“Se hai molto da dire sul passato hai poco da dire sul presente.”
Il 25 aprile ha acquisito negli ultimi decenni un valore
diverso, è passato ad essere, da stanca ricorrenza primaverile a momento
conflittuale. Tutto questo da quel 25 aprile del 1994 ovvero da quando, per la
prima volta la destra arrivò al potere in Italia.
Per molti, me compreso, la Resistenza ebbe allora un nuovo
valore ovvero quello di una sorta di resistenza contro quelle destre, lasciate
fino ad allora ai margini della vita democratica del Paese e che temevamo fossero
invece un rigurgito di quel fascismo che speravamo d’essercene liberati per
sempre. Purtroppo gli Anni di Piombo, col terrorismo di matrice neofascista, ma
anche con quello delle Brigate Rosse, ci avevano fatto ben capire che la nostra
pacificazione non era poi così scontata e che la democrazia doveva pagare
ancora un tributo molto alto per consolidarsi e che il nostro paese non aveva
fatto ancora i conti con il proprio passato, lasciando aperti molti spiragli a
quelle visioni totalitariste che allora, ma per certi versi ancora oggi,
influenzano e mettono in pericolo il nostro vivere democratico.
Quella nuova resistenza mi sembrava l’unica strada per
controbattere le destre, quelle che erano per me il male assoluto perché fin
troppo vicine a quel passato fascista che aleggia ancora oggi su di noi. Un
passato fin troppo paventato da una
sinistra che talvolta ha agito in maniera altrettanto fascistoide e spesso
convergendo in quella parabola che avvicina tutte le realtà dogmatiche in una
visione esclusivista del mondo. Non è quindi fascista chi lo è ma è fascista
soprattutto chi lo fa, ed è anche per questo che ho dovuto rivedere
radicalmente la mia visione politica del mondo.
Gli anni, la maturità, il vedere le cose senza i filtri
della passione e con la cartina tornasole dell’esperienza, mi hanno fatto
capire, benché le destre non fossero e non siano il mio ideale, che anche le
sinistre incominciavano a mostrare il loro vero volto ed oggi, con il loro
arcaico dogmatismo, una faziosità sconcertante e prese di posizione
imbarazzanti davanti ai nuovi conflitti che la cupidigia dell’uomo ci ripropone,
mostrano un anacronismo talvolta peggiore di quello dei conservatori,
strizzando spesso l’occhio al complottismo e a un populismo solo apparentemente
antitetico a quello della destra.
Ecco, questo rapido excursus degli ultimi trent’anni di
Repubblica, si sovrappone con la celebrazione dei primi ottant’anni dalla
Liberazione. Mi chiedo quindi se può l’immagine sbiadita della guerra
partigiana essere ancora compresa dalle nuove generazioni? Che senso ha
ricordare concetti che ormai travisano gli stessi epigoni della Resistenza? La
libertà è la mia risposta, libertà e ricordo di chi ha lottato per conquistarla
e donarcela, questo è il senso primario del 25 aprile, la libertà di pensarla
in maniera differente e la possibilità di manifestarlo pubblicamente, liberando
la democrazia da ogni altro vessillo che non sia quello della libertà e della
parità tra gli uomini e che non sia vincolata ad un’appartenenza politica, che
sia figlia della ragione e non del principio di appartenenza e questo è il valore
che deve essere difeso e celebrato oggi, domani e sempre.
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