lunedì 3 novembre 2025

L’incrocio napoletano


 Se c’è qualcosa che racchiude l’essenza di ciò che è Napoli e il suo entroterra è il modo di guidare in questi luoghi, il famigerato caos e l’anarchia delle strade partenopee è speculare alla visione del mondo all’ombra del Vesuvio. Certo, l’elasticità è una dote che ci contraddistingue e fa sì che, sin da bambini, impariamo a cavarcela in ogni situazione; ma Napoli non è il mondo, Napoli è fuori dal mondo! La contingenza napoletana, i famosi contrasti sono belli da raccontare ma non piacevoli da vivere.

Le nostre strade sono il riassunto di leggi non scritte che, agli occhi di chi viene da fuori, generano ilarità perché non la vivono quotidianamente ma per chiunque abbia un minimo di raziocinio o ne abbia conosciuto gli effetti secondari non trovano altra definizione che quella dell’illogicità e della follia.

L’esempio eclatante di questo stato delle cose è quello degli incroci, là dove quando un forestiero o un sognatore si fermano allo stop per dare la precedenza, chi ce l’ha, pur avendo la corsia di destra libera si pianta davanti allo stop, abituato, per un ormai statutario costume, nel tagliarlo contromano. Se lo sai, se conosci questo modus operandi, bene, te ne fai una ragione, se superi indenne questa situazione di stallo, meglio! Ma se accade qualcosa? Allora lì, l’eccezione napoletana cede il passo alla normalità delle leggi, quelle che prima non avevano né senso né applicazione.

Sentirsi anarchici, al di fuori delle norme, può anche farti sentire meglio, oltre che agevolarti, ma questo accade fin quando sei giovane, forte e fin quando non lasci Napoli e provincia dove hai le spalle coperte da un familismo che ti corre in aiuto con tutta una serie di agganci per ricondurre l’incidente alla normalità partenopea e senza per questo capire l’anomalia del fatto.

Napoli si regge su di un equilibrio imperfetto, una bolla spaziotemporale che si apre al di qua del Garigliano e si inabissa nel golfo come una sorta di buco nero che inghiotte tutto e tutti. Napoli è ineluttabile e questo non la rende né migliore né peggiore di tante altre città ma la rende eterna e sublime nella sua folle unicità.  

mercoledì 29 ottobre 2025

L’occupazione delle idee


Ogni anno di questi tempi c’è chi, a scuola, non ci vuole proprio andare e, vista la vicinanza di festività e ponti, quasi per tradizione, decide, per una ragione o per l’altra, di prolungare la pacchia fino Natale con l’occupazione.

Lungi da me privare gli studenti del loro diritto a manifestare le proprie idee ma, col rischio di sembrare un vecchio Solone, e magari anche con quello di esser scambiato per un destrorso, mi sono sempre chiesto il perché, queste occupazioni accadessero sempre a ridosso del ponte dei Morti o delle vacanze natalizie. La stessa domanda la feci a un giovinastro che, volando sulle ali della presunzione e sulle basi di una scuola fatiscente, inneggiava ad occupare gli edifici del nostro istituto per protestare contro i mali del mondo. Allora, sicuro della sua risposta, provocatoriamente gli chiesi: “vuoi occupare la scuola perché ci sono tanti problemi che non si affrontano? Va bene! Sono d’accordo, facciamolo assieme! Ma in primavera!” -  Inutile dirvi che il giovanotto mi guardò con aria inebetita e, guardandomi stralunato mi disse: “ma chistuccà che vo’!? Ad aprile accumenceno ‘e gite!”.

Educare è cosa assai complessa e, far capire ai giovani, il sottile confine tra il sacrosanto diritto di manifestare il proprio dissenso e l’illegalità, non è facile, e non lo è nella misura in cui neanche gli stessi adulti lo capiscono. Basterebbe vedere ciò che accade nelle manifestazioni di piazza, quelle che nascono pacifiche ed ecumeniche e terminano con le auto e i cassonetti incendiati, con feriti e arresti. Ma, ciò che è più grave, è che appunto gli adulti, anche quelli più radicali e che inneggiano alla legalità con la elle maiuscola, oramai, ritengono che l’occupazione sia un diritto acquisito, un rito di passaggio obbligatorio per ogni studente che si rispetti.

