Sto facendo gli esami di stato, sì perché si chiamano ancora così; neanche il tempo di farci abituare a questa dizione che a breve si ritornerà alla statutaria e anacronistica maturità. Sono commissario esterno ed assisto alla lenta e incessante trafila della meglio gioventù di una cittadina della provincia di Napoli, quella che, con enfasi e passione espone il suo percorso culturale davanti alla nostra commissione. C’è chi lo fa bene, chi lo fa male e chi lo fa anche in maniera egregia, ma nessuno, al momento nessuno, e sono anni che lo aspetto, ha ancora mostrato quella scintilla negli occhi caratteristica della giovinezza e della sua indole ribelle, innovativa e rivoluzionaria.
L’esame di stato, ormai, non è altro che un rito di
passaggio, lo è come la prima sigaretta, il primo bacio, la patente e tante
altre cose ormai inflazionate e ormai fugaci come tanto altro in questo mondo
consumistico, e forse anche per questo gli argomenti trattati dai ragazzi sono
tradizionalmente scontati, scontati e spesso superficiali come il loro rapporto
con lo studio, con la conoscenza e con la loro crescita culturale e mi auguro
che almeno le emozioni si salvino da tutto questo inutile marasma.
La colpa è sicuramente nostra, nostra come insegnanti ma
anche come genitori e uomini di questo tempo; perché non sempre siamo stati
capaci di ricoprire il nostro ruolo di docenti, nelle nostre rispettive materie
di insegnamento, ma soprattutto perché siamo venuti meno al nostro ruolo di
educatori. Del resto, nel bene come nel male, loro ci offrono quello che gli
abbiamo dato, ma anche quello che noi vogliamo che loro ci dicano. Stiamo
diventando degli meschini burocrati che producono quintali di carte e che
registrano il nulla. Diffondiamo luoghi comuni, che promuovono altrettanto
mediocri studenti, tutte parti in causa di un quadro sconfortante e spesso
inconsapevoli delle proprie miserie.
Entro in questo liceo, una scuola modello, là dove tutto non
sembra appartenere ad un contesto meridionale (consentitemelo); la scuola è
tappezzata di opere inneggianti alla difesa dell’ambiente e a tutte quelle tematiche
affini al sociale e soprattutto alla condanna del femminicidio e alla
discriminazione di genere. Anche la classe dove si stanno svolgendo gli orali
ne è piena ma, sul lato opposto di questa, trovo un intero muro imbrattato da
figure falliche, graffiti degni della camera proibita del MAN e in netto
contrasto con ciò dovrebbe stimolare la contrapposta cartellonistica ufficiale.
I power point sulla questione ambientale esposti dagli
esaminandi scorrono inesorabili tra buoni propositi, bottiglie, bicchieri e
vassoi di plastica; tra la problematica delle microplastiche e i lustrini
diffusi ai quattro venti per festeggiare il diploma; tra un mare di
proponimenti e buone intenzioni che rimarranno all’interno di quell’aula e che
quasi mai ne usciranno fuori. Fuori c’è il mondo reale che comunque appiattisce
un po’ tutto e un po’ tutti e che ci plagia, illudendoci di essere al passo coi
tempi e di essere cittadini modello perché ci indigniamo per l’Amazzonia che
brucia e per lo scioglimento dei poli, ma per il quale non facciamo nulla,
soprattutto per quanto abbiamo attorno, ammesso e non concesso che si sappia
qualcosa a riguardo. Una recita nella quale siamo tutti attori, talvolta
inconsapevoli, ma sicuramente, a vario titolo, tutti protagonisti.