità di Maria.

mercoledì 30 aprile 2025

La fretta

 .. ovvero il ritenersi informati senza informarsi.

Oggi vanno tutti di fretta, anche se devono andare a prendersi un caffè; figurati se poi devono soffermarsi nel leggere un post che si dilunga oltre i limiti della loro attenzione. E dire che ci si lamenta dei ragazzi (e purtroppo non solo loro) che ormai comunicano solo con la sintesi di social come Tik-tok e Instagram, dove prevale l’immagine più che la parola o la lettera. Per carità, non pretendo neanche che le mie di esternazioni, come quelle di altri, valgano la pena di meritare la vostra attenzione e il vostro preziosissimo tempo ma per commentare, finanche per criticare, visto che di tempo per fare questo ne avete, bisognerebbe prima leggere, e spesso questo non lo si fa, e quando lo si fa, prevale l’ombra del pregiudizio o l’attenzione di un bradipo.

Oramai prevalgono due elementi tra chi usufruisce delle reti sociali, anche perché è palese che queste abbiamo ormai preso il sopravvento sulla televisione e a maggior ragione sulla stampa, in materia di informazione, e sono la difficoltà di mantenere l’attenzione e la presunzione di commentare ciò che non si è letto o che non si è capito, vedasi anche analfabetismo funzionale; e questo se si esclude la malafede di chi commenta con un radicato pregiudizio e che quindi non è minimamente intenzionato a leggere ed analizzare i testi altrui ma attaccarli a prescindere.

Ecco quindi il grande successo dell’IA, delle bufale e di tutta una serie di immagini, video e informazioni che toccano più le sensazioni dell’utente medio che il suo intelletto che, privo di sane letture (o privo a prescindere) e tronfio di convinzioni, rischia l’atrofizzazione e la soppressione del suo senso critico. La maggior parte di questi legge il titolo e guarda l’immagine del post e li giudica veri perché, nella maggior parte dei casi, li ritiene tali, non verifica la loro attendibilità, non va a fondo, ma se ne sente gratificato perché quasi sempre, quel messaggio lo plagia avvalorando le sue convinzioni pregresse e sostenendo, complice l’algoritmo, il suo pregiudizio.

Del resto questo atteggiamento è un segno dei tempi, è la dimostrazione che noi non siamo più utenti ma acquirenti, clienti che devono usufruire di un prodotto e che la preferenza per tale mercanzia non deve essere fidelizzata in maniera cronologica ma deve cambiare rapidamente, deve essere immediata, per acquistarne rapidamente altra subito dopo, e questo vale anche per le informazioni che ci vengono fornite, spesso non sono altro che ami per pescare le nostre preferenze. La contropartita, anche se gratuita, non è in realtà tale, è ripagata con i nostri dati personali che saranno venduti e riutilizzati da altri per bombardarci di pubblicità e, all’occorrenza, saremo anche arruffianati per dirigere, al momento opportuno, le nostre tendenze politiche, già abbondantemente precotte prima del fatidico momento elettorale.

Nessuna novità a riguardo, il concetto sopra espresso, è ormai noto, ma la fretta dei nostri atteggiamenti è ormai adducibile a quest’andamento generale dell’utenza media che, nella quale, ça va sans dire*, nessuno vi si riconosce mai.

*‘Afammoc’all’inglese!

Immagine creata con l'IA.

lunedì 28 aprile 2025

Ci vuole un fisco bestiale …

 … per metter in riga chi le tasse non vuol pagare!


Si fa presto a dire grandi evasori, si fa presto a puntare il dito contro chi ha un nome e un marchio noto, ma chi ha realmente il coraggio di fare nome e cognome del pizzaiolo sotto casa, quello che, oltre a evadere pure lui il fisco, sfrutta anche i suoi dipendenti? Pare che oggi, nonostante un’immersione totale nel capitalismo, usufruendo dei suoi benefici e spesso arricchendosi, in maniera legale o illegale, grazie ad esso, vada di moda criticarlo, un po’ come lavarsi la coscienza sapendo di aver peccato e additando al contempo qualcun altro come peccatore.

Esiste un luogo comune, molto radicato, che vorrebbe le grandi imprese anche come le più cattive, orbene, non è che io voglia difendere le multinazionali, né tanto meno un capitalismo foriero di benessere ma anche di tante sciagure, non è mia intenzione, e penso inoltre che di avvocati e commercialisti, i magnati ne abbiamo pure a centinaia, ma credo che, in linea di massima, anche in questo caso si punti al fenomeno globale per non voler esaminare un molto più sommerso e compromettente fenomeno locale. Una cosa molto simile accade conseguenzialmente anche con l’inquinamento, strettamente legato al lavoro sommerso che, oltre a danneggiare l’erario, inquina come, e talvolta complessivamente più, delle grandi industrie, per risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti e mettendo a repentaglio la salute pubblica e soprattutto quella dei propri dipendenti.

È ovvio che un grande marchio, usi tutti i mezzi a sua disposizione per pagare meno tasse ed ottenere maggiori profitti ma è anche vero che le attività dei grandi nomi del commercio e dell’industria nazionale e internazionale siano sotto gli occhi di tutti e pertanto stiano anche molto attenti nell’evadere il fisco illegalmente e al non rispettare i diritti minimi sindacali, perché loro, hanno sì stuoli di avvocati pronti a tutelarli ma soprattutto hanno un nome da difendere e un luogo comune contro.

Il pizzaiolo sotto casa invece, così come il salumiere, il meccanico, l’idraulico, l’elettricista, la ditta di lavori edili, per non parlare dei medici e degli altri professionisti, o dell’impiegato pubblico che fa il doppio lavoro a nero, fanno tutti di necessità virtù ed evadono tranquillamente, e non sempre per sopravvivere. Inoltre, molti di questi esercizi sottopagano, se non sfruttano, i propri dipendenti, spesso approfittando di un mercato del lavoro tendente al ribasso, soprattutto quando si tratta di determinati lavori come quelli agricoli, dove si rasenta la schiavitù allorquando il lavoratore è straniero e magari anche irregolare, in tal caso il ricatto, oltre che la necessità, è assicurato.

È la somma che fa il totale diceva qualcuno, e quindi, se dieci, venti, trenta, cinquanta ma pure cento grandi ditte evadono, queste non danneggeranno lo stato così come possono farlo milioni di piccoli e medi evasori. uindi un alibi quello dei grandi evasori, anche abbastanza sfruttato da un populismo trasversale a tutti i partiti politici, quello del puntare il dito verso di loro, è come sparare nel mucchio senza cogliere il centro e beccare solo il malcapitato di turno e senza scalfirlo più di tanto.

Mi piacerebbe allora mettere sullo stesso piano un impiegato di Amazon al primo contratto e un giovane garzone di una qualsiasi bottega italiana, oppure un dipendente di Carrefour e il cameriere di un ristorante, chi sarà il più sfruttato dei due? E dove preferirà lavorare nell’eventualità potesse scegliere? La retorica politica attacca tutto ciò che è potere, spesso perdendo d’occhio ciò che realmente potere è, e soprattutto ciò che è sostanziale e quindi più importante, ovvero abbattere lo sfruttamento dei lavoratori. Invece, secondo un andante, il piccolo evade e sfrutta per sopravvivere mentre il grande lo fa per aumentare i guadagni. Sarà anche così ma lo sfruttamento rimane sempre tale e per lo sfruttato non cambierà la situazione se a farlo sarà la FIAT o Ciruzziello a mare, anzi, ha più speranza di essere difeso dai sindacati nel primo caso che ne secondo.

