domenica 6 febbraio 2011

Monte Orso

IL MIO MATESE
La mia esperienza matesina ha radici nella mia infanzia, quando si cercava ancora nella neve quel fascino esotico che s’intravvedeva solo in televisione. Molte famiglie napoletane, così come la mia, vedevano in quei luoghi, ancora integri e a portata di mano, un che di incontaminato ma non solo dal punto di vista naturalistico ma anche e soprattutto dal versante umano. Si ricevevano infatti doni che altrimenti e altrove si sarebbero interpretati diversamente, con diffidenza, con malizia.



Questo è stato invece il dono più bello che il Matese, il mio Matese, quello del versante Campano, m’ha dato, il valore dell’uomo, il rispetto, l’ascolto e se non l’amicizia, quell’innata simpatia che spinge queste genti montane ad aprirsi al prossimo, senza remora alcuna. Un sorriso e un saluto, come quello del caro Silverio, pastore delle Secine, che ti rimanda al prossimo incontro, dove magari chissà ci capiremo meglio e saremo più vicini.



Nel 1983, dopo anni di tocca e fuga, la mia famiglia decide di investire nel massiccio i suoi risparmi, per trovare un luogo alternativo alla caotica e frustrante vita cittadina. Acquistammo, come molti, un grezzo che ristrutturammo e che tutt’ora abitiamo quand’è possibile, cerchiamo di assorbire quelle sensazioni autentiche che solo questi luoghi possono darci e che sanno riscattarci da una dura settimana lavorativa.



Non sempre chi è venuto qui ha però meritato l’amicizia di chi ci vive e non sempre si è istaurata una gioviale convivenza, perché spesso si è giunti qui con la spocchia di chi la sa lunga e che credeva di trovare in questi luoghi degli incolti, pronti ad esser sfruttati o esser presi per i fondelli. Me lo ricordano le amare parole di Stolu, artista dalla faccia vissuta, dall’impenetrabile corteccia. Un uomo che nonostante le sue vicissitudini, a prescindere dalle delusioni che il prossimo gli ha lanciato, persevera a credere in chi gli sta davanti. Un po’ dappertutto, trovo le sue sculture, sul Matese come a Napoli, prese per pochi soldi o a “poi ti pagherò”, ma lui non riesce a esser differente da quello che in animo suo è, una persona tutto sommato buona che vuole comunicare e lo fa con la sua arte, spontanea e diretta come il Matese.



Il mio ricordo più bello ce l’ho di Aldo, che adesso non c’è più. Andato via veramente troppo presto e che nonostante tutto ha voluto lasciare un qualcosa che segnasse il suo passaggio in queste terre aspre, e che, come lui custodivano tesori inestimabili. A Letino c’è una piazza adibita a belvedere e a punto d’incontro, qui una lapide accoglie i visitatori e ricorda tutti coloro che con Aldo, fortissimamente la vollero.



Spesso prima di arrivare a casa mi fermo al bar per salutare Concetta, la mamma di Aldo, giunonica signora d’altri tempi che mi accoglie sempre col sorriso sulle labbra, un sorriso a volte amaro ma prezioso bene da centellinare a chi le ricorda il figlio. Al bar “Che Guevara”, dove prima m’incontravo con piacere con Aldo si discuteva di calcio e su una delle più acerrime rivalità degli anni passati, quella tra Napoli e del Milan di cui lui era gran tifoso, e si scommettevano gagliardetti e si scherzava, perché comunque, per noi, il calcio era solo un gioco. Una volta gli chiesi come mai cotanto nome al suo bar, lui mi rispose che un giorno passò di lì un anziano napoletano che gli raccontò la sua avventura sulla Sierra Maestra al seguito di Ernesto Guevara de la Serna. Ne trasse un’ispirazione che non dispiacque e nello spirito rivoluzionario non alieno tra quei monti, così lo battezzò. Ciao Aldo!



Un altro caro ricordo va a Carlo e Giulia coloro che mi introdussero in un’esperienza più consapevole della montagna, grazie a loro ho potuto interpretare la storia millenaria di quei luoghi e capire che il tutto, quell’insieme perfetto di ambiente umano e naturale, non poteva essere scisso e che assieme alla sua carica persistente, a tutt’oggi ne esaltava l’essenza. Giulia mi avvicinò a una natura che fino ad allora potevo solo ammirare ma senza riconoscere, Carlo ha fatto e seguita a fare di me un escursionista attento e consapevole. Poi vengono tutti gli altri compagni d’avventura, di sigari e bevute, compagni dell’avvenire.



Oggi, alquanto maturo, padre e marito da sopportare, insegnante soddisfatto e giornalista tanto in erba da essere imboscato, continuo a frequentare questi monti che sento sempre più miei, cerco di farlo in maniera responsabile, cercando di infondere in mio figlio la stessa passione che lì mi guida con costanza. Non è facile, le distrazioni di questo mondo sono tante e le sirene pure, ma io ci provo. Del resto non si sa mai, l’importante è seminare perché sul Matese si sa, i fiori quando crescono sono meravigliosi.






Le foto e i testi sono di Ciro Teodonno, nell'eventuale uso, si prega di menzionare l'autore.

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