domenica 30 marzo 2025

Fatto in Italia II

 



in de col men seivuan

prisencolinensinainciusol ol rait” [*]

La locuzione “made in Italy” è di per sé un ossimoro poiché contraddice, con l’uso stesso dell’inglese, il principio di italianità che vorrebbe invece esprimere. Non mi soffermerò sull’uso spropositato e spesso inutile degli anglicismi usati nella nostra lingua ma, con questa espressione, non ne guadagna di certo il concetto di eccellenza italiana e neanche la stessa comunicazione poiché, se un nome è sinonimo di qualità, e magari anche di convenienza, può anche essere scritto in aramaico antico ma tu cercherai quel prodotto per le suddette caratteristiche e non per l’inglese. Ora, paradossi a parte, ma azzeccare qua e là vocaboli inglesi, spesso pronunciati male e fuori luogo, indica solo il nostro provincialismo e non la padronanza di quella lingua e neanche la qualità del nostro lavoro. Spesso irridiamo paesi come la Francia per l’uso istituzionale e apparentemente poco elastico della loro lingua ma in realtà questo lo fanno anche gli altri paesi e siamo invece noi fra quei pochi che prediligono l’uso dei barbarismi o la impoveriscono con roboanti parole ad effetto e che spesso non hanno nulla di funzionale se non l’estetica e una dialettica fuorviante. La manifattura italiana una volta era rinomata nel mondo e, a prescindere dall’inglese, si vendeva da sé. Non vorrei che oggi, in assenza di questa tradizione che sta purtroppo svanendo, si badasse più alla forma che alla sostanza poiché, se è pur vero che spesso è l’apparenza quella che conta, è sempre il contenuto quello che si vende, e le scatole vuote non le vuole nessuno, a meno che non si vogliano fare i famigerati pacchi.

#MadeInItaly #FattoInItalia

[*] https://www.newyorker.com/.../sasha.../stop-making-sense

Nessun vocabolo inglese è stato usato a sproposito nella stesura di questo post, né tanto meno ci si è dilungati oltremodo per non ledere l'altrui idiosincrasia verso la lettura.

Immagine fonte web

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