mercoledì 30 aprile 2025

La fretta

 .. ovvero il ritenersi informati senza informarsi.

Oggi vanno tutti di fretta, anche se devono andare a prendersi un caffè; figurati se poi devono soffermarsi nel leggere un post che si dilunga oltre i limiti della loro attenzione. E dire che ci si lamenta dei ragazzi (e purtroppo non solo loro) che ormai comunicano solo con la sintesi di social come Tik-tok e Instagram, dove prevale l’immagine più che la parola o la lettera. Per carità, non pretendo neanche che le mie di esternazioni, come quelle di altri, valgano la pena di meritare la vostra attenzione e il vostro preziosissimo tempo ma per commentare, finanche per criticare, visto che di tempo per fare questo ne avete, bisognerebbe prima leggere, e spesso questo non lo si fa, e quando lo si fa, prevale l’ombra del pregiudizio o l’attenzione di un bradipo.

Oramai prevalgono due elementi tra chi usufruisce delle reti sociali, anche perché è palese che queste abbiamo ormai preso il sopravvento sulla televisione e a maggior ragione sulla stampa, in materia di informazione, e sono la difficoltà di mantenere l’attenzione e la presunzione di commentare ciò che non si è letto o che non si è capito, vedasi anche analfabetismo funzionale; e questo se si esclude la malafede di chi commenta con un radicato pregiudizio e che quindi non è minimamente intenzionato a leggere ed analizzare i testi altrui ma attaccarli a prescindere.

Ecco quindi il grande successo dell’IA, delle bufale e di tutta una serie di immagini, video e informazioni che toccano più le sensazioni dell’utente medio che il suo intelletto che, privo di sane letture (o privo a prescindere) e tronfio di convinzioni, rischia l’atrofizzazione e la soppressione del suo senso critico. La maggior parte di questi legge il titolo e guarda l’immagine del post e li giudica veri perché, nella maggior parte dei casi, li ritiene tali, non verifica la loro attendibilità, non va a fondo, ma se ne sente gratificato perché quasi sempre, quel messaggio lo plagia avvalorando le sue convinzioni pregresse e sostenendo, complice l’algoritmo, il suo pregiudizio.

Del resto questo atteggiamento è un segno dei tempi, è la dimostrazione che noi non siamo più utenti ma acquirenti, clienti che devono usufruire di un prodotto e che la preferenza per tale mercanzia non deve essere fidelizzata in maniera cronologica ma deve cambiare rapidamente, deve essere immediata, per acquistarne rapidamente altra subito dopo, e questo vale anche per le informazioni che ci vengono fornite, spesso non sono altro che ami per pescare le nostre preferenze. La contropartita, anche se gratuita, non è in realtà tale, è ripagata con i nostri dati personali che saranno venduti e riutilizzati da altri per bombardarci di pubblicità e, all’occorrenza, saremo anche arruffianati per dirigere, al momento opportuno, le nostre tendenze politiche, già abbondantemente precotte prima del fatidico momento elettorale.

Nessuna novità a riguardo, il concetto sopra espresso, è ormai noto, ma la fretta dei nostri atteggiamenti è ormai adducibile a quest’andamento generale dell’utenza media che, nella quale, ça va sans dire*, nessuno vi si riconosce mai.

*‘Afammoc’all’inglese!

Immagine creata con l'IA.

lunedì 28 aprile 2025

Ci vuole un fisco bestiale …

 … per metter in riga chi le tasse non vuol pagare!


Si fa presto a dire grandi evasori, si fa presto a puntare il dito contro chi ha un nome e un marchio noto, ma chi ha realmente il coraggio di fare nome e cognome del pizzaiolo sotto casa, quello che, oltre a evadere pure lui il fisco, sfrutta anche i suoi dipendenti? Pare che oggi, nonostante un’immersione totale nel capitalismo, usufruendo dei suoi benefici e spesso arricchendosi, in maniera legale o illegale, grazie ad esso, vada di moda criticarlo, un po’ come lavarsi la coscienza sapendo di aver peccato e additando al contempo qualcun altro come peccatore.

