venerdì 10 aprile 2009
Nomen Omen ovvero Fatto in Italia
Chi ha la pazienza di leggermi si sarà abituato (nonché rassegnato) ai miei crucci, sa che ho l’abitudine di pormi parecchie domande, alle quali, all’occorrenza, provo anche a dare qualche risposta, che talvolta, più che svelare arcani, saziano quell’innata, quanto necessaria virtù che è può esser l’amor proprio.
Questi conoscerà anche la mia avversione verso i luoghi comuni e quanto ritengo penalizzino la già martoriata evoluzione intellettuale del nostro paese.
Tra i tanti in circolazione vorrei soffermarmi su quelli legati all’uso delle lingue e in particolar modo quelle straniere. E se vero che la lingua è imprescindibile dalla cultura di un paese, qualcosa di quanto seguirà avrà un qualche fondamento.
L’Incredibile Hulk
L’imperante e onnipresente inglese ha ormai sostituito il francese come lingua franca per eccellenza, anche se di parole transalpine ne sopravvivono ancora molte e di uso comune come toilette, bidet e simili a dimostrazione della simpatia verso i nostri gallici cugini. Va notato quindi che l’amore per i barbarismi nella nostra lingua non è cosa recente. Se ben ricordo lo stesso Carducci lamentava barbariche ingerenze nella neonata lingua degli Italiani. Oggi dà certo più tono dire week-end invece di fine settimana, anzi sembra così naturale da meravigliarsi se qualcuno, italiano o straniero che sia ti fa notare l’inadeguatezza del termine. Talvolta poi, quando si ascolta uno dei tanti mediatori dell’informazione, sembra assistere ad una scena de Il Nome della rosa dove c’era quel monaco che parlava contemporaneamente più lingue. Misunderstanding per equivoco, trend per tendenza, stalking per molestia, devolution per delega e così via in una serie lunghissima di termini che hanno più che dell'esplicativo e del sintetico un forte alone di provicialismo e una criptica quanto dubbia tendenza al non volersi chiarire. In effetti sembra che l'uso della parola nuova, anglosassone (poiché l'inglese, più che la lingua più parlata è soprattutto quella vincente o che sembra tale, o meglio quella che ti fa sentir tale) olte appunto a conferire aura di contemporaneità (updated direbbe qualcuno) copre l'ovvietà e la scontatezza dei concetti. Molto spesso le nuove leggi, quelle proposte magari con un altisonante e roboante termine inglese non fanno altro che rielaborare, non sempre in positivo, leggi già esistenti, puntualmente disattese e non portate al rispetto da chi di dovere. Ma il nuovo termine sancisce l'ipotetico new deal (he he!) del governante di turno. Oggi ovviamente le lingue sono soltanto due l’inglese e l’italiano. Ad esser più precisi dovremmo dire l’inglese italiano e a seguire la nostra lingua, visto che, e mi si permetta la presunzione professionale, trattasi di una parlata non propriamente oxfordiana. Provate a sostenere che Nike e Levi’s si pronunciano [Naichi]* e [Livais]*, limitandomi a due famosi nomi. O che l’Incredibile Hulk scaturirebbe in un molto più anglosassone [Halk]*, vi trovereste davanti a certe facce, prima stranite, poi, subito dopo, rinvigorite dal tacito accordo degli sguardi e contorniati da odiosissime smorfie di sufficienza, ripartono all’attacco ristabilendo plebiscitariamente la vulgata mediatica. Comunque la corsa all’inglese sembra non solo la conditio sine qua non del successo, ma anche della sopravvivenza civica del cittadino italiano a cavallo dei due millenni. In verità altri paesi, come Francia e Spagna, molto più sciovinisti del nostro, rincorrono anch’essi l'albionico treno linguistico, ma nelle lingue dei due paesi, tra le più parlate al mondo, non si evidenziano così tanti tradimenti linguistici come nella nostra. Quanti di voi hanno rabbrividito al sentire euri rispetto ad un euro invariabile (purtroppo anche nel suo valore rispetto alla vita quotidiana), magari sorridendo sornioni di colui che l’ha pronunciato, ma quanti di voi hanno consultato l’Accademia della Crusca per sapere il perché dell’indeclinabilità di tale parola. I linguisti ben sanno che le parole s’impongono anche grazie alla simpatia che esse riscuotono tra i parlanti, e così è accaduto per la moneta continentale, e così s’è attenuta l’Accademia pur ammettendo la doppia possibilità, delegando alla selezione naturale il termine più consono all'italico gusto. Sta di fatto che negli altri paesi lo si troverà concordato nelle proprie lingue al plurale nonostante la BCE si fosse raccomandata, stranamente, di mantenerlo per quasi tutte le lingue, invariabile. E così noi abbiamo euro e il molto più chic cent, mentre altrove ci saranno euros, céntimos, centimes and so on!
Fatto in Italia
Mi sono più volte chiesto, ma come fa l’Ikea a vendere tutti i suoi prodotti dai nomi impronunciabili con gli altrettanto indecifrabili scontrini che ci si ritrova dopo la spesa. Eppure le sue vendite sono in ascesa e lo dimostrano i tanti punti vendita aperti lungo la Penisola. Allora quest’inglese serve o non serve? Perché i nostri industriali si arrovellano le cervella nel tradurre anche il pensiero in inglese, visto che basterebbe la qualità del prodotto o quantomeno l’innovazione di un idea, ben seguita magari da un buon prezzo, per imporsi sul mercato.