Un altro diffuso luogo comune è poi quello del lavoro domenicale o quello festivo, ecco, anche qui in questo caso, credo che si confonda la sostanza con la forma. Certo, in un mondo idilliaco, magari più prossimo ad un nostro passato recente, la domenica i negozi erano chiusi, e si stava tutti in famiglia, un’immagine bella, nostalgica ma poco vicina alla nuova realtà socioeconomica in cui viviamo. Messa da parte ogni sovrastruttura ideologica, dobbiamo infatti renderci conto che abbiamo accettato, dal dopoguerra ad oggi, un’economia di mercato che, nella sua logica benché discutibile evoluzione, ci porta a fare i conti anche con la nostra coscienza, non che tutto vada accettato a prescindere, ma quando ci va bene il capitalismo perché ci conviene, non possiamo avversarlo a prescindere quando non ci piace. Se andiamo al bar la domenica o al ristorante nei giorni di festa potremmo accettare anche che i centri commerciali siano aperti. E questo è il punto focale della situazione, qual è il vero problema, il moloch del centro commerciale, o il lavoro festivo? Il problema è ideologico o pratico? Esistono tanti servizi che funzionano nei giorni festivi, certo, molti di essi essenziali per la vita sociale come la pubblica sicurezza o sanità, ma pur sempre di lavoro si tratta, e per questo opportunamente remunerati per il sacrificio del loro tempo libero; ed è qui che i nodi vengono al pettine, è più giusto che nei festivi non si lavori o che i diritti di questi lavoratori vengano rispettati? Ecco, è qui che si deve puntare l’attenzione da parte della società e dei vari portatori di interesse, sul rispetto dei diritti di chi lavora e che liberamente sceglie di lavorare nei giorni festivi e senza ripercussione alcuna sul salario e sull’orario lavorativo settimanale e non il dogma della festività.

Mi rendo conto che scrivere tutto ciò sia come andare contro corrente, nu parlà contra ‘a chiesa, come si suol dire dalle mie parti quando si fa un discorso apparentemente contro gli interessi del tuo gruppo di appartenenza ma, siccome io appartengo a tutti perché non appartengo a nessuno, me ne farò una ragione in virtù della mia libertà.

Per approfondire: https://www.vesuvionews.it/notizie/innocenti-evasioni-evasione-fiscale/

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post. Né tanto meno mi interessa se qualcuno lo reputa troppo lungo, nessuno vi obbliga a leggerlo tutto.

Immagine creata con l'IA

venerdì 25 aprile 2025

Il cattivista


Dice il mio fraterno amico Francesco Napolitano che se esiste il tanto bistrattato "buonismo" dovrebbe esistere anche un ipotetico "cattivismo"! Ora mi chiedo chi ammetterebbe di esserlo realmente? Chi ammetterebbe di essere cattivista? Tutti pronti a dire che c'è qualcuno che sbaglia nei confronti degli stranieri (e lo si fa quasi sempre nei confronti dei deboli e dei ritenuti tali) ma nessuno si definisce razzista o quanto meno nessuno ammette che egoisticamente non gliene frega niente di quei poveracci che anneghino nel Mediterraneo. Apprezzerei molto più un vero cattivista invece di ascoltare chi si schiera dietro parole vuote, almeno saprei chi mi trovo di fronte: un fascista!

https://www.facebook.com/cteodonno/posts/pfbid02S16XLyAtsgGwP5oouT56AEsAzmbgdqwwPDAYCbtmDQEzYCRim3XTp5C7ozz5maU6l

Io sono antifascista

 


Io sono antifascista e lo sono nella misura in cui i diritti di tutti sono anche i miei.

 Sono antifascista perché, come dicevano gli antichi, combatterò per la libertà di tutti, anche dei miei avversari e col rischio che sia loro che i miei compagni non capiscano o non vogliano capire questo gesto.

 Sono antifascista perché ho capito dall’esempio di chi mi ha preceduto lottando per la libertà, che non puoi schiacciare l’avversario ma devi condurlo a te, e non per convincerlo, ma per ascoltarlo poiché, il tuo, non è un pensiero assoluto. La violenza non fa altro che generare altra violenza.

 Sono antifascista perché non posso combattere chi mi avversa diventando come lui, e sono antifascista perché chi mi sta di fronte mi è uguale e questo a prescindere il colore della pelle, del partito o della religione.

 Sono antifascista perché non seguo una bandiera ma un principio di libertà ed autodeterminazione.

 Sono antifascista perché non grido per un’idea come per una squadra di calcio e a maggior ragione non ucciderò per essa e per nessun altro principio, ma urlerò di sicuro per ogni oppressione e ogni coercizione che mi troverò davanti.

 Sono antifascista, e scusate il pregiudizio, perché non seguo una moda ma un ideale e quest’ideale non cambia con l’età ma si accresce con essa.

 Sono antifascista perché ho buona memoria e ho letto molti libri, quali memorie altrui e non dogmi da diffondere e dietro cui schierarmi; ma non ho letto solo i testi che mi piacevano, e così ho fatto anche con i giornali e così ho fatto ancora ascoltando chi la pensava diversamente da me e senza l’obbligo, né morale e né personale, di convincerlo ma con quello categorico di capire.

 Sono antifascista per la memoria di cui sopra che mi è stata trasmessa da chi, dopo massacri e deportazioni, ha permesso a tutti di poter parlare ed esprimere con ogni mezzo lecito la sua opinione, anche chi lo ha massacrato e deportato.

 Sono antifascista perché non nascondo i miei dubbi dietro finte verità ma li affronto a mente aperta e senza il timore di sembrare debole e con la convinzione della sincerità. Perché la mia forza è anche nel dubbio.

 Sono antifascista perché ho capito che non sarà il colore del partito o della bandiera a rendermi tale ma la coerenza delle mie azioni.

 Sono antifascista perché lo ero da ragazzo quando gli altri seguivano acriticamente la Pantera, così come oggi inseguono un’altra chimera e al contempo le mie azioni di oggi conservano la stessa forza di ieri perché convinte e non indotte.

 Sono antifascista perché da adulto mi sento più rivoluzionario di quei giovani che non sognano oggi come non sognavano ieri e che temo non sogneranno nemmeno domani, quelli che non osano essere diversi dai loro padri ma che non sanno neanche apprendere dai loro errori.

 Sono antifascista perché non ho bisogno di dar fuoco ai cassonetti e lanciare sampietrini per sentirmi vivo ma di lottare per un’ideale costruttivo.

 Sono antifascista perché non conservo rancore, perché riesco ad affrontare la vita col sorriso sulle labbra e senza il bisogno di dare la colpa ad altri se la vita mi oppone resistenza, perché quella resistenza stessa è vita.

 Sono antifascista perché non ragiono con altri organi se non col cervello e non entro nei letti altrui, perché valuto le persone per le loro azioni e non per chi le accompagna nella vita o nel talamo.

 Sono antifascista perché nelle forze dell’ordine non le devo vedere per forza un nemico ma anche un alleato e non identificare il male in base all’ideologia ma in base al contesto. Soprattutto non lancio sassi per sentirmi più uomo ma affronto a testa alta la vita e quello che questa mi presenta, senza casco, senza passamontagna solo con il mio sguardo di uomo libero.

 Sono antifascista perché amo e non odio, sono antifascista perché credo nell’uomo,

 sono antifascista perché lo dico!

https://www.ilmediano.com/io-sono-antifascista/ 

 

Il mio 25 aprile

 


“Se hai molto da dire sul passato hai poco da dire sul presente.”

Il 25 aprile ha acquisito negli ultimi decenni un valore diverso, è passato ad essere, da stanca ricorrenza primaverile a momento conflittuale. Tutto questo da quel 25 aprile del 1994 ovvero da quando, per la prima volta la destra arrivò al potere in Italia.