Esiste un luogo comune, molto radicato, che vorrebbe le grandi imprese anche come le più cattive, orbene, non è che io voglia difendere le multinazionali, né tanto meno un capitalismo foriero di benessere ma anche di tante sciagure, non è mia intenzione, e penso inoltre che di avvocati e commercialisti, i magnati ne abbiamo pure a centinaia, ma credo che, in linea di massima, anche in questo caso si punti al fenomeno globale per non voler esaminare un molto più sommerso e compromettente fenomeno locale. Una cosa molto simile accade conseguenzialmente anche con l’inquinamento, strettamente legato al lavoro sommerso che, oltre a danneggiare l’erario, inquina come, e talvolta complessivamente più, delle grandi industrie, per risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti e mettendo a repentaglio la salute pubblica e soprattutto quella dei propri dipendenti.

È ovvio che un grande marchio, usi tutti i mezzi a sua disposizione per pagare meno tasse ed ottenere maggiori profitti ma è anche vero che le attività dei grandi nomi del commercio e dell’industria nazionale e internazionale siano sotto gli occhi di tutti e pertanto stiano anche molto attenti nell’evadere il fisco illegalmente e al non rispettare i diritti minimi sindacali, perché loro, hanno sì stuoli di avvocati pronti a tutelarli ma soprattutto hanno un nome da difendere e un luogo comune contro.

Il pizzaiolo sotto casa invece, così come il salumiere, il meccanico, l’idraulico, l’elettricista, la ditta di lavori edili, per non parlare dei medici e degli altri professionisti, o dell’impiegato pubblico che fa il doppio lavoro a nero, fanno tutti di necessità virtù ed evadono tranquillamente, e non sempre per sopravvivere. Inoltre, molti di questi esercizi sottopagano, se non sfruttano, i propri dipendenti, spesso approfittando di un mercato del lavoro tendente al ribasso, soprattutto quando si tratta di determinati lavori come quelli agricoli, dove si rasenta la schiavitù allorquando il lavoratore è straniero e magari anche irregolare, in tal caso il ricatto, oltre che la necessità, è assicurato.

È la somma che fa il totale diceva qualcuno, e quindi, se dieci, venti, trenta, cinquanta ma pure cento grandi ditte evadono, queste non danneggeranno lo stato così come possono farlo milioni di piccoli e medi evasori. uindi un alibi quello dei grandi evasori, anche abbastanza sfruttato da un populismo trasversale a tutti i partiti politici, quello del puntare il dito verso di loro, è come sparare nel mucchio senza cogliere il centro e beccare solo il malcapitato di turno e senza scalfirlo più di tanto.

Mi piacerebbe allora mettere sullo stesso piano un impiegato di Amazon al primo contratto e un giovane garzone di una qualsiasi bottega italiana, oppure un dipendente di Carrefour e il cameriere di un ristorante, chi sarà il più sfruttato dei due? E dove preferirà lavorare nell’eventualità potesse scegliere? La retorica politica attacca tutto ciò che è potere, spesso perdendo d’occhio ciò che realmente potere è, e soprattutto ciò che è sostanziale e quindi più importante, ovvero abbattere lo sfruttamento dei lavoratori. Invece, secondo un andante, il piccolo evade e sfrutta per sopravvivere mentre il grande lo fa per aumentare i guadagni. Sarà anche così ma lo sfruttamento rimane sempre tale e per lo sfruttato non cambierà la situazione se a farlo sarà la FIAT o Ciruzziello a mare, anzi, ha più speranza di essere difeso dai sindacati nel primo caso che ne secondo.

Un altro diffuso luogo comune è poi quello del lavoro domenicale o quello festivo, ecco, anche qui in questo caso, credo che si confonda la sostanza con la forma. Certo, in un mondo idilliaco, magari più prossimo ad un nostro passato recente, la domenica i negozi erano chiusi, e si stava tutti in famiglia, un’immagine bella, nostalgica ma poco vicina alla nuova realtà socioeconomica in cui viviamo. Messa da parte ogni sovrastruttura ideologica, dobbiamo infatti renderci conto che abbiamo accettato, dal dopoguerra ad oggi, un’economia di mercato che, nella sua logica benché discutibile evoluzione, ci porta a fare i conti anche con la nostra coscienza, non che tutto vada accettato a prescindere, ma quando ci va bene il capitalismo perché ci conviene, non possiamo avversarlo a prescindere quando non ci piace. Se andiamo al bar la domenica o al ristorante nei giorni di festa potremmo accettare anche che i centri commerciali siano aperti. E questo è il punto focale della situazione, qual è il vero problema, il moloch del centro commerciale, o il lavoro festivo? Il problema è ideologico o pratico? Esistono tanti servizi che funzionano nei giorni festivi, certo, molti di essi essenziali per la vita sociale come la pubblica sicurezza o sanità, ma pur sempre di lavoro si tratta, e per questo opportunamente remunerati per il sacrificio del loro tempo libero; ed è qui che i nodi vengono al pettine, è più giusto che nei festivi non si lavori o che i diritti di questi lavoratori vengano rispettati? Ecco, è qui che si deve puntare l’attenzione da parte della società e dei vari portatori di interesse, sul rispetto dei diritti di chi lavora e che liberamente sceglie di lavorare nei giorni festivi e senza ripercussione alcuna sul salario e sull’orario lavorativo settimanale e non il dogma della festività.

Mi rendo conto che scrivere tutto ciò sia come andare contro corrente, nu parlà contra ‘a chiesa, come si suol dire dalle mie parti quando si fa un discorso apparentemente contro gli interessi del tuo gruppo di appartenenza ma, siccome io appartengo a tutti perché non appartengo a nessuno, me ne farò una ragione in virtù della mia libertà.

Per approfondire: https://www.vesuvionews.it/notizie/innocenti-evasioni-evasione-fiscale/

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post. Né tanto meno mi interessa se qualcuno lo reputa troppo lungo, nessuno vi obbliga a leggerlo tutto.

Immagine creata con l'IA

venerdì 25 aprile 2025

Il cattivista


Dice il mio fraterno amico Francesco Napolitano che se esiste il tanto bistrattato "buonismo" dovrebbe esistere anche un ipotetico "cattivismo"! Ora mi chiedo chi ammetterebbe di esserlo realmente? Chi ammetterebbe di essere cattivista? Tutti pronti a dire che c'è qualcuno che sbaglia nei confronti degli stranieri (e lo si fa quasi sempre nei confronti dei deboli e dei ritenuti tali) ma nessuno si definisce razzista o quanto meno nessuno ammette che egoisticamente non gliene frega niente di quei poveracci che anneghino nel Mediterraneo. Apprezzerei molto più un vero cattivista invece di ascoltare chi si schiera dietro parole vuote, almeno saprei chi mi trovo di fronte: un fascista!

https://www.facebook.com/cteodonno/posts/pfbid02S16XLyAtsgGwP5oouT56AEsAzmbgdqwwPDAYCbtmDQEzYCRim3XTp5C7ozz5maU6l

Io sono antifascista

 


Io sono antifascista e lo sono nella misura in cui i diritti di tutti sono anche i miei.

 Sono antifascista perché, come dicevano gli antichi, combatterò per la libertà di tutti, anche dei miei avversari e col rischio che sia loro che i miei compagni non capiscano o non vogliano capire questo gesto.

 Sono antifascista perché ho capito dall’esempio di chi mi ha preceduto lottando per la libertà, che non puoi schiacciare l’avversario ma devi condurlo a te, e non per convincerlo, ma per ascoltarlo poiché, il tuo, non è un pensiero assoluto. La violenza non fa altro che generare altra violenza.

 Sono antifascista perché non posso combattere chi mi avversa diventando come lui, e sono antifascista perché chi mi sta di fronte mi è uguale e questo a prescindere il colore della pelle, del partito o della religione.

 Sono antifascista perché non seguo una bandiera ma un principio di libertà ed autodeterminazione.

 Sono antifascista perché non grido per un’idea come per una squadra di calcio e a maggior ragione non ucciderò per essa e per nessun altro principio, ma urlerò di sicuro per ogni oppressione e ogni coercizione che mi troverò davanti.

 Sono antifascista, e scusate il pregiudizio, perché non seguo una moda ma un ideale e quest’ideale non cambia con l’età ma si accresce con essa.