Da parte in causa, ma soprattutto da educatore, prima ancora di essere un insegnate, devo sottolineare ai miei studenti e ai loro genitori, e purtroppo anche a molti miei colleghi, che l’occupazione è un atto illegale, l’occupazione è un reato!

La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che l’occupazione degli edifici scolastici è un reato, anche se pacifica e di breve durata, poiché ostacola gli studenti e il personale non partecipanti nello svolgimento delle loro attività e interrompe il servizio pubblico. La sentenza n. 7084/2016 ha di fatti confermato questa interpretazione.

L’art. 340 del Codice penale è la norma di riferimento che punisce chi interrompe o turba un servizio pubblico, prevedendo la reclusione fino a un anno, arrivando poi a due anni se la condotta avviene durante manifestazioni pubbliche e infine, da uno a cinque anni, per capi, promotori o organizzatori. Ma esiste anche l’art. 633, sempre del codice penale il quale sancisce che con "l’invasione arbitraria di immobile", la pena può arrivare fino a due anni di reclusione. Il tutto quando poi non si verificano anche atti vandalici verso gli edifici in questione.

Visti i presupposti, io ci andrei, di conseguenza, molto cauto nel giustificare atti del genere, soprattutto se ricopro cariche politiche o se lavoro nella scuola, ma ancor più se sono un genitore. Non solo si insegna ai giovani che la legalità esiste solo a parole, dando un esempio di forte ambiguità, ovvero la cosa peggiore che un adulto può trasmettere a un ragazzo, ma spesso, c’è pure chi usa gli studenti e le loro manifestazioni come arma politica verso una parte avversa.

Nella mia lunga esperienza, prima come studente universitario e poi come docente, ne ho viste di occupazioni, spesso con principi anche condivisibili ma poi, il risultato di queste, oltre alle devastazioni dei locali pubblici, è stato solo il marasma generale, un mettersi in mostra di molti giovani aspiranti politici, politicanti e sedicenti rivoluzionari che ho poi visto ben presto passare con il loro abbigliamento alternativo dell’epoca, con i loro capelli rasta e gli stracci di Resina, alla giacca e cravatta, il capello impomatato e la ventiquattro ore, sul versante opposto della loro barricata. È facile fare l’anarchico con la libertà altrui ma è invece molto più difficile e senz’altro più costruttivo, farlo entro i confini delle regole civiche, sociali e morali, dando esempi di coerenza e non di violenza. È questa la vera rivoluzione che andrebbe insegnata ai giovani, non quella ormai stereotipata dell’occupazione, ma la rivoluzione quotidiana dell’impegno civico.

Oggi, molte scuole, spesso in maniera efficace e costruttiva, sono riuscite ad arginare il problema delle occupazioni con “la settimana dello Studente” un momento in cui la famigerata autogestione, pur se condivisa con il personale scolastico, acquisisce connotati di collaborazione e di analisi delle varie problematiche presenti in ambito scolastico e nel tessuto sociale che circonda la comunità scolastica. Di certo, spesso, questa settimana, che quasi sempre precede le vacanze natalizie, risulta essere solo un male minore rispetto ai danni materiali, morali e sociali di un’occupazione, ma è pur sempre un momento di confronto tra le parti in causa. In tal caso ben venga il confronto ma che sia tale e non un generale, generico e deleterio facimmo ‘a muina!

All'ombra del Vesuvio


 

martedì 28 ottobre 2025

“Lo stato dell’arte”

 


L’eclatante furto al Louvre, ha sollevato critiche e derisione da parte dell’opinione pubblica italiana, forse ancor più se il fatto fosse accaduto nel nostro paese e non oltralpe. Questione di pagliuzza e di trave?

