Alla ricerca del vero significato di queste feste, un significato che valga per tutti e che non sia relegato a un qualcosa di effimero, utile solo ad esorcizzare le nostre frustrazioni e a svuotare i nostri portafogli.
Quando ero piccolo mi incantavo davanti alle luci
dell’albero e giocavo con le statuine del presepe, per me questo era il Natale,
otre a tutto ciò che era la liturgia della festa più importante della
cristianità e che da bambini vivevo come la favola più bella. In verità, per
noi, l’acme delle feste giungeva quasi sempre il 5 gennaio, con l’attesa dei
doni della Befana, un’attesa che
incominciava anche giorni prima, subito dopo i fasti di Capodanno e culminava con mamma e papà che ti svegliavano la
mattina del sei gennaio per avvertirti che era passata la birbante vecchina e
ti aveva riempito di doni. Il ricordo dei miei genitori, forse più impazienti
di noi nel voler vedere la reazione dei propri figli davanti al giocattolo
tanto desiderato o alla sorpresa di uno inatteso, oggi è il ricordo più bello e
toccante di quell’evento.
Questa era dunque la festa, quella che cominciava con
l’attesa dell’avvento, con l’arrivo dei parenti da fuori, i giochi con i cugini
e l’ordinarietà di una ricorrenza straordinaria, un qualcosa di nuovo e di
antico, che si ripeteva ogni anno, fin quando la crescita non ti smaliziava e
ti immetteva, in maniera più o meno brusca, nel mondo degli adulti. Questo era
il Natale dei miei tempi, gli anni settanta, quelli della mia infanzia
spensierata, quella che ogni bambino dovrebbe avere. Da allora le cose sono
cambiate e, da adulto, ho incominciato a vedere il mondo con altri occhi,
cercando però di non perdere quella capacità di vedere la poesia nelle cose,
quella che ti rende la vita meno dura da accettare. Devo però constatare che i
miei coetanei non sembrano aver capito questo compromesso, pare che non
vogliano essere adulti, non più di tanto del minimo sindacale a loro concesso.
Noto infatti che in loro sia rimasto molto di quel bambino che, almeno io, ho
ormai da tempo accantonato, in serbo per altre emozioni e altre scoperte.
Quello che scorgo in loro, non è la ricerca di una spiritualità perduta, ma è
la voglia di un passato irripetibile e di un isolamento dalla realtà che ti fa
perdere d’occhio le cose essenziali del mondo e, in questo caso, