martedì 18 marzo 2025

Quando lo sciame scema

 


Quando arriva lo “sciame sismico”, quando la terra si fa sentire, tutti hanno giustamente paura, tutti ne parlano, tutti hanno una loro opinione a riguardo, tutti si rendono conto che la città di Napoli e i suoi dintorni sono assai vulnerabili, che la vita stessa, con tutte le sue sicurezze lo è diventata all’improvviso. Tutti scendono in piazza, per paura ma anche per protestare; anche se non si capisce poi contro chi, ma tutti ce l’hanno con qualcuno o qualcosa, forse tutti cercano qualcuno o qualcosa che sostituisca la propria cattiva coscienza non potendosela prendere con una natura che colpe non ne ha, e non gliele si può dare.

Ora, ora che la tensione va scemando per mancanza di promemoria sismici, ora nessuno ne parla più perché, passato il tremore, passa pure la paura, ora bisogna invece parlarne; ora bisogna evitare di tornare in quel torpore fatalistico e scaramantico che ci contraddistingue e, visto l’atteggiamento di molti altri italiani, al di là di ogni stereotipo, pare emblematico almeno per tutta la popolazione di uno Stivale, attanagliato, non solo da vulcani e terremoti, ma anche da un intrinseco dissesto idrogeologico e un’insana attitudine di andarsele a cercare le problematiche.

Che poi, la città di Napoli, con buona parte della sua provincia, rientri completamente all’interno delle due zonizzazioni vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei, pare ancora essere un mistero per molti, ma tanto buffo da far sì che i metropolitani, quasi con scherno, indichino ancora come folli i vesuviani, per vivere alle falde di un vulcano attivo, e negare quasi del tutto l’esistenza di una vulcanicità nella parte occidentale del capoluogo, costruendovi all’inverosimile, fin dentro i crateri di quei luoghi che nessuno ha mai voluto vedere come vulcani.


Pare purtroppo ben chiaro che nessuno dichiarerà mai un’allerta maggiore di quella gialla, anche quando se ne presenteranno le caratteristiche, la crisi bradisismica è ormai in atto da anni e già nell’autunno del 2023 si rifiutò di portare avanti il piano di emergenza allo stadio successivo, ovvero a quello arancione [1]. Il perché è presto detto, evacuare quasi 100.000 persone non è un gioco da ragazzi e comporta rischi che potrebbero essere maggiori della stessa eruzione. Quale politico si assumerebbe una tale responsabilità? Molto più facile promettere cospicui stanziamenti economici per opere che dureranno anni e che congestioneranno ancor più un contesto che non ne può più. Ed ecco che entrano in gioco gli scienziati ai quali viene consegnato il cerino acceso ma, purtroppo per loro (ma anche per noi), non hanno la sfera di cristallo per prevedere una possibile eruzione o l’andamento della sismicità del territorio. Tra l’altro, nello stesso mondo scientifico, esiste anche una disparità di vedute sulla stessa tempistica eruttiva e quindi cosa fare?

Bisogna innanzitutto non essere ambigui, bisogna innanzitutto essere consapevoli che si vive alle pendici, ma anche all’interno di un’area vulcanica, e non bisogna ricordarselo solo quando la terra trema, devi valutare anche la possibilità di andartene a vivere altrove, soprattutto se non riesci a convivere con questa realtà e per un fatto, se non civico, quanto meno razionale. Sì, mi rendo conto che sia più facile a dirlo che a farlo ma l’alternativa non c’è, perché di certo non sarà il piano di evacuazione, già definito da molti irresponsabili come deportazione (come del resto è stata definita anche l’ipotesi di decongestionamento di queste aree) a salvarci tutti. La politica quindi non deve prenderci in giro con i suoi presunti piani che, servono solo per calmare le masse e che già sa essere irrealizzabili, basti vedere cosa non si sta facendo in area vesuviana, ciò che è accaduto ad Ischia e altrove lungo la Penisola; il decongestionamento delle zone rosse vulcaniche, flegrea e vesuviana, per quanto anch’esso di difficile realizzazione, è l’unica soluzione valida davanti a una situazione degenerata da tempo e che continua ad esserlo sempre più.

Purtroppo, così come è accaduto con il COVID, così come accade con tutto quello che non riusciamo a spiegarci o che forse non vogliamo neanche spiegarcelo più di tanto, magari per scoprire molte nostre inadempienze, diventa un qualcosa di immaginifico. Le fumarole, quelle che prima si erano volute vedere come sfiati di discariche dismesse, ora diventano nuovamente l’alito di madre terra e tutti incominciano a sentire nell’aria il mefitico sentore del vulcano, divulgando la paura sulle lenoniche ali della rete. Ma poi, dopo qualche giorno, tutti penseranno ad altro, a come sbarcare il lunario, al Napoli calcio, e a tutta una sere di cose che copriranno o sostituiranno quella paura ancestrale e, quando qualcuno, in tempo di pace, organizzerà un convegno, cercherà di ragionare su qualcosa di diverso dalla paura o la sua negazione, questi ti volteranno le spalle e si toccheranno le parti basse per allontanare apotropaicamente ogni timore e ogni responsabilità, rimandando al futuro ogni decisione od ogni non decisione.

[1] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.inu.it/wp-content/uploads/sole-campi-flegrei-8-novembre-2023.pdf

Per approfondire:

https://www.facebook.com/cteodonno/posts/pfbid02o5F7gUHkQEGjFJ1EN1N3kCkTn6iJY4LnzcX75C2QNt3zNmChWx82VY9juds6nm7wl

https://www.vesuvionews.it/notizie/rischio-vesuvio-meglio-criminali-che-fessi/

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