Per molti, me compreso, la Resistenza ebbe allora un nuovo valore ovvero quello di una sorta di resistenza contro quelle destre, lasciate fino ad allora ai margini della vita democratica del Paese e che temevamo fossero invece un rigurgito di quel fascismo che speravamo d’essercene liberati per sempre. Purtroppo gli Anni di Piombo, col terrorismo di matrice neofascista, ma anche con quello delle Brigate Rosse, ci avevano fatto ben capire che la nostra pacificazione non era poi così scontata e che la democrazia doveva pagare ancora un tributo molto alto per consolidarsi e che il nostro paese non aveva fatto ancora i conti con il proprio passato, lasciando aperti molti spiragli a quelle visioni totalitariste che allora, ma per certi versi ancora oggi, influenzano e mettono in pericolo il nostro vivere democratico.

Quella nuova resistenza mi sembrava l’unica strada per controbattere le destre, quelle che erano per me il male assoluto perché fin troppo vicine a quel passato fascista che aleggia ancora oggi su di noi. Un passato  fin troppo paventato da una sinistra che talvolta ha agito in maniera altrettanto fascistoide e spesso convergendo in quella parabola che avvicina tutte le realtà dogmatiche in una visione esclusivista del mondo. Non è quindi fascista chi lo è ma è fascista soprattutto chi lo fa, ed è anche per questo che ho dovuto rivedere radicalmente la mia visione politica del mondo.

Gli anni, la maturità, il vedere le cose senza i filtri della passione e con la cartina tornasole dell’esperienza, mi hanno fatto capire, benché le destre non fossero e non siano il mio ideale, che anche le sinistre incominciavano a mostrare il loro vero volto ed oggi, con il loro arcaico dogmatismo, una faziosità sconcertante e prese di posizione imbarazzanti davanti ai nuovi conflitti che la cupidigia dell’uomo ci ripropone, mostrano un anacronismo talvolta peggiore di quello dei conservatori, strizzando spesso l’occhio al complottismo e a un populismo solo apparentemente antitetico a quello della destra.

Ecco, questo rapido excursus degli ultimi trent’anni di Repubblica, si sovrappone con la celebrazione dei primi ottant’anni dalla Liberazione. Mi chiedo quindi se può l’immagine sbiadita della guerra partigiana essere ancora compresa dalle nuove generazioni? Che senso ha ricordare concetti che ormai travisano gli stessi epigoni della Resistenza? La libertà è la mia risposta, libertà e ricordo di chi ha lottato per conquistarla e donarcela, questo è il senso primario del 25 aprile, la libertà di pensarla in maniera differente e la possibilità di manifestarlo pubblicamente, liberando la democrazia da ogni altro vessillo che non sia quello della libertà e della parità tra gli uomini e che non sia vincolata ad un’appartenenza politica, che sia figlia della ragione e non del principio di appartenenza e questo è il valore che deve essere difeso e celebrato oggi, domani e sempre.


venerdì 18 aprile 2025

Il pregiudizio più antico del mondo.

 


Parto dal presupposto che ogni nostra azione, ogni nostro impegno, per quanto elevato e finanche gradevole e soddisfacente, se questo implica una coercizione, che sia economica o morale, non può essere considerato un vero e proprio piacere ma un obbligo da adempiere o una necessità per sopravvivere.

È notizia di questi giorni che l’ISTAT abbia rivisto i codici ATECO (quelli che fanno riferimento alle ATtività ECOnomiche) includendo anche quello relativo alla prostituzione per permetterne una identificazione dal punto di vista fiscale. Orbene, so di affrontare un argomento vecchio quanto il mondo, mi rendo anche conto del campo minato su cui mi accingo a muovere ma non è mia abitudine nascondermi dietro il proverbiale dito e cercherò anche di superare il mio pudore a riguardo.

Si usa dire che ognuno di noi abbia un prezzo, forse è vero ma in virtù di chi non si è mai venduto e che spesso si è immolato per una causa, mi sembra doveroso affrontare il concetto della prostituzione dal punto di vista morale. Si faccia bene attenzione, morale non vuol dire moralismo, con la sua accezione negativa ma di quell’insieme di regole necessarie che ci permettono di vivere assieme con norme comunemente accettate da tutti e che spesso forgiano anche le nostre leggi.

È mia convinzione pertanto che una donna, come qualsiasi altra persona, nel momento in cui decida di vendere il proprio corpo per soddisfare le voglie altrui, non lo faccia per puro e reciproco godimento ma per la necessità di vivere o sopravvivere, contrattando economicamente ciò dovrebbe essere invece un qualcosa di naturale come respirare o mangiare, e che purtroppo non lo è. Ciò vuol dire che, contrariamente al luogo comune, che vorrebbe l’esistenza di donne che amino fare questo mestiere, creando spesso immagini distorte di donne assatanate in cerca del maschio di turno, la moneta non nobilita l’atto e frustra l’essere umano e lo relega negli strati più bassi della società. Ritengo inoltre che fare sesso oggi, in maniera sana, consapevole e consenziente, non è difficile come una volta e quindi chi volesse praticarlo liberamente seguendo la propria indole non dovrebbe avere tanti problemi nel farlo, salvo determinati casi di esclusione sociale ma, se c’è la transazione economica allora sì che le cose cambiano, perché in quel momento nasce un bisogno, se non una necessità economica o addirittura un’imposizione; non è più naturale istinto e ricerca del piacere ma la posizione prevaricante di chi paga la prestazione e di chi deve svolgerla se non addirittura subirla.

Ma l’ipocrisia di un mondo misogino ha fatto sì che questa imposizione sociale, spesso delegata a quelle donne che un tempo erano state sedotte e abbandonate dai propri compagni o vittime di violenza carnale, divenisse un ruolo sociale ben definito e mal stigmatizzato, altro che libertà sessuale da romanzo rosa o appannaggio di ricche e libere nobildonne, il sesso era, e troppo spesso lo è ancora, un’imposizione dell’uomo sulla donna e a tutti i livelli sociali, non un naturale fluire delle cose. Oggi la situazione non è però cambiata più di tanto e, benché si pensi ancora che molte lo facciano per piacere, e benché anche in questo caso si utilizzino ormai parole inglesi per diluire ciò che altro non è che prostituzione, c’è un prezzo da pagare ed è risaputo che l’amore non si paga, a meno che non si voglia considerare anche il piacere come una merce di scambio e il corpo delle donne, ancora una volta il suo vettore.

Oggi si parla ancora di riapertura delle case chiuse, stile Paesi Bassi, ma anche lì come qui, benché in quei luoghi si sia provato a dare un ordine a questa “professione”, senza spazzare la polvere sotto al tappeto come si fa da noi, non solo non si è riusciti a togliere dalle mani della delinquenza organizzata lo sfruttamento di queste povere donne, ma non si è riusciti neanche ad elevare la posizione di queste da oggetto sessuale a persona, tanto da esporle in vetrina a mo’ di merce da vendere. E, come al solito, si prende dall’estero solo ciò che conviene e spesso decontestualizzando le situazioni che andrebbero invece calate nelle realtà culturali locali.

Mi sono sempre chiesto perché i perbenisti lamentino la presenza per le strade di quelle povere ragazze italiane, slave o africane che siano. Credo che, oltre al tabù del sesso, ostacolo all’apparenza insormontabile ed ancora una costante nella nostra civiltà occidentale, ci sia anche la coscienza sporca del cliente incallito od occasionale, che non accetta la commistione tra il suo mondo e quello dell’amore mercenario e ben conscio della sporcizia dei suoi atti.

Ritornato quindi al prezzario al quale dovrebbe sottostare ognuno di noi e quindi l’essere disposti a prostituirsi in un modo come nell’altro al migliore offerente, questo è vero ma fino a un certo punto, nel momento in cui c’è, come ho scritto più su, chi non s’è mai piegato a questo assioma e nel momento in cui chi fa il suo lavoro lo fa perché riconosce in questo una funzione sociale. Quali sono questi mestieri? Tutti, se fatti bene, ma di sicuro non quei mestieri che ti rendono cosa, oggetto, mercanzia nel corpo così come nella mente e, concedetemelo, anche nell’anima.