 Sono antifascista perché ho buona memoria e ho letto molti libri, quali memorie altrui e non dogmi da diffondere e dietro cui schierarmi; ma non ho letto solo i testi che mi piacevano, e così ho fatto anche con i giornali e così ho fatto ancora ascoltando chi la pensava diversamente da me e senza l’obbligo, né morale e né personale, di convincerlo ma con quello categorico di capire.

 Sono antifascista per la memoria di cui sopra che mi è stata trasmessa da chi, dopo massacri e deportazioni, ha permesso a tutti di poter parlare ed esprimere con ogni mezzo lecito la sua opinione, anche chi lo ha massacrato e deportato.

 Sono antifascista perché non nascondo i miei dubbi dietro finte verità ma li affronto a mente aperta e senza il timore di sembrare debole e con la convinzione della sincerità. Perché la mia forza è anche nel dubbio.

 Sono antifascista perché ho capito che non sarà il colore del partito o della bandiera a rendermi tale ma la coerenza delle mie azioni.

 Sono antifascista perché lo ero da ragazzo quando gli altri seguivano acriticamente la Pantera, così come oggi inseguono un’altra chimera e al contempo le mie azioni di oggi conservano la stessa forza di ieri perché convinte e non indotte.

 Sono antifascista perché da adulto mi sento più rivoluzionario di quei giovani che non sognano oggi come non sognavano ieri e che temo non sogneranno nemmeno domani, quelli che non osano essere diversi dai loro padri ma che non sanno neanche apprendere dai loro errori.

 Sono antifascista perché non ho bisogno di dar fuoco ai cassonetti e lanciare sampietrini per sentirmi vivo ma di lottare per un’ideale costruttivo.

 Sono antifascista perché non conservo rancore, perché riesco ad affrontare la vita col sorriso sulle labbra e senza il bisogno di dare la colpa ad altri se la vita mi oppone resistenza, perché quella resistenza stessa è vita.

 Sono antifascista perché non ragiono con altri organi se non col cervello e non entro nei letti altrui, perché valuto le persone per le loro azioni e non per chi le accompagna nella vita o nel talamo.

 Sono antifascista perché nelle forze dell’ordine non le devo vedere per forza un nemico ma anche un alleato e non identificare il male in base all’ideologia ma in base al contesto. Soprattutto non lancio sassi per sentirmi più uomo ma affronto a testa alta la vita e quello che questa mi presenta, senza casco, senza passamontagna solo con il mio sguardo di uomo libero.

 Sono antifascista perché amo e non odio, sono antifascista perché credo nell’uomo,

 sono antifascista perché lo dico!

https://www.ilmediano.com/io-sono-antifascista/ 

 

Il mio 25 aprile

 


“Se hai molto da dire sul passato hai poco da dire sul presente.”

Il 25 aprile ha acquisito negli ultimi decenni un valore diverso, è passato ad essere, da stanca ricorrenza primaverile a momento conflittuale. Tutto questo da quel 25 aprile del 1994 ovvero da quando, per la prima volta la destra arrivò al potere in Italia.

Per molti, me compreso, la Resistenza ebbe allora un nuovo valore ovvero quello di una sorta di resistenza contro quelle destre, lasciate fino ad allora ai margini della vita democratica del Paese e che temevamo fossero invece un rigurgito di quel fascismo che speravamo d’essercene liberati per sempre. Purtroppo gli Anni di Piombo, col terrorismo di matrice neofascista, ma anche con quello delle Brigate Rosse, ci avevano fatto ben capire che la nostra pacificazione non era poi così scontata e che la democrazia doveva pagare ancora un tributo molto alto per consolidarsi e che il nostro paese non aveva fatto ancora i conti con il proprio passato, lasciando aperti molti spiragli a quelle visioni totalitariste che allora, ma per certi versi ancora oggi, influenzano e mettono in pericolo il nostro vivere democratico.

Quella nuova resistenza mi sembrava l’unica strada per controbattere le destre, quelle che erano per me il male assoluto perché fin troppo vicine a quel passato fascista che aleggia ancora oggi su di noi. Un passato  fin troppo paventato da una sinistra che talvolta ha agito in maniera altrettanto fascistoide e spesso convergendo in quella parabola che avvicina tutte le realtà dogmatiche in una visione esclusivista del mondo. Non è quindi fascista chi lo è ma è fascista soprattutto chi lo fa, ed è anche per questo che ho dovuto rivedere radicalmente la mia visione politica del mondo.

Gli anni, la maturità, il vedere le cose senza i filtri della passione e con la cartina tornasole dell’esperienza, mi hanno fatto capire, benché le destre non fossero e non siano il mio ideale, che anche le sinistre incominciavano a mostrare il loro vero volto ed oggi, con il loro arcaico dogmatismo, una faziosità sconcertante e prese di posizione imbarazzanti davanti ai nuovi conflitti che la cupidigia dell’uomo ci ripropone, mostrano un anacronismo talvolta peggiore di quello dei conservatori, strizzando spesso l’occhio al complottismo e a un populismo solo apparentemente antitetico a quello della destra.

Ecco, questo rapido excursus degli ultimi trent’anni di Repubblica, si sovrappone con la celebrazione dei primi ottant’anni dalla Liberazione. Mi chiedo quindi se può l’immagine sbiadita della guerra partigiana essere ancora compresa dalle nuove generazioni? Che senso ha ricordare concetti che ormai travisano gli stessi epigoni della Resistenza? La libertà è la mia risposta, libertà e ricordo di chi ha lottato per conquistarla e donarcela, questo è il senso primario del 25 aprile, la libertà di pensarla in maniera differente e la possibilità di manifestarlo pubblicamente, liberando la democrazia da ogni altro vessillo che non sia quello della libertà e della parità tra gli uomini e che non sia vincolata ad un’appartenenza politica, che sia figlia della ragione e non del principio di appartenenza e questo è il valore che deve essere difeso e celebrato oggi, domani e sempre.


venerdì 18 aprile 2025

Il pregiudizio più antico del mondo.

 


Parto dal presupposto che ogni nostra azione, ogni nostro impegno, per quanto elevato e finanche gradevole e soddisfacente, se questo implica una coercizione, che sia economica o morale, non può essere considerato un vero e proprio piacere ma un obbligo da adempiere o una necessità per sopravvivere.

È notizia di questi giorni che l’ISTAT abbia rivisto i codici ATECO (quelli che fanno riferimento alle ATtività ECOnomiche) includendo anche quello relativo alla prostituzione per permetterne una identificazione dal punto di vista fiscale. Orbene, so di affrontare un argomento vecchio quanto il mondo, mi rendo anche conto del campo minato su cui mi accingo a muovere ma non è mia abitudine nascondermi dietro il proverbiale dito e cercherò anche di superare il mio pudore a riguardo.

Si usa dire che ognuno di noi abbia un prezzo, forse è vero ma in virtù di chi non si è mai venduto e che spesso si è immolato per una causa, mi sembra doveroso affrontare il concetto della prostituzione dal punto di vista morale. Si faccia bene attenzione, morale non vuol dire moralismo, con la sua accezione negativa ma di quell’insieme di regole necessarie che ci permettono di vivere assieme con norme comunemente accettate da tutti e che spesso forgiano anche le nostre leggi.

È mia convinzione pertanto che una donna, come qualsiasi altra persona, nel momento in cui decida di vendere il proprio corpo per soddisfare le voglie altrui, non lo faccia per puro e reciproco godimento ma per la necessità di vivere o sopravvivere, contrattando economicamente ciò dovrebbe essere invece un qualcosa di naturale come respirare o mangiare, e che purtroppo non lo è. Ciò vuol dire che, contrariamente al luogo comune, che vorrebbe l’esistenza di donne che amino fare questo mestiere, creando spesso immagini distorte di donne assatanate in cerca del maschio di turno, la moneta non nobilita l’atto e frustra l’essere umano e lo relega negli strati più bassi della società. Ritengo inoltre che fare sesso oggi, in maniera sana, consapevole e consenziente, non è difficile come una volta e quindi chi volesse praticarlo liberamente seguendo la propria indole non dovrebbe avere tanti problemi nel farlo, salvo determinati casi di esclusione sociale ma, se c’è la transazione economica allora sì che le cose cambiano, perché in quel momento nasce un bisogno, se non una necessità economica o addirittura un’imposizione; non è più naturale istinto e ricerca del piacere ma la posizione prevaricante di chi paga la prestazione e di chi deve svolgerla se non addirittura subirla.

Ma l’ipocrisia di un mondo misogino ha fatto sì che questa imposizione sociale, spesso delegata a quelle donne che un tempo erano state sedotte e abbandonate dai propri compagni o vittime di violenza carnale, divenisse un ruolo sociale ben definito e mal stigmatizzato, altro che libertà sessuale da romanzo rosa o appannaggio di ricche e libere nobildonne, il sesso era, e troppo spesso lo è ancora, un’imposizione dell’uomo sulla donna e a tutti i livelli sociali, non un naturale fluire delle cose. Oggi la situazione non è però cambiata più di tanto e, benché si pensi ancora che molte lo facciano per piacere, e benché anche in questo caso si utilizzino ormai parole inglesi per diluire ciò che altro non è che prostituzione, c’è un prezzo da pagare ed è risaputo che l’amore non si paga, a meno che non si voglia considerare anche il piacere come una merce di scambio e il corpo delle donne, ancora una volta il suo vettore.

Oggi si parla ancora di riapertura delle case chiuse, stile Paesi Bassi, ma anche lì come qui, benché in quei luoghi si sia provato a dare un ordine a questa “professione”, senza spazzare la polvere sotto al tappeto come si fa da noi, non solo non si è riusciti a togliere dalle mani della delinquenza organizzata lo sfruttamento di queste povere donne, ma non si è riusciti neanche ad elevare la posizione di queste da oggetto sessuale a persona, tanto da esporle in vetrina a mo’ di merce da vendere. E, come al solito, si prende dall’estero solo ciò che conviene e spesso decontestualizzando le situazioni che andrebbero invece calate nelle realtà culturali locali.

Mi sono sempre chiesto perché i perbenisti lamentino la presenza per le strade di quelle povere ragazze italiane, slave o africane che siano. Credo che, oltre al tabù del sesso, ostacolo all’apparenza insormontabile ed ancora una costante nella nostra civiltà occidentale, ci sia anche la coscienza sporca del cliente incallito od occasionale, che non accetta la commistione tra il suo mondo e quello dell’amore mercenario e ben conscio della sporcizia dei suoi atti.

Ritornato quindi al prezzario al quale dovrebbe sottostare ognuno di noi e quindi l’essere disposti a prostituirsi in un modo come nell’altro al migliore offerente, questo è vero ma fino a un certo punto, nel momento in cui c’è, come ho scritto più su, chi non s’è mai piegato a questo assioma e nel momento in cui chi fa il suo lavoro lo fa perché riconosce in questo una funzione sociale. Quali sono questi mestieri? Tutti, se fatti bene, ma di sicuro non quei mestieri che ti rendono cosa, oggetto, mercanzia nel corpo così come nella mente e, concedetemelo, anche nell’anima.

#prostituzione #prostituzionefemminile #casechiuse #Istat #sfruttamentodellaprostituzione

Per approfondire

https://www.ilmediano.com/Escort-o-sex-worker-Questo-e.../

https://www.ilmediano.com/Lamore-molesto/#google_vignette

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post.

Immagini create con l'IA

martedì 15 aprile 2025

L’oppio dei popoli

 


Più volte all’anno le nostre città, le nostre autostrade, i nostri stadi diventano teatro di scontri tra tifoserie avversarie. Le immagini di devastazione delle infrastrutture, degli esercizi pubblici, del pubblico patrimonio e della proprietà privata sono uno sconfortante promemoria di ciò che il calcio produce da anni e spesso con conseguenze anche letali. Le stesse forze dell’ordine sono soverchiate, in numero e in forza, da queste orde animalesche che col calcio non avrebbero nulla a che vedere ma che in realtà sono una presenza ormai costante e fin troppo tollerata. Le stesse polizie, quelle che vengono difese ad oltranza quando in quelle piazze non ci sono gli ultras ma gli inermi e spesso sprovveduti studenti, ora prendono mazzate e cinghiate da energumeni che non lottano per la difesa un diritto costituzionale ma per una dipendenza indotta o un atto di prepotenza.

Ricordo, da ragazzo, quando accadeva qualcosa di grave allo stadio, le levate di scudi in favore di un mondo che aveva già da tempo mostrato il marcio che aveva dentro, e quando si asseriva, soprattutto per voce di una stampa asservita, che erano i soliti 4 cretini che andavano individuati e fermati nell’ambito di un contesto circoscritto e limitato nel tempo e nello spazio. Il minimizzare il fenomeno, ha invece fatto sì che ormai da decenni le nostre città siano in balia di orde di teppisti e veri e propri delinquenti. Inutile ricordare le cariche contro la polizia [1], gli assedi ai commissariati [2], i morti per accoltellamento, le percosse, la vicinanza delle tifoserie agli estremismi politici [3] e soprattutto alla delinquenza organizzata [4], vedasi le mafie; inutile, il fenomeno è stato da sempre, e lo è ancora, giustificato, in virtù di una sottintesa causa di forza maggiore.

La ragione è presto detta, il calcio non muove solo denaro, tanto denaro da essere una voce di rilievo nel nostro PIL [5] ma il calcio muove anche e soprattutto consenso. Il nostro populismo, di destra come di sinistra, coltiva il culto e il dogma del calcio. Non c’è politico italiano che non manifesti la sua passione calcistica o che osi mettere in dubbio l’eccessiva importanza data ad uno sport a discapito di tutti gli altri. Ecco perché, nonostante le tante parole al vento, non si è mai fatto nulla di serio per arginare la deriva del tifo calcistico, i tifosi sono funzionali alla macchina calcistica e a tutte le sue aberrazioni e nessuno, intellettuali inclusi, osano indicare il re nudo.

Il governo Meloni esordì, al suo insediamento, come primo atto politico della sua legislatura, con il “decreto rave party” [6], quasi come se la priorità assoluta di questo paese fossero quelle estemporanee feste campestri a suon di techno e pastiglie stupefacenti. Per carità, ogni eccesso, foriero di pericoli d’ogni genere, va contenuto e riportato negli argini della normalità e della legalità ma a questo punto, perché non è stato mai promulgato nessun decreto per arginare la violenza ormai quotidiana, legata al calcio?

Sembra chiaro che il “decreto rave” sia stato una strizzata d’occhio nei confronti di un perbenismo borghese e provincialotto e che spesso vota a destra, ma anche a sinistra, e quindi è stato come sparare sulla croce rossa nell’avversare un fenomeno, quello dei rave party, che sostanzialmente non piaceva a nessuno. Invece il calcio, in Italia, e non solo, è più importante della Madonna, è una sorta di religione e che coinvolge anche quest’ultima in una frenesia che va ogni altra logica, basti pensare l’abrogazione di ogni regola di decenza durante i festeggiamenti dello scudetto del Napoli Calcio [7], ma, ancor peggio, ciò che accadde a Torino qualche anno fa, con morti e feriti in una piazza senza regole e sicurezza [8].

Il mondo del calcio ha purtroppo una corsia privilegiata, ciò che viene criticato ad altri contesti, persino alla politica stessa che ne è spesso complice, viene giustificato al mondo del pallone. È notizia di questi giorni l’ennesimo scandalo delle scommesse [9], con implicazioni di calciatori, già coinvolti in altri scandali e inchieste e ciò nonostante li si giustifica ancora come ingenui ragazzotti ludopatici, fragili e annoiati e vittime di un sistema che, in un modo o nell’altro, alimentiamo anche noi e per questo non vogliamo sentircene complici ma semplici spettatori paganti e pertanto irresponsabili o sedicenti tali.

[1] https://roma.corriere.it/cronaca/diretta-live/25_aprile_13/derby-lazio-roma-diretta-stasera-risultati.shtml

[2] https://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/tifosi-morto/assalti-roma/assalti-roma.html

[3] https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_15/derby-lazio-roma-una-guerriglia-pianificata-un-arresto-per-gli-scontri-ultra-7807291a-2e0f-4563-94be-77126f8e6xlk.shtml

[4] https://www.corrieredellosport.it/news/calcio/serie-a/2025/02/02-138055726/ndrangheta_e_curve_a_report_i_casi_di_juve_inter_e_milan

[5] https://tg24.sky.it/economia/2024/08/08/calcio-impatto-pil-report-figc

[6] https://pagellapolitica.it/articoli/rave-ergastolo-primo-decreto-legge-governo-meloni

[7] https://www.ilmediano.com/la-festa-scudetto-fa-gia-danni-camion-trancia-festoni-bassi-e-tubi-dellacqua/

[8]https://www.lastampa.it/torino/2022/01/22/news/tragedia_di_piazza_san_carlo_10_anni_alla_banda_del_peperoncino_-2837905/

[9] https://www.agi.it/cronaca/news/2025-04-13/scommesse-calcio-due-talpe-in-questure-roma-e-torino-30898043/  

Per approfondire:

https://www.vesuvionews.it/notizie/palloni-gonfiati-calciatori-tifoseria-napoli/

https://www.ilmediano.com/un-calcio-al-pallone/

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post. Le tante note sono invece funzionali alla mia tranquillità per arginare (si spera) coloro che si ostinassero a negare la propria assuefazione al mondo del calcio.

Foto fonte web modificata dal sottoscritto

venerdì 4 aprile 2025

La scuola

 


L’ennesimo fatto di cronaca, l’ennesimo femminicidio e l’ennesimo appello alla scuola.

Sembra inverosimile che la scuola possa risolvere tutti i problemi della nostra società eppure pare proprio questo l’atteggiamento della politica e della società che vi si accoda. La scuola sembra esser diventata il capro espiatorio per la risoluzione di tutte le aberrazioni del mondo, la panacea per tutti i mali, come se tutto nascesse e morisse lì, tra i banchi di scuola. Certo, la cultura, l’analisi delle problematiche, la crescita intellettuale, civica e sociale dei giovani è lì che in buona parte si realizza ma ho la forte impressione che questa stia diventando una sorta di scialuppa di salvataggio nella quale riversiamo tutte le nostre paure senza depositarvi mai le nostre di responsabilità.

La scuola italiana da anni fa didattica ambientale, da anni cerca di avviare gli studenti verso il mondo del lavoro, da anni affronta le tematiche del bullismo e del cyberbullismo, da anni fa educazione sentimentale e di conseguenza prova a portare avanti anche discorsi relativi alla sessualità, scontrandosi col suo tabù e lottando contro l’immane fraintendimento che la società stessa manifesta attraverso tutti gli strumenti di comunicazione di massa, internet inclusa.

Da sempre la scuola nel suo corpo docenti, e non solo, dialoga con i giovani e lo fa tra notevoli difficoltà, lo fa camminando su un campo minato, là dove, gestire famiglie sempre più esigenti ma poco inclini al dialogo, è diventato più che un’opportunità, un rischio; un contesto dove i giovani, sempre più restii al confronto e immersi in un mondo sempre più distaccato dalla realtà, parlano spesso una lingua diversa dalla nostra; e infine tartassati da una burocrazia schiacciante, opprimente, che vanifica ogni iniziativa legata al fine stesso della scuola, ovvero la didattica e neanche ad un sano e auspicabile buon senso che spesso risolverebbe molte delle problematiche più immediate. Di certo questo buon senso non è quantificabile, non è un regola scritta ed è basato sull’esperienza professionale del docente ed alla sua sensibilità umana, ma rendiamoci conto di cosa, o meglio, di chi stiamo parlando, rendiamoci conto che l’oggetto e il soggetto in questione è l’essere umano, un bambino che s’affaccia sul mondo o un giovane nella fase più critica della sua formazione, un adolescente, quindi, come poter applicare su di lui regole matematiche e ancor meno ridurre la sua esistenza a semplici restrizioni burocratiche?

Infine aggiungo che, le risoluzioni prese dall’alto, quelle del ministero, si riducono quasi sempre sovrapposizioni burocratiche ad altra burocrazia di per se già stratifica da precedenti provvedimenti, adempimenti da svolgere, documenti da redigere, tempi da rispettare, distogliendo i docenti dal loro reale lavoro, trasformandolo in uno sterile riempimento di carte, utile solo a giustificare l’azione governativa nei confronti del problema più scottante in quel momento, per dare solo l’impressione di aver fatto qualcosa e che quel qualcosa soddisfi chi non ha voglia di vedere, pensare ed agire.