Quando accade qualcosa di increscioso in Francia, si verifica uno strano fenomeno, molto diffuso qui tra noi, un fenomeno culturalmente e politicamente trasversale. Il paese transalpino viene di fatti esposto al  pubblico ludibrio, dallo sfottò dell’uomo della strada alla velata, ma non più di tanto, critica del politico. Il perché questo accada è forse attribuibile a quel malcelato provincialismo che ci contraddistingue, quello che vorrebbe i francesi spocchiosi nei nostri confronti e questo ancor più quando le affinità tra i due paesi sono ancora più forti e viscerali rispetto ad altri ed altrettanto stereotipati paesi europei, come ad esempio Germania e Spagna. La realtà, quella che fa invece più male, è quella di un paese con uno stato sociale e una coscienza civica molto più forti dei nostri e pertanto, la voglia di livellare il nostro status a quello francese, coglie al volo le loro disavventure, senza muoverci di un solo passo dalle nostre disgrazie.

Ebbene, prima di alzare il dito verso chi, nel più grande museo del mondo per superficie, si è effettivamente fatto sfilare sotto al naso opere d’arte di un certo valore storico e materiale, dovremmo prima tenerci ben stretto il nostro di patrimonio. In effetti, da quando l’arte è diventata un bene prezioso, per prestigio e per valore intrinseco, il Belpaese è stato oggetto del saccheggio sistematico delle sue ricchezze, rendendolo di fatto il paese dove avvengono più furti d’arte al mondo.

Non faccio ovviamente riferimento ai luoghi comuni sulle razzie napoleoniche, opere in parte restituite, o di una Gioconda contesa più per ignoranza che per diritto (appartiene alla Francia legittimamente, essendo stata venduta al re Francesco I nel 1517 dallo stesso Leonardo), e questo ammesso che all’epoca esistesse un concetto di stato italiano per accampare eventuali diritti, ma al fatto che, dai tombaroli ai furti commissionati dalle mafie, dai suoi attentati, dai vandali ai disastri naturali e al loro progressivo abbandono, le nostre ricchezze artistiche e museali sono da sempre state oggetto degli interessi illeciti di qualcuno e, se per questo esiste anche un nucleo specifico dei carabinieri ci sarà ovviamente anche una ragione concreta a supporto delle mie parole.

A monito per ciò che accade al dì qua del confine, elencherò qualche caso notevole di furto d’opere d’arte nel nostro paese che ha, come unica scusante, l’effettiva estensione, su tutto il territorio nazionale, di un patrimonio da difendere in quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato il più esteso museo del mondo, ovvero l’Italia stessa.

Nel 1969 il dipinto "La Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi" di Caravaggio, realizzato agli inizi del Seicento, fu rubato dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Nonostante le ricerche, non è mai stato ritrovato né restituito. Non si conoscono gli autori del misfatto né tanto meno il destino del dipinto rubato, ma esistono molte ipotesi a riguardo. Una di queste è quella che la mafia lo abbia trafugato, usandolo come simbolo durante riunioni importanti o persino come merce di scambio nella trattativa tra Stato e mafia nel periodo dello stragismo. Altre teorie raccontano invece che il quadro sia stato danneggiato durante il furto e sia stato per questo distrutto, oppure che, nascosto in una casa di campagna, sia stato rovinato dai topi. Un giornalista affermò persino di essere stato vicino ad acquistarlo, ma l’affare saltò a causa del terremoto in Irpinia. Il furto, comunque, continua a suscitare grande interesse da decenni, alimentando libri, documentari e opere di narrativa.

Nel 1974, l'opera "Ecce Homo" di Antonello da Messina, conservata nel Museo Broletto di Novara, fu rubata insieme ad altre opere, in un furto avvenuto la notte tra il 23 e il 24 luglio, in un contesto senza una reale custodia e con un’assicurazione irrisoria per il valore dell’opera. L’opera non è stata più trovata.

Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1975 avvenne un clamoroso furto al Palazzo Ducale di Urbino, dove furono rubati tre capolavori rinascimentali: la Muta di Raffaello, la Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. Il Ministero per i Beni Culturali, appena istituito, si trovò subito costretto a lanciare un appello ai ladri affinché trattassero con cura le opere. Un dettaglio sull’uso di panni di velluto per proteggere i quadri portò al primo indizio: una ragazza segnalò ai Carabinieri che il suo fidanzato falegname aveva acquistato inusualmente molto velluto. Le indagini, estese fino in Svizzera, permisero di recuperare i tre capolavori e restituirli all’Italia e al patrimonio culturale mondiale.

Nel 1990 un altro caso eclatante fu quando furono rapinati gli ori dei fuggiaschi, assieme ad altri reperti antichi, nei depositi degli scavi di Ercolano. Una rapina in grande stile, dove, nottetempo, i custodi vennero immobilizzati sotto la minaccia delle armi e dove il muro della stanza blindata fu sfondato a colpi di piccone per entrarvi e prelevare i preziosi reperti. In seguito i monili e le statue furono recuperati e i primi (170 reperti) furono esposti in maniera completa in una grande mostra all’Antiquarium di Ercolano nel 2018. Tornando alla rapina, in quell’occasione furono sollevate molte rimostranze per la mancata illuminazione dei luoghi e l’assenza di un sistema di allarme.

Nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 2004 si verificò un importante furto alla Palazzina di caccia di Stupinigi, dove vennero rubati 35 mobili di grande valore, realizzati da celebri ebanisti. Il bottino, stimato in 20 milioni di euro, fu ritrovato in buone condizioni il 25 novembre 2005 in un campo a Villastellone. Nel giugno 2009, il Tribunale di Torino condannò in primo grado alcuni membri di una famiglia sinti di Villafranca Piemonte come responsabili del furto ma gli strascichi della vicenda giudiziaria si sono prolungati anche negli anni a seguire.

L’elenco delle vicissitudini del patrimonio artistico italiano è ancora lungo e lo chiudiamo qui con l’auspicio che si decida una volta per tutte a come difendere il nostro immenso tesoro, senza distrarci e senza bearci delle disgrazie altrui.

domenica 12 ottobre 2025


 

giovedì 25 settembre 2025

Gli orsi che volano

C’era da aspettarselo, dopo i gatti kamikaze, i cervi, i lupi e i cinghiali arrivano pure gli orsi immaginari.

Stavolta non è più il Vesuvio con “i cinghiali che sbranano le persone“ ma è sempre un altro splendido vulcano campano ed area protetta, quella di Roccamonfina, a portare alla ribalta la presenza di fantomatici animali selvatici.

e accade quindi che ieri, in località Torano, così come avverte in un post il sindaco Carlo Montefusco, appaia d’improvviso un orso. Stavolta però, il singolare incontro, sempre in base alle informazioni ormai divenute virali e diffuse dai social durante tutta la serata del 23, sono state inoltrate al primo cittadino proprio dai Carabinieri del nucleo Forestale di Roccamonfina. Questi ultimi, contattati dal sottoscritto nella mattinata di oggi, confermano la ricezione della segnalazione da parte di una persona che sostiene di aver visto un orso, ma non confermano la veridicità di tale incontro, non essendoci al momento foto che ritraggono l’animale, né tanto meno altre testimonianze dirette o attendibili che riscontrino la presenza dell’animale nei suddetti luoghi.

Innanzitutto, e nella speranza che, prima di allarmare la popolazione, si consulti finalmente uno zoologo o altri esperti del campo, è fondamentale specificare che non esistono corridoi naturali tra il pur lontano Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, dove è effettivamente presente l’orso marsicano, e il Parco Regionale di Roccamonfina. Invece, un luogo dal quale potrebbe, più verosimilmente, arrivare un ipotetico orso, è il neocostituito Parco Nazionale del Matese ma, così come ci informa il biologo ed ex presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Maurizio Fraissinet, sebbene sul versante molisano siano state avvistate tracce irregolari dell’animale, non ci sono attestazioni su quello campano, e non basta; Infatti, sempre come asserisce il naturalista, ammesso e non concesso che un orso possa essersi spostato dal Matese verso Roccamonfina, il plantigrado avrebbe dovuto attraversare l’A1, la ferrovia, la Casilina, l’Appia e una miriade di barriere antropiche che lo avrebbero messo in seria difficoltà se non addirittura procurarne la morte e, soprattutto, viste le sue dimensioni, lo avrebbero reso visibile molto prima del suo arrivo presso la città campana.