#prostituzione #prostituzionefemminile #casechiuse #Istat #sfruttamentodellaprostituzione

Per approfondire

https://www.ilmediano.com/Escort-o-sex-worker-Questo-e.../

https://www.ilmediano.com/Lamore-molesto/#google_vignette

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post.

Immagini create con l'IA

martedì 15 aprile 2025

L’oppio dei popoli

 


Più volte all’anno le nostre città, le nostre autostrade, i nostri stadi diventano teatro di scontri tra tifoserie avversarie. Le immagini di devastazione delle infrastrutture, degli esercizi pubblici, del pubblico patrimonio e della proprietà privata sono uno sconfortante promemoria di ciò che il calcio produce da anni e spesso con conseguenze anche letali. Le stesse forze dell’ordine sono soverchiate, in numero e in forza, da queste orde animalesche che col calcio non avrebbero nulla a che vedere ma che in realtà sono una presenza ormai costante e fin troppo tollerata. Le stesse polizie, quelle che vengono difese ad oltranza quando in quelle piazze non ci sono gli ultras ma gli inermi e spesso sprovveduti studenti, ora prendono mazzate e cinghiate da energumeni che non lottano per la difesa un diritto costituzionale ma per una dipendenza indotta o un atto di prepotenza.

Ricordo, da ragazzo, quando accadeva qualcosa di grave allo stadio, le levate di scudi in favore di un mondo che aveva già da tempo mostrato il marcio che aveva dentro, e quando si asseriva, soprattutto per voce di una stampa asservita, che erano i soliti 4 cretini che andavano individuati e fermati nell’ambito di un contesto circoscritto e limitato nel tempo e nello spazio. Il minimizzare il fenomeno, ha invece fatto sì che ormai da decenni le nostre città siano in balia di orde di teppisti e veri e propri delinquenti. Inutile ricordare le cariche contro la polizia [1], gli assedi ai commissariati [2], i morti per accoltellamento, le percosse, la vicinanza delle tifoserie agli estremismi politici [3] e soprattutto alla delinquenza organizzata [4], vedasi le mafie; inutile, il fenomeno è stato da sempre, e lo è ancora, giustificato, in virtù di una sottintesa causa di forza maggiore.

La ragione è presto detta, il calcio non muove solo denaro, tanto denaro da essere una voce di rilievo nel nostro PIL [5] ma il calcio muove anche e soprattutto consenso. Il nostro populismo, di destra come di sinistra, coltiva il culto e il dogma del calcio. Non c’è politico italiano che non manifesti la sua passione calcistica o che osi mettere in dubbio l’eccessiva importanza data ad uno sport a discapito di tutti gli altri. Ecco perché, nonostante le tante parole al vento, non si è mai fatto nulla di serio per arginare la deriva del tifo calcistico, i tifosi sono funzionali alla macchina calcistica e a tutte le sue aberrazioni e nessuno, intellettuali inclusi, osano indicare il re nudo.

Il governo Meloni esordì, al suo insediamento, come primo atto politico della sua legislatura, con il “decreto rave party” [6], quasi come se la priorità assoluta di questo paese fossero quelle estemporanee feste campestri a suon di techno e pastiglie stupefacenti. Per carità, ogni eccesso, foriero di pericoli d’ogni genere, va contenuto e riportato negli argini della normalità e della legalità ma a questo punto, perché non è stato mai promulgato nessun decreto per arginare la violenza ormai quotidiana, legata al calcio?

Sembra chiaro che il “decreto rave” sia stato una strizzata d’occhio nei confronti di un perbenismo borghese e provincialotto e che spesso vota a destra, ma anche a sinistra, e quindi è stato come sparare sulla croce rossa nell’avversare un fenomeno, quello dei rave party, che sostanzialmente non piaceva a nessuno. Invece il calcio, in Italia, e non solo, è più importante della Madonna, è una sorta di religione e che coinvolge anche quest’ultima in una frenesia che va ogni altra logica, basti pensare l’abrogazione di ogni regola di decenza durante i festeggiamenti dello scudetto del Napoli Calcio [7], ma, ancor peggio, ciò che accadde a Torino qualche anno fa, con morti e feriti in una piazza senza regole e sicurezza [8].

Il mondo del calcio ha purtroppo una corsia privilegiata, ciò che viene criticato ad altri contesti, persino alla politica stessa che ne è spesso complice, viene giustificato al mondo del pallone. È notizia di questi giorni l’ennesimo scandalo delle scommesse [9], con implicazioni di calciatori, già coinvolti in altri scandali e inchieste e ciò nonostante li si giustifica ancora come ingenui ragazzotti ludopatici, fragili e annoiati e vittime di un sistema che, in un modo o nell’altro, alimentiamo anche noi e per questo non vogliamo sentircene complici ma semplici spettatori paganti e pertanto irresponsabili o sedicenti tali.

[1] https://roma.corriere.it/cronaca/diretta-live/25_aprile_13/derby-lazio-roma-diretta-stasera-risultati.shtml

[2] https://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/tifosi-morto/assalti-roma/assalti-roma.html

[3] https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_15/derby-lazio-roma-una-guerriglia-pianificata-un-arresto-per-gli-scontri-ultra-7807291a-2e0f-4563-94be-77126f8e6xlk.shtml

[4] https://www.corrieredellosport.it/news/calcio/serie-a/2025/02/02-138055726/ndrangheta_e_curve_a_report_i_casi_di_juve_inter_e_milan

[5] https://tg24.sky.it/economia/2024/08/08/calcio-impatto-pil-report-figc

[6] https://pagellapolitica.it/articoli/rave-ergastolo-primo-decreto-legge-governo-meloni

[7] https://www.ilmediano.com/la-festa-scudetto-fa-gia-danni-camion-trancia-festoni-bassi-e-tubi-dellacqua/

[8]https://www.lastampa.it/torino/2022/01/22/news/tragedia_di_piazza_san_carlo_10_anni_alla_banda_del_peperoncino_-2837905/

[9] https://www.agi.it/cronaca/news/2025-04-13/scommesse-calcio-due-talpe-in-questure-roma-e-torino-30898043/  

Per approfondire:

https://www.vesuvionews.it/notizie/palloni-gonfiati-calciatori-tifoseria-napoli/

https://www.ilmediano.com/un-calcio-al-pallone/

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post. Le tante note sono invece funzionali alla mia tranquillità per arginare (si spera) coloro che si ostinassero a negare la propria assuefazione al mondo del calcio.

Foto fonte web modificata dal sottoscritto

venerdì 4 aprile 2025

La scuola

 


L’ennesimo fatto di cronaca, l’ennesimo femminicidio e l’ennesimo appello alla scuola.

Sembra inverosimile che la scuola possa risolvere tutti i problemi della nostra società eppure pare proprio questo l’atteggiamento della politica e della società che vi si accoda. La scuola sembra esser diventata il capro espiatorio per la risoluzione di tutte le aberrazioni del mondo, la panacea per tutti i mali, come se tutto nascesse e morisse lì, tra i banchi di scuola. Certo, la cultura, l’analisi delle problematiche, la crescita intellettuale, civica e sociale dei giovani è lì che in buona parte si realizza ma ho la forte impressione che questa stia diventando una sorta di scialuppa di salvataggio nella quale riversiamo tutte le nostre paure senza depositarvi mai le nostre di responsabilità.