Non credo d’aver mai visto un prodotto italiano, ammesso che ne esistano ancora tali e meritevoli di un simile appellativo, che non riportasse le famigerate tre parole MADE IN ITALY. Eppure se il prodotto fosse realmente ambito sarebbe riconoscibile comunque e ovunque a prescindere dalla dicitura, sarebbe la sua qualità le sue finiture a pubblicizzarne doti e caratteristiche. Mi si potrebbe obiettare che la concorrenza cinese e dei falsari in generale, scalfirebbe il mito del prodotto italiano e quindi opportuno correre ai ripari con diciture magari dal carattere internazionale che ne garantisca la qualità, però mi chiedo se non sia la qualità stessa a definirne i connotati commerciali, e in sua assenza quale possa essere la reale differenza tra un prodotto contraffatto e uno originale. A Prato ci sono ditte di cinesi che fabbricano prodotti propri in Italia, in Cina ci sono ditte italiane che producono prodotti italiani con manifattura cinese, chi sarà in questo caso il più meritevole dell’appellativo dell’italica genuinità, ammesso che ne esista una? O il tutto non è altro che una leggenda metropolitana di lunga data stratificatasi nella nostra cultura come in quella di quel nostro cugino o quel nostro amico che se n’è fatto il proverbiale latore, accompagnando un autostoppista morto e indossando la maglietta con la cintura di sicurezza stampata a Napoli?
Newtown
Nonostante i recenti e tragici fatti d’Abruzzo siano ancora all’ordine del giorno non mi distolgo dal notare quello che altrimenti definiremmo il latinorum del presidente. L’angliorum oserei dire, e mi si conceda la licenza poetica, visto il carattere enfatico e volutamente criptico che le sue parole sottengono. Definire Newtown, la nuova Aquila quando ancora si estraevano le vittime dalle macerie mi è sembrato oltre che di cattivo gusto anche piuttosto opportunistico. Credo che le indubbie qualità affaristiche del primo ministro, non possano fare a meno di subentrare anche in contesti dove almeno il tacere sarebbe stato se non degno opportuno. Voglio vantarmi di esser entrato nei pensieri dell’uomo di Arcore, credo che questi, aguzzando il suo acume affaristico, abbia visto, anche in questa tragica situazione, l’opportunità di sfruttare economicamente il sempiterno mattone, e come è dimostrato, qualsiasi cosa accada, lui deve esser sempre al centro dell’attenzione, qualsiasi cosa si faccia, lui, la farà meglio; sciacalli fai da te, siete avvertiti, la competizione sarà dura. Non che il moribondo centrosinistra abbia brillato in originalità rispolverando l’annosa questione delle abitazioni antisismiche, che anche stavolta, se c’erano son crollate lo stesso. Ma sfruttare ora la questione m’è sembrato leggermente un po’ meschino, come accampare teorie sulla previsione di terremoti. La questione edilizia in Italia è, come accennato antica, e mi chiedo perché mai quando Soru ha tentato di regolarla nella sua (e nostra) Sardegna non ha ottenuto la fiducia dei suoi? Ma è ovvio che la sinistrorsa presunzione ha preteso enfatizzare l’aumento delle cubature piuttosto che le sue magagne interne. Costruire o ricostruire quindi cambia poco, da buon palazzinaro qual è stato, e che indirettamente sembra esserlo ancora, non ha perso l’occasione di edificare, ma stavolta non si tratterà certo di un aumento di cubature, o di qualche termovalorizzatore da appaltare a parenti e amici. Stavolta costruiamo una città tutta nuova, Eagle New Town, neh! Che te ne pare Silvio!
RAI, FIAT, MEDIASET
E gli articoli? Vabbé che già i telecronisti sportivi c’avevano abituato al prende palla e ruba palla all’avversario, e si che loro devono parlare in fretta, ma sti menager perché ce la fanno (la palla!) co’ st’atteggiamento?
Il Napoletano lingua*2
Gli amministratori regionali non avendo di meglio da fare (e certo che di questioni importanti ce n’erano!) hanno sancito il Napoletano quale lingua. Non ci è dato sapere di quale popolo, né secondo quale regola linguistica o pragmatica ciò sia avvenuto, ma sta di fatto che si son posti il problema e lo hanno anche risolto (cosa ancor più strana!). Si sa che è molto più facile farlo quando di base c’era già uno stratificato luogo comune e del resto per ingraziarsi il popolo si fa questo ed altro, soprattutto quando non costa nulla e si è sotto elezioni. Ma visto che purtroppo le lingue una volta erano imposte dagli eserciti e oggi lo sono dall’economia, non si trova nessun riscontro oggettivo nella lingua napoletana, che in verità non veniva usata granché neanche sotto i Borbone così nell’ufficialità come nella comunicazione. Non che il nostro fu-dialetto non avesse dignità e possibilità d'esser lingua, del resto è esistita anche una cospicua letteratura che poteva porre le basi a una lingua sacrosanta e florida, ma sta di fatto che mai lo è diventata, e di questo passo mai lo sarà, a meno che, non lo si voglia imporre come una sorta di artificiosa mummificazione. Se a Malta o a Valencia i rispettivi dialetti sono stati assunti a lingue, con tanto di doppia nomenclatura ufficiale, lo si è avuto per la sua esclusività per la prima (ufficialmente un dialetto semita)e per la forte economia in ascesa per la seconda (un dialetto del catalano), ma nulla di questo è purtroppo accaduto per il nostro amato napoletano. Ma insomma quando andate da un fruttivendolo che andrebbe opportunamente chiamato parulano, e chiederete na vranc 'e pastenac siete realmente convinti d’esser compresi?
*La trascrizione fonetica è “maccheronica” per voler esser il più comprensibile possibile.
*2 Per approfondire il discorso sulla lingua e il dialetto cliccate qui: http://www.federica.unina.it/sociologia/sociolinguistica/lingua-e-dialetti-in-campania/
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