Un’altra ipotesi, forse più plausibile, potrebbe essere quella di un possibile abbandono da parte di un circo o di un delinquente che abusivamente lo custodiva, ma andrebbe fatto anche notare che un animale vissuto in cattività sarebbe molto più incline nell’avvicinarsi all’uomo e al suo ambiente ma, al momento, ciò pare non accadere, paventando così un caso molto simile a quello della famigerata pantera beneventana di qualche anno fa, quando tutti cercavano quell’animale che nessuno trovò mai e che forse, altro non era, che un grosso cane scuro, scuro e oscuro come quello avvistato a Roccamonfina.

Ciò che fa più pensare è che dai tempi del proverbiale lupo cattivo delle favole ad oggi, l’animale selvatico viene visto ancora come il catalizzatore delle nostre paure, lo spauracchio di molte problematiche legate al contesto agropecuario, il capro espiatorio per le nostre incoerenze e per le nostre inadempienze. Le reti sociali amplificano poi questo sentimento ancestrale, impedendo, talvolta in maniera subdola, la corretta comprensione di un mondo naturale sempre più contrastato dalla nostra presenza umana; è quindi molto più facile vedere gli orsi volare da un parco all’altro, così come si faceva una volta con gli asini che accettare pacificamente la loro esistenza.

 

Immagini create con l’IA

martedì 16 settembre 2025

Cinghiali, minolli e rostocchi e il mondo fatato della rete.

 

Già in passato ebbi una discussione con una consigliera di Massa di Somma, perché scrisse un post dove raccontava di aver fatto catturare un cinghiale per le strade del suo paese. Quando le feci notare che era un maiale nero, uno di quelle specie straniere, abbandonato da qualcuno, probabilmente perché importato illegalmente, si incazzò e mi portò, come prove attendibili e a conforto della sua tesi, i post presi in rete di privati o anonimi cittadini che asserivano che quello fosse un cinghiale e il fatto stesso che fosse nero ne era per lei la riprova.

Prima ancora ci fu l'immagine del facocero diffusa dalla Regione Campania, quella di un manifesto che paventava la peste suina, trasmessa appunto dai cinghiali e pedissequamente affissa sui muri di Sant'Anastasia là dove, a memoria d’uomo e a rigore di scienza, i cinghiali, né tanto meno i facoceri, non c’erano mai stati. Poi sono venuti gli influencer durante l'incendio del Vesuvio di quest’anno, sempre con i cinghiali, ma stavolta anche con i famosi (e inesistenti anch’essi) cervi vesuviani e la frittata è fatta!

Oggi, purtroppo, leggiamo dalla cronaca locale della tragica morte di un anziano ad Ottaviano, che sarebbe stato “sbranato da volpi, cinghiali o cani”. Nell’attesa degli esami autoptici e delle indagini degli inquirenti, non possiamo non notare l’ennesimo tirare in ballo a sproposito, e senza prova alcuna, dell’immagine terrorifica di animali tutto sommato innocui e, ancora una volta, ad essere sulla ribalta è il cinghiale, anche là dove non c’è.

Ormai dobbiamo rassegnarci, una bugia ripetuta cento volte diventa realtà, sul Vesuvio ci sono i cinghiali! Perché così hanno deciso i social! Ovviamente i prossimi a comparire saranno i lupi e gli orsi ma sono fiducioso anche dell'arrivo di minolli e rostocchi.

Immagine creata con l’IA