A volte ho l’impressione che anche sui morti si faccia
speculazione, pare ci siano i morti di serie A e morti di serie B.
Aggiungo che esistono anche lavoratori di serie A e quelli di
serie B. La notizia è quella della morte di una maestra in un incidente
stradale mentre era in gita con la scolaresca che le era stata assegnata.
Il cordoglio è unanime, certo, ma lo è per il fatto tragico in sé, per la
presenza dei bambini e per il ricordo che va ad eventi passati ben più gravi di
questo, come ad esempio a quello della galleria del Melarancio,
ma non al sacrificio di quell’insegnate in quanto tale. Nessuno, al netto dei
ringraziamenti a Forze dell’ordine e Vigili del fuoco, ha infatti giudicato
quella maestra come una vittima sul lavoro, lei non rientra nella retorica dei
sindacati, lei non rientra nella pietas di stato.
In effetti molti considerano il lavoro degli insegnanti come
un lavoro privilegiato ma lo è solo per la materia che trattiamo, e il
privilegio diventa subito responsabilità, e parliamo ovviamente dei bambini e
dei ragazzi che ci vengono affidati, responsabilità legata, non solo alla loro
crescita culturale e morale, ma anche alla loro incolumità psico-fisica.
Innanzitutto vorrei sottolineare che quei docenti che
accompagnano gli studenti in gita, come ancora la si chiama, ricoprono un
incarico assai oneroso nelle visite guidate, nei viaggi d’istruzione, nelle
trasferte Erasmus e quelle per i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e
l'Orientamento), lo fanno gratis! Il che significa che tali lavoratori sono
costretti, da una sorta di pressione sociale, a lavorare 24 ore su 24, a volte
anche per più giorni, se non settimane, senza percepire straordinari e a volte
rimettendoci anche i propri soldi e con una responsabilità immane, anche perché,
oltre ai rischi comuni che un viaggio può avere, gli studenti più grandi vedono
la gita come una zona franca nella quale l’eccesso la fa da padrone. Ebbene,
nell’Italia delle commemorazioni e dei 3 morti al giorno sul lavoro, maestri e
professori non hanno spazio, perché luogo comune vuole che loro siano dei
privilegiati.
Lo sono perché sono quelli delle 18 ore settimanali, dei tre
mesi di vacanze all’anno, dei fannulloni e del doppio lavoro. Pare che questo
stereotipo, che potrebbe valere anche per altre categorie, valga anche per i
sindacati, i quali, soprattutto nel mondo della scuola, badano più a far
carriera, mirando alla dirigenza scolastica (che implica anche questa
esperienza nel proprio curriculum), che a tutelare i lavoratori del loro
comparto. In effetti non è che durante gli scioperi, gli insegnanti facciano
sentire la loro voce ma mi chiedo il perché, in un mondo tanto attento a tutto
e a tutti, si segua ancora il senso comune più che il buon senso e si dimentichi
una fascia importante di lavoratori italiani che, se non soggetti ad orari da
metalmeccanici hanno stipendi simili se non più bassi. Hanno sì la sosta lunga
durante la pausa estiva ma questa è soggetta ad una regolamentazione che varia
da regione a regione e da ordine e grado, nel senso che se i docenti della primaria
sono liberi da impegni da luglio, quelli delle superiori, tra esami, corsi ed
esami di recupero, lo sono, quanto meno, dal 19 luglio in poi, a seconda se gli
esami di recupero del debito formativo si facciano a luglio o a fine agosto.
Rispetto ai colleghi europei va inoltre sottolineato che,
sebbene qui si facciano pause estive più corte, almeno per gli studenti,
all’estero si fanno lunghi periodi di festività durante l’anno scolastico, come
la settimana bianca a febbraio e la Pentecoste a giugno, ovviamente con Natale
e Pasqua, per quel che concerne ad esempio la Francia. Inoltre l’ora scolastica,
che da noi è statutariamente di 60 minuti, altrove va dai 40 minuti ai 55 (con
una prevalenza di 45 minuti nella maggior parte dei paesi) [1] e se è la somma che fa il totale, i numeri non tornano se si
considerano più i luoghi comuni che la realtà dei fatti e se questi prevalgono
su di una categoria, prima o poi varranno anche per un’altra mentre i
lavoratori si azzanneranno gli uni con gli altri in un’assurda guerra tra
poveri.