La scuola italiana da anni fa didattica ambientale, da anni cerca di avviare gli studenti verso il mondo del lavoro, da anni affronta le tematiche del bullismo e del cyberbullismo, da anni fa educazione sentimentale e di conseguenza prova a portare avanti anche discorsi relativi alla sessualità, scontrandosi col suo tabù e lottando contro l’immane fraintendimento che la società stessa manifesta attraverso tutti gli strumenti di comunicazione di massa, internet inclusa.

Da sempre la scuola nel suo corpo docenti, e non solo, dialoga con i giovani e lo fa tra notevoli difficoltà, lo fa camminando su un campo minato, là dove, gestire famiglie sempre più esigenti ma poco inclini al dialogo, è diventato più che un’opportunità, un rischio; un contesto dove i giovani, sempre più restii al confronto e immersi in un mondo sempre più distaccato dalla realtà, parlano spesso una lingua diversa dalla nostra; e infine tartassati da una burocrazia schiacciante, opprimente, che vanifica ogni iniziativa legata al fine stesso della scuola, ovvero la didattica e neanche ad un sano e auspicabile buon senso che spesso risolverebbe molte delle problematiche più immediate. Di certo questo buon senso non è quantificabile, non è un regola scritta ed è basato sull’esperienza professionale del docente ed alla sua sensibilità umana, ma rendiamoci conto di cosa, o meglio, di chi stiamo parlando, rendiamoci conto che l’oggetto e il soggetto in questione è l’essere umano, un bambino che s’affaccia sul mondo o un giovane nella fase più critica della sua formazione, un adolescente, quindi, come poter applicare su di lui regole matematiche e ancor meno ridurre la sua esistenza a semplici restrizioni burocratiche?

Infine aggiungo che, le risoluzioni prese dall’alto, quelle del ministero, si riducono quasi sempre sovrapposizioni burocratiche ad altra burocrazia di per se già stratifica da precedenti provvedimenti, adempimenti da svolgere, documenti da redigere, tempi da rispettare, distogliendo i docenti dal loro reale lavoro, trasformandolo in uno sterile riempimento di carte, utile solo a giustificare l’azione governativa nei confronti del problema più scottante in quel momento, per dare solo l’impressione di aver fatto qualcosa e che quel qualcosa soddisfi chi non ha voglia di vedere, pensare ed agire.

lunedì 31 marzo 2025

Trump, Putin e Confucio ovvero Cric, Croc e manico a uncino


Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico

Ferma restando l’altrui libertà di pensiero non posso fare a meno di notare che, nella mia home page di facebook, imperi un pensiero unico dominante, ovvero quello di un’Ucraina unica colpevole della guerra che l’opprime e che la colpa sia solo di quel “pagliaccio Zelenski”, della sua “Ucraina fascista” e di un’ Europa bellicista comandata da Macron e soci.

Orbene, lungi da me speculare sulle ragioni reali di questa guerra, che saranno valutate seriamente, e non a furor di social, nel lungo periodo e da gente competente, ma vorrei specificare che la cosa che più temo al momento è la virale campagna antiucraina che si evidenzia nello scorrere la mia home del social in questione. Non fraintendetemi, la mia non è contro-faziosità ma è semplice e genuino dubbio, sano scetticismo difensivo. Sì, perché, se esistesse una vera e democratica dialettica tra le parti, riscontrerei anche dei post pro Ucraina, in verità molto rari. Forse è frutto dell’algoritmo che seleziona le mie letture? O magari è influenzato dalle mie “amicizie”, in prevalenza schierate e prossime a quelli che una volta erano i miei ideali politici? Mi sa invece che questo birbante dell’algoritmo, come un tempo si faceva con la stampa, la radio e la tv, sia opportunamente pilotato da qualcuno, per infuocare le masse perennemente insoddisfatte e frustrate dell’occidente, per distrarle e per direzionarle altrove e al contempo facendole sentire partecipi di un tutto che è forse niente o quasi.

Forse sarà così, ma mi farebbe comunque piacere vedere, di tanto in tanto, anche qualche post critico su Putin, visto che, tutto sommato è lui che ha invaso l’Ucraina, e invece no! Nonostante il suo regime tutt’altro che democratico, nonostante il fatto che il suo sia un paese belligerante e imperialista, nonostante il suo annientamento di ogni opposizione politica interna, e di tutte le fonti giornalistiche alternative a quelle del suo regime, l’opinione pubblica pare venga forgiata sul presupposto che la colpa non sia la sua, ma sono stati gli altri a stuzzicare il can che dorme.

La cosa più ironica però, è quella che gli stessi che irridono Zelenski e la UE, sono quelli che non vedono le nefandezze di Putin, sono gli stessi che vedono in Trump il fautore della pace universale e che al contempo si battono il petto per il genocidio palestinese. Anche in questo caso, così come giustamente si denuncia quell’orrore, non capisco perché non condannino allo stesso modo quello che accade con gli ucraini, non sono forse fratelli come i russi anche loro? E allo stesso tempo non sono nostri fratelli anche gli israeliani uccisi da Hamas? A me non piace questa visione del mondo con i paraocchi, questa visione che segue le modalità del tifo calcistico, spacciata da finto pacifismo, poiché non lascia spazio né a dubbi né a sfumature, né tanto meno all’onta assoluta del ripensamento. Eppure noto che esiste un modus operandi, che caratterizza più schieramenti politici che, sebbene ormai trasversale, ristagna nella visione qualunquistica sia della destra che della sinistra, soprattutto tra quelle più radicali. I dogmi sono: Putin è tutto sommato un comunista e, comunista, con buona pace di Stalin, Mao e soci, è bello o, dall’altro canto, chi è nemico del mio nemico è mio amico. Israele equivale al nazismo ma Hamas esiste, ammazza anche lui innocenti ma è solo una questione di numeri e non di principio. Poi c’è la UE, c’è la NATO (si noti che siamo gli unici latini che la pronunciano così, all’inglese) e poi c’è Macron, bersaglio di ogni strale gialloverde, rossobruno o nero assoluto che sia. Quell’atavica antipatia verso i cugini ricchi (quelli poveri, gli spagnoli invece li amiamo, li rispettiamo e talvolta li snobbiamo pure) si concretizza oggi nei confronti di una Francia molto più attiva come nazione e come azione e con posizioni meno ambivalenti rispetto alle nostre. Mi sono fatto l’opinione che sia Putin che Trump per quanto prossimi al despotismo, rappresentino ad ogni modo il potere, rappresentano ancora le due nazioni più potenti al mondo e pertanto, con chi potrebbe prendersela l’italiano comune se non con uno più facilmente alla sua portata? Mica un Regno Unito su posizioni tutto sommato simili a quelle francesi? Certo che no, quelli parlano inglese come Trump, meglio prendersela con Macron e la Germania, sono loro che vogliono gli armamenti per risanare un’industria automobilistica in recessione, mica la Stellantis che, pur non essendo più italiana da tempo, continua a ricattare lo stato italiano e sicuramente convertirà, come ha sempre fatto, il comparto auto in quello armi.


Risulta infine evidente che, tra Putin e Trump ci sia un accordo di fatto, grazie al quale, tacitamente, ma neanche più di tanto, gli USA acquisiranno, con le buone o con le cattive la Groenlandia e la Russia manterrà le zone conquistate in Ucraina e terrà lontana la NATO/OTAN dagli altri paesi che giudica ancora suoi satelliti. Sembra però, altrettanto ovvio che, nella loro logica espansionistica, e visto che la Terra è pur sempre rotonda, prima o poi, queste due superpotenze entreranno in collisione e allora le carte si rimescoleranno. Nel frattempo però esistono paesi, su tutti la Cina, che la loro guerra la combattono internamente, ed è una guerra civica, economica e tecnologica, nella ricerca di energie sempre meno costose, una lotta basata sulle leggi di mercato, le stesse che noi occidentali abbiamo voluto imporre al mondo intero e che, grazie alle quali, per le loro intrinseche pecche o per l’uso più spregiudicato che ne fanno le economie emergenti, stiamo ormai soccombendo senza un apparente spargimento di sangue.  

