mercoledì 20 agosto 2025

Stato della SP 114


Campa cavallo che l’erba cresce …

… e poi brucia lungo la carreggiata che porta al Vesuvio.

La strada che porta al Vesuvio è una strada provinciale (la SP 114) fino al bivio di quota 800 m.slm. Poi da lì, fino all’ingresso del percorso turistico che porta al Cratere, a “Quota 1000”, è stata affidata in comodato d’uso al Comune di Ercolano, lo stesso che gestisce, attraverso una società, gli stalli per il parcheggio delle auto, delle moto e dei bus.

Da una settimana a questa parte, pare che l’incendio che ha interessato il versante sud-orientale del Vesuvio, si sia finalmente placato, anche se qua e là spuntano ancora pennacchi di fumo, dovuti a quei tronchi carbonizzati che lentamente si consumano e che possono essere ancora molto pericolosi. Da poco siamo usciti fuori da un incendio che poteva bissare quello del 2017, e che ha comunque mandato in fumo quasi 1000 ettari di bosco e macchia vesuviana, con un alto rischio di desertificazione di una parte di territorio che ha visto passare, in un relativamente breve intervallo di tempo, ben tre grossi incendi, quelli del 2016, del 2017 e quest’ultimo del 2025.

Eppure, grazie anche al fatto che il versante nord-occidentale del Vulcano non è stato fortunatamente toccato da quest’incendio, la vita, lungo la strada che porta al Vesuvio, è ricominciata come se nulla fosse accaduto, il traffico turistico è ripreso a tutta forza, navette, NCC, bus granturismo, moto, camper, auto continuano a salire lungo l’unico asse viario carrabile che conduce al Gran Cono del Vesuvio. Il che sembrerebbe un bene, vista l’alta stagione turistica, è cosa buona è giusta che l’economia si riprenda dopo una decina di giorni di sosta forzata a causa dell’incendio, ma sembra che l’accaduto non sia servito di monito per nessuno.

Infatti, nei due tratti di competenza della strada, che parte all’incirca da Via Vesuvio ad Ercolano (localita “La Siesta”) e arriva fino al piazzale di “Quota 1000”, nello stesso comune, i bordi della carreggiata sono invasi da vegetazione spontanea ed erba secca infiammabile che, a nostro modesto avviso, visto anche l’alto flusso automobilistico giornaliero, potrebbero creare una situazione assai pericolosa per la possibilità di innesco di incendio. Gli automezzi, con le loro marmitte catalitiche surriscaldate, ma anche l’inciviltà di chi fuma e lancia le cicche dai finestrini, moltiplicato per le migliaia di visitatori al giorno, potrebbero facilmente innescare incendi cagionevoli di nuove sciagure, proprio come accadde il 5 luglio 2017 in via Vesuvio quando l’incendio scoppiò in una cunetta sporca e arsa dalla siccità, e non si arrestò fin quando, esaurita la sua forza e il combustibile a disposizione, arrivò fin sui Cògnoli del Monte Somma.

Sarebbe corretto e opportuno che, così come giustamente si impone ai fondi privati, di pulire i propri terreni dall’erba secca per evitare l’innesco e la propagazione degli incendi, misura attuata in molti comuni vesuviani, anche gli enti che amministrano la strada del Vesuvio puliscano e mettano in sicurezza l’importante via di comunicazione. Soprattutto quando questa attraversa un Parco Nazionale e, in più punti, la riserva integrale del Tirone Alto Vesuvio.

La questione delle competenze sembra essere complessa, perché pare che non sia chiara la giurisdizione sulle fasce latistanti l'asfalto, ma pare anche chiaro che i due enti interessati siano appunto la Città Metropolitana e il Comune di Ercolano che, pur avendo quest’ultimo esternalizzato la gestione dei parcheggi, acquisisce comunque un notevole introito per tale servizio, che ammonterebbe tra i seicento e i settecentomila euro, se non di più, e che potrebbero essere utilizzati per una pulizia degna di una parco nazionale e, soprattutto, per evitare disastri come quello degli ultimi giorni e degli ultimi anni.



















 

sabato 2 agosto 2025

La dolosa colpa


… quella del non informarsi e puntare sempre il dito verso qualcuno o qualcosa e rimanere sempre e comunque inattivi davanti agli incendi.

Posto che la maggior parte degli incendi boschivi sono provocati dall’uomo andrebbe fatta una sostanziale chiarezza tra le varie tipologie di cause. Sì perché pare proprio che la parola incendio, più che un sostantivo, sia ormai divenuta una locuzione e che sia sempre considerato a prescindere un incendio doloso deviando di fatto l’attenzione là dove sarebbe più opportuno farlo.

L’incendio doloso, sia ben chiaro, è effettivamente la maggiore delle cause rilevate per gli incendi boschivi (il 49,9% secondo fonte ISPRA nella sua relazione 2024). Sempre L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) individua 5 tipologie di cause di incendio: naturale; involontaria, volontaria; dubbia e non classificata, i Carabinieri Forestali invece, classificano le cause nel seguente modo: naturali; accidentali; colpose e dolose. Contrariamente però a quanto si trasferisce attraverso i mezzi di comunicazione, un po’ come accade anche con l’uso errato della parola piromane, usata invece di quella di incendiario, esiste anche una buona parte di incendi di natura colposa o involontaria, il 18,2% che, accompagnato da un 28,1% di cause non classificate; un 2,9% di cause dubbie e uno 0,9% di cause naturali ci troviamo davanti a un 50,1% che, molto probabilmente, non risulterà essere dolo (sempre dati ISPRA 2024). Incendi quindi provocati più dall’imperizia o l’ignoranza che dalla ricerca del profitto o da fantasmagorici complotti che spesso tendono a nascondere colpe condivise se non complicità da ricercare altrove.

La colpa

Generalmente la stagione di maggior rischio per gli incendi è quella estiva, anche se non mancano dalle nostre parti incendi autunnali o addirittura invernali, il periodo di maggiore attenzione va, in linea di massima, dal 15 giugno al 15 settembre, con possibilità di prolungarlo ad ottobre come accadde lo scorso anno. Ciò nonostante, in molti, a prescindere dall’area protetta o meno, conservano alcune insane abitudini, talvolta tollerate anche dalle autorità, ma che mettono a serio repentaglio la sicurezza pubblica e i preziosi ecosistemi qualora si trattasse di zone rilevanti dal punto di vista naturalistico. Esistono infatti alcune pratiche, come ad esempio quella di dar fuoco ai terreni agricoli per rivitalizzarli precocemente, oppure l’incendio delle aree incolte per favorire la crescita degli asparagi selvatici che, in taluni periodi dell’anno, e con talune condizioni meteo favorevoli al fuoco, spesso cagionano incendi indomabili e dalle conseguenze imprevedibili.

Un’altra pratica molto in voga nel Napoletano è quella del cuocere le conserve di pomodoro al fuoco della legna, molti lo fanno per fortuna nei cortili, là dove questi esistono ancora, nelle famose curtine, ma molti altri, continuano a farlo in campagna, così come accade quando va “scippata a pummarulara” ovvero quando, tra agosto e settembre, si ripulisce il campo coltivato a pomodori e se ne bruciano le sterpaglie con i conseguenti disastrosi incendi, rafforzati anche dall’esistenza di numerosi campi incolti che per ragioni di microfondo, di mancata osservanza delle direttive delle amministrazioni locali e della non individuazione dei proprietari, costituiscono dei veri e propri serbatoi di combustibile.

Infine c’è la pratica della furnacella, della gita estiva fuori porta con brace annessa, in montagna, al fresco dei boschi ma spesso, questa bella attività cagiona danni irreparabili per la cattiva gestione del fuoco, del suo abbandono e, consentitemelo anche dello scarso controllo di queste aree adibite al pic-nic.

Il dolo

Poi è vero, esiste il dolo ma per far sì che questo venga dimostrato mediante le indagini degli inquirenti, c’è bisogno di trovare in flagranza di reato l’incendiario, o, in caso di patologia conclamata, il piromane. Capire quindi se esistono motivazioni per quel gesto ma molto spesso, il dolo equivale, contrariamente a quanto si pensa, alla colpa di qualcun altro, poiché le azioni preventive da parte di chi di dovere sono spesso inesistenti, palliative se non addirittura dannose.

Il dolo prevede una mano criminale o, come abbiamo detto, quella di un piromane, le cui azioni non possono spesso essere previste o talvolta, non c’è la volontà di farlo, come per chi dà fuoco alle discariche abusive della Terra dei fuochi, ma l’incendio colposo invece, legato alle suddette usanze, può essere combattuto, oltre che con i divieti e le eventuali sanzioni, anche con un’opportuna opera di educazione ambientale, ma stavolta rivolta verso gli adulti e non i bambini, questi da tempo opportunamente edotti sugli argomenti di natura ambientale. Il problema non è la scuola ma al di fuori di questa dove non esiste né rispetto né educazione e, molto spesso, nuda e cruda prevaricazione, ecco perché la distinzione tra le due cause principali di incendio va opportunamente fatta, per individuarle e combatterle separatamente.

Poi esiste il complottismo dell’abusivismo edilizio, degli stagionali, dei Canadair e della tuttologia da social, tutte eventualità talvolta possibili ma non ricalcabili per tutti contesti che, al netto delle leggende metropolitane dei cani e i gatti kamikaze, andrebbero basate nelle realtà specifiche e non generalizzate come verità assolute, stile bar dello sport. Nel caso del Napoletano e soprattutto del Parco Nazionale del Vesuvio, oggetto nel 2017, di un devastante incendio, l’edilizia era interdetta a prescindere, con o senza anagrafe delle aree incendiate comunali (obbligo spesso non ottemperato dalle stesse amministrazioni), gli operatori forestali sono tutti dipendenti delle partecipate statali, Armena, SMA Campania, SOGESID, etc e i Canadair, essi pure appartengono allo stato (Protezione Civile, Vigili del Fuoco e così via).

Spesso però, bisognerebbe chiedersi quanta responsabilità abbiamo anche noi a tal riguardo, come testimoni muti di un malcostume tutto nostrano dell’autoassoluzione e della ricerca spasmodica di un capro espiatorio.

Immagine creata con l'IA