In pratica, dall’etica protestante che prevarica quella cattolica, al confucianesimo che surclassa entrambe.    

#usa #russia #cina #groenlandia #ucraina #ue #trump #putin #zelensky #macron                          

domenica 30 marzo 2025

Fatto in Italia II

 



in de col men seivuan

prisencolinensinainciusol ol rait” [*]

La locuzione “made in Italy” è di per sé un ossimoro poiché contraddice, con l’uso stesso dell’inglese, il principio di italianità che vorrebbe invece esprimere. Non mi soffermerò sull’uso spropositato e spesso inutile degli anglicismi usati nella nostra lingua ma, con questa espressione, non ne guadagna di certo il concetto di eccellenza italiana e neanche la stessa comunicazione poiché, se un nome è sinonimo di qualità, e magari anche di convenienza, può anche essere scritto in aramaico antico ma tu cercherai quel prodotto per le suddette caratteristiche e non per l’inglese. Ora, paradossi a parte, ma azzeccare qua e là vocaboli inglesi, spesso pronunciati male e fuori luogo, indica solo il nostro provincialismo e non la padronanza di quella lingua e neanche la qualità del nostro lavoro. Spesso irridiamo paesi come la Francia per l’uso istituzionale e apparentemente poco elastico della loro lingua ma in realtà questo lo fanno anche gli altri paesi e siamo invece noi fra quei pochi che prediligono l’uso dei barbarismi o la impoveriscono con roboanti parole ad effetto e che spesso non hanno nulla di funzionale se non l’estetica e una dialettica fuorviante. La manifattura italiana una volta era rinomata nel mondo e, a prescindere dall’inglese, si vendeva da sé. Non vorrei che oggi, in assenza di questa tradizione che sta purtroppo svanendo, si badasse più alla forma che alla sostanza poiché, se è pur vero che spesso è l’apparenza quella che conta, è sempre il contenuto quello che si vende, e le scatole vuote non le vuole nessuno, a meno che non si vogliano fare i famigerati pacchi.

#MadeInItaly #FattoInItalia

[*] https://www.newyorker.com/.../sasha.../stop-making-sense

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post, né tanto meno ci si è dilungati oltremodo per non ledere l'altrui idiosincrasia verso la lettura.

Immagine fonte web

domenica 23 marzo 2025

Per Angelo Prisco



Perché mi trovo a parlare ancora di Angelo Prisco, e perché farlo a distanza di trent’anni? Non di certo per la cifra tonda del triste anniversario ma per rimarcare che non esistono solo le vittime innocenti della mafia propriamente detta, della camorra, della ‘ndrangheta, e di tutte le altre declinazioni di questo cancro, ma esistono anche altre vittime innocenti delle mafie e, se parlo al plurale è perché il pensiero mafioso, la cultura mafiosa e l’azione mafiosa non appartengono purtroppo a un processo che caratterizza la sola delinquenza organizzata; la mafiosità, in cui le mafie hanno origine, è infatti un qualcosa che esiste tra di noi e che riscontriamo ogni giorno davanti ad ogni piccolo e grande sopruso, e soprattutto quando voltiamo la faccia dall’altra parte. Ecco, quello che voglio sottolineare, dopo trent’anni dal tragico omicidio di un giovane di ventisette anni, a carico di due bracconieri, è perché, nel caso di Angelo Prisco, si è voltata la faccia, dopo la prima emozione del momento, si è detto di tutto su di lui, è stata infangata la sua reputazione immacolata di ragazzo di chiesa e di maresciallo della Guardia di Finanza, tutto pur di non ammettere la mafiosità di quell’atto. Questa logica è diffusa e presente nella nostra cultura, agisce sempre mediante tali meccanismi, uccidendo le persone nel corpo e nel loro ricordo, ed ecco perché dobbiamo invece ricordare, tutti, nessuno escluso. La mafia e la mafiosità sono un fardello che ci tiene in un limbo, in una situazione di arretratezza culturale e che frena ogni nostro intento di normalità. Quando parlo del sacrificio di Angelo prisco, primo difensore della natura vesuviana e prima vittima all’interno di un Parco Nazionale del Vesuvio appena nato, molti mi obiettano che per loro sia impossibile che si possa morire per la contestazione di un reato di caccia di frodo, doveva esserci sotto qualcos’altro; io rispondo a questo complottismo che in un paese dove si muore ancora per un paio di scarpe sporche, allora si può morire anche per qualcosa di più elevato, se a dominare su tutto ciò, c’è la prepotenza delle mafie.

Per non dimenticare:

da fairbanks-142.blogspot.come

da il mediano.it

da il mediano.it

da www.vesuvionews.it

da www.vesuvionews.it

da www.vesuvionews.it

da www.vesuvionews.it

martedì 18 marzo 2025

La scuola immaginaria

 


Vi insegnerò la morale e a recitar le preghiere E ad amar la patria e la bandiera Noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori E discendiamo dagli antichi romani

Che il governo italiano; che i governi italiani, non avessero il polso della situazione in materia di scuola era un dato di fatto, assodato e dimostrato non solo dall’evidenza che ad ogni cambio di esecutivo corrispondessero altrettante riforme che hanno poi prodotto solo sterile burocrazia, ma anche dalla realtà del nostro sistema scolastico rimasta ancorato ad una concezione pre-gentiliana della pedagogia e dove tutto lo scibile umano poteva e doveva essere interpretato attraverso gli studi umanistici. La recente enfasi data quindi allo sport, alla religione, al culto dell’italianità e ad una  sospetta “romanità” della cultura ci riporta ancora più indietro nel tempo, in maniera anacronistica, con ricordi nostalgici (si spera soltanto tali) del ventennio e delle sue aberrazioni.

Con buona pace delle classifiche OCSE-PISA, che ci vedono ancora molto in basso per le materie scientifico-matematiche e, udite udite, anche per la comprensione di un testo (vedasi analfabetismo funzionale), ci ritroviamo ancora oggi con un Valditara qualunque che ritorna a parlare di eurocentrismo e di radici giudaico-cristiane dell’occidente, e lo fa in un mondo che è ormai evoluto in altro, in un qualcosa di più complesso e nel quale, gli unici a non volerlo capire sono proprio loro, i politici, i loro giullari e i menestrelli di corte, quegli stessi cantori del liceo classico che però parlano di “mission”, “stake holders”, “made in Italy” e che non mettono più l’articolo davanti al nome delle aziende.

Le monocolture così come le monoculture, inaridiscono il terreno, lo rendono sterile anche in termini figurati così, in un paese ricco di cultura come il nostro non ci si può basare solo sulla cucina, i prodotti tipici e su di un’arte che è frutto dell’ingegno dei nostri predecessori e non nostro; non possiamo campare sempre e solo di rendita, dobbiamo imparare a produrre altro e per farlo dobbiamo incominciare a pensare in maniera diversa, universale. Altrimenti non saremo altro che l’ombra di noi stessi.

La Bibbia

Più realisti del re, questi politici da strapazzo rilanciano l’insegnamento della bibbia alla primaria, come se la materia della “Religione Cattolica” non esistesse già, in ogni ordine e grado della nostra scuola, e come se, in un paese, che sarebbe in teoria ancora cattolico, i bambini non facessero da sempre catechismo per la prima comunione, e mi fermo qui, perché sulla presunta laicità dello stato italiano si aprirebbero questioni infinite.

La storia

La storia, benché sia tra le discipline più bistrattate della scuola italiana, la si vorrebbe tutta basata sull’occidente! Ma perché, fino ad oggi cosa s’era fatto? Cosa sappiamo delle culture monumentali  millenarie dell’Indo e del bacino dei grandi fiumi in Cina? Per non parlare delle altre culture, quelle amerinde, quelle africane, etc? Ci si limita agli antichi egizi e ai sumeri, giusto perché sono arrivati ad affacciarsi sul Mediterraneo e su quello che definiamo ancora Medio Oriente con un termine tra l’alto più statunitense che nostrano. Come si pretende di avere una visione globale se ci si ostina a studiare solo il passato locale?

L’Iliade e l’Odissea

Anche in questo caso piove sul bagnato, ovvero si punta su un qualcosa che, almeno nella scuola media, la secondaria di primo grado, viene già insegnato da sempre. Va bene ciò che è classico ma va bene anche ciò che non lo è, o quanto meno ciò che non lo è presso la nostra cultura di base. È pur vero che le giovani generazioni ignorano molto del nostro passato (e non solo loro) ma è anche pur vero che esistono dei nuovi classici che sono totalmente ignorati dai programmi italiani. Quanto della letteratura italiana, che non sia Dante e Manzoni, viene perso in base alla cristallizzazione della visione unica? E quanto della letteratura mondiale ci perdiamo, o meglio, quante possibilità di allargare gli orizzonti precludiamo ai nostri giovani proiettati anche verso l’estero e le altre nazioni?

Il latino

E poi il solito latino che aiuterebbe a ragionare di più perché lo ha detto Gramsci! E sti cazzi! Gramsci, in quelle stesse lettere nelle quali parlava del latino come mezzo per ragionare, usava il superlativo asprissimo invece di quello più latinizzante di asperrimo, corretto comunque, ma indicativo di una lingua evoluta e che evolveva nonostante le sue di origini. Che sia ben chiaro, le nostre radici vanno sì conosciute e tutelate ma se gli inglesi e il tedeschi non studiano il goto nella scuola di base ci sarà una ragione, anche perché, Gramsci a parte, non sta scritto da nessuna parte che il latino e il greco insegni a ragionare meglio di ogni altra lingua o di ogni altra disciplina.

Quando incominceremo ad abbandonare questi dogmi, quando incominceremo a guardare avanti invece di guardare indietro e quando parlerà di scuola chi veramente l’ha fatta allora, forse, saremo un paese più moderno e al passo con i tempi.

#scuola #scuolaquestasconosciuta #nostalgicidelventennio #valditara #bibbia #iliade #odissea #storia

Per approfondire:

https://www.corriere.it/scuola/25_marzo_12/valditara-scuola-ac2b5a97-1b8a-4a23-8e77-0d6f4be14xlk.shtml?refresh_ce

https://www.ilmediano.com/la-presunta-supremazia-del-liceo-classico/?fbclid=IwY2xjawI_a9JleHRuA2FlbQIxMQABHcDRP9n4nnPxaMnzW90eWcTC23xVkT5dNfLK5k3NfJ6WgPp6wSdL1d0yOA_aem_dfBN3mN-4ioQBi0ZbC8IEA

Immagine fonte rete internet

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post.

Quando lo sciame scema

 


Quando arriva lo “sciame sismico”, quando la terra si fa sentire, tutti hanno giustamente paura, tutti ne parlano, tutti hanno una loro opinione a riguardo, tutti si rendono conto che la città di Napoli e i suoi dintorni sono assai vulnerabili, che la vita stessa, con tutte le sue sicurezze lo è diventata all’improvviso. Tutti scendono in piazza, per paura ma anche per protestare; anche se non si capisce poi contro chi, ma tutti ce l’hanno con qualcuno o qualcosa, forse tutti cercano qualcuno o qualcosa che sostituisca la propria cattiva coscienza non potendosela prendere con una natura che colpe non ne ha, e non gliele si può dare.

Ora, ora che la tensione va scemando per mancanza di promemoria sismici, ora nessuno ne parla più perché, passato il tremore, passa pure la paura, ora bisogna invece parlarne; ora bisogna evitare di tornare in quel torpore fatalistico e scaramantico che ci contraddistingue e, visto l’atteggiamento di molti altri italiani, al di là di ogni stereotipo, pare emblematico almeno per tutta la popolazione di uno Stivale, attanagliato, non solo da vulcani e terremoti, ma anche da un intrinseco dissesto idrogeologico e un’insana attitudine di andarsele a cercare le problematiche.

Che poi, la città di Napoli, con buona parte della sua provincia, rientri completamente all’interno delle due zonizzazioni vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei, pare ancora essere un mistero per molti, ma tanto buffo da far sì che i metropolitani, quasi con scherno, indichino ancora come folli i vesuviani, per vivere alle falde di un vulcano attivo, e negare quasi del tutto l’esistenza di una vulcanicità nella parte occidentale del capoluogo, costruendovi all’inverosimile, fin dentro i crateri di quei luoghi che nessuno ha mai voluto vedere come vulcani.


Pare purtroppo ben chiaro che nessuno dichiarerà mai un’allerta maggiore di quella gialla, anche quando se ne presenteranno le caratteristiche, la crisi bradisismica è ormai in atto da anni e già nell’autunno del 2023 si rifiutò di portare avanti il piano di emergenza allo stadio successivo, ovvero a quello arancione [1]. Il perché è presto detto, evacuare quasi 100.000 persone non è un gioco da ragazzi e comporta rischi che potrebbero essere maggiori della stessa eruzione. Quale politico si assumerebbe una tale responsabilità? Molto più facile promettere cospicui stanziamenti economici per opere che dureranno anni e che congestioneranno ancor più un contesto che non ne può più. Ed ecco che entrano in gioco gli scienziati ai quali viene consegnato il cerino acceso ma, purtroppo per loro (ma anche per noi), non hanno la sfera di cristallo per prevedere una possibile eruzione o l’andamento della sismicità del territorio. Tra l’altro, nello stesso mondo scientifico, esiste anche una disparità di vedute sulla stessa tempistica eruttiva e quindi cosa fare?

Bisogna innanzitutto non essere ambigui, bisogna innanzitutto essere consapevoli che si vive alle pendici, ma anche all’interno di un’area vulcanica, e non bisogna ricordarselo solo quando la terra trema, devi valutare anche la possibilità di andartene a vivere altrove, soprattutto se non riesci a convivere con questa realtà e per un fatto, se non civico, quanto meno razionale. Sì, mi rendo conto che sia più facile a dirlo che a farlo ma l’alternativa non c’è, perché di certo non sarà il piano di evacuazione, già definito da molti irresponsabili come deportazione (come del resto è stata definita anche l’ipotesi di decongestionamento di queste aree) a salvarci tutti. La politica quindi non deve prenderci in giro con i suoi presunti piani che, servono solo per calmare le masse e che già sa essere irrealizzabili, basti vedere cosa non si sta facendo in area vesuviana, ciò che è accaduto ad Ischia e altrove lungo la Penisola; il decongestionamento delle zone rosse vulcaniche, flegrea e vesuviana, per quanto anch’esso di difficile realizzazione, è l’unica soluzione valida davanti a una situazione degenerata da tempo e che continua ad esserlo sempre più.

Purtroppo, così come è accaduto con il COVID, così come accade con tutto quello che non riusciamo a spiegarci o che forse non vogliamo neanche spiegarcelo più di tanto, magari per scoprire molte nostre inadempienze, diventa un qualcosa di immaginifico. Le fumarole, quelle che prima si erano volute vedere come sfiati di discariche dismesse, ora diventano nuovamente l’alito di madre terra e tutti incominciano a sentire nell’aria il mefitico sentore del vulcano, divulgando la paura sulle lenoniche ali della rete. Ma poi, dopo qualche giorno, tutti penseranno ad altro, a come sbarcare il lunario, al Napoli calcio, e a tutta una sere di cose che copriranno o sostituiranno quella paura ancestrale e, quando qualcuno, in tempo di pace, organizzerà un convegno, cercherà di ragionare su qualcosa di diverso dalla paura o la sua negazione, questi ti volteranno le spalle e si toccheranno le parti basse per allontanare apotropaicamente ogni timore e ogni responsabilità, rimandando al futuro ogni decisione od ogni non decisione.

[1] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.inu.it/wp-content/uploads/sole-campi-flegrei-8-novembre-2023.pdf

Per approfondire:

https://www.facebook.com/cteodonno/posts/pfbid02o5F7gUHkQEGjFJ1EN1N3kCkTn6iJY4LnzcX75C2QNt3zNmChWx82VY9juds6nm7wl

https://www.vesuvionews.it/notizie/rischio-vesuvio-meglio-criminali-che-fessi/

sabato 8 marzo 2025

La negazione del vulcano

 


La negazione del vulcano.

Da vesuviano rimango interdetto davanti allo stupore e alle rimostranze dei puteolani per i disagi dovuti al bradisismo. Per carità, tutto il rispetto per i timori di quei cittadini ma, da persona che ci vive sotto a un vulcano, ho imparato a conviverci, rendendomi anche conto che forse, il pericolo maggiore per la mia esistenza, non è tanto la terra con i suoi sussulti ma l'assurda azione dei miei consimili sul territorio. Del resto il bradisismo, nei Campi Flegrei, non è una novità; negli ultimi decenni, di crisi, anche più gravi come quelle degli anni 70 e 80 del secolo scorso, ce ne sono state, perché quindi non si è corso ai ripari prima? Perché oggi si reagisce come se questo fosse un qualcosa di nuovo e inusitato? Forse prima c'era meno consapevolezza di oggi? Meno conoscenza scientifica e tecnica? Non saprei ma ho la forte impressione che, nonostante tutto, ci sia, da parte dei cittadini delle nostre terre arse e, per certi versi anche da parte anche delle autorità che ci governano, una sorta di negazione del vulcano, la negazione della sua stessa esistenza, questo almeno fin quando la terra non si fa sentire.

La fumarola 

Un esempio interessante di tale negazione potrebbe essere quello della fumarola di San Sebastiano al Vesuvio, chi ci arriva oggi, all'apice di via Panoramica Fellapane, e provasse ad allungare la mano tra i santini e i “pagellini messi là dalla pietas popolare, potrà sentire il calore di Madre Terra e, con le giuste condizioni meteo, la si potrà vedere anche "fumare"; trattasi infatti di vapore acqueo, acqua che penetra in profondità ed evapora al contatto con gli strati ignei che si trovano nelle viscere del complesso vulcanico Somma-Vesuvio.

Che quella di via Panoramica Fellapane sia una Fumarola, esistono attestazioni scientifiche, in primis quella del professor Giuseppe Luongo che me lo confermò in una mia intervista di tanti anni fa [1] e lo scrisse pure in una pubblicazione “Due giorni al Vesuvio” (Ed. Parco Nazionale del Vesuvio, 2025, pagg. 25-26). Anche il geochimico Stefano Caliro in una mia richiesta via e-mail mi rispose, in riferimento alla fumarola, asserendo che non trattavasi di evento scaturito da attività antropica. Perché dico questo, perché esiste un storia molto popolare in questa zona che vorrebbe quella fumarola essere in realtà uno "sfiato" della non molto lontana discarica dell'Ammendola e Formisano. Anche alcuni vulcanologi afferenti all'INGV sostengono questa tesi, in netta contrapposizione con i suddetti scienziati dell'ateneo federiciano. Sta di fatto però che la discarica è stata dismessa già nel 1991 e quindi, ammesso e non concesso, in 34 anni i biogas e gli altri miasmi dei terreni sarebbero più che esauriti mentre la fumarola esiste ancora.

L'impressione è quindi quella della negazione di un fenomeno vulcanico, come appunto quello della fumarola, tra l'altro presente in area vesuviana anche ad altitudini simili a quella di San Sebastiano (400 m.slm. c.ca) come a San Vito di Ercolano. Si ha dunque la forte impressione che si preferisca vedere più la discarica dismessa che il vulcano attivo, sì perché un vulcano, con la sua imprevedibilità, con le sue conseguenze per una possibile eruzione in un'area tra le più densamente popolare d'Europa, fa indubbiamente più paura. E allora, cosa si preferisce fare? Lo si annulla con tutti i suoi promemoria geologici e si continua a costruire come se non ci fosse un domani. Sì, esiste una parte del mondo scientifico che pare contemplare la tesi della discarica e la questione pare essere troppo di lana caprina per metterci una parola definitiva ma l'evidenza dei fatti e la persistenza di una voce contrapposta lascia quantomeno il beneficio del dubbio e il fatto stesso che una parte cospicua della società civile, quella più incline alla speculazione edilizia, sposi questa tesi, è oltremodo significativo.

Ad ogni modo il Vulcano e la discarica stanno sempre là, senza che nessuno abbia fatto qualcosa si serio per affrontare entrambe le problematiche.

“L’ospedale del male”

Un altro esempio di negazione del vulcano è quello dell'Ospedale del mare, costruito ai tempi in cui la sua struttura rientrava stranamente in zona gialla, erano tempi in cui la zonizzazione per il rischio vulcanico seguiva i confini amministrativi e non quelli geologici, con aberrazioni che vanno oltre i limiti della logica e della decenza, come ad esempio la città di Pompei, a 12 km dal cratere, in zona rossa e, l'Ospedale del mare ad 8 km e in zona gialla; oppure l’enclave gialla di Pomigliano D’Arco, circondata dalla zona rossa di Sant’Anastasia. Ovviamente oggi, tale ospedale persiste, come era immaginabile, in zona rossa, le cose sono cambiate, i limiti amministrativi sono stati sostituiti dalla linea Gurioli [2] e l'ospedale, ormai costruito, non lo si abbatte di certo perché sta in zona rossa e probabilmente ce n'era comunque bisogno. Una causa di forza maggiore quindi, che abbatte e seppellisce il buon senso e l'ipocrisia delle passate amministrazioni che, nel nome di quel nosocomio e nel suo stesso logo hanno completamente annullato l'immagine del Vesuvio, molto più presente e iconico di un mare che, se non distante, di certo da lì non lo si vede.

Il Vulcano buono

Un ultimo esempio che mi sovviene è un altro tipo di vulcano, il Vulcano buono di Renzo Piano, quello che accoglie l’omonimo centro commerciale nel nolano; ora mi va più che bene che si elevino luoghi generalmente anonimi come i centri commerciali a esempio di grande architettura ma perché chiamarlo buono, perché contrapporre le sue forme stilizzate a quelle naturali del Vesuvio che si vede in lontananza? E chi dovrebbe essere poi quello cattivo, il nostro Vulcano? Ecco, anche in questo caso c’è la negazione insita in quell’antitetico aggettivo, un buono che non può sussistere là dove esiste il triangolo della morte Acerra-Nola-Marigliano [3] perché vi hanno scaricato tonnellate di rifiuti pericolosi che devono scomparire dall’immaginario collettivo, grazie alla bontà illusoria di un insano consumismo.

Le parole non si mettono a caso perché le parole non hanno solo un significato ma anche una forza, un potere evocativo come quello delle immagini ma spesso, dietro di queste esiste un mondo che sta a noi scoprirlo, oppure restare a guardare.

[1] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.vesuvionews.it/notizie/wp-content/uploads/2018/12/ciro.pdf

[2] https://www.ilmediano.com/Il-bluff-della-zona-rossa/

[3] https://www.ilmediano.com/Rifiuti-tossici-a-Vulcano-Buono-presentata-interrogazione-parlamentare/#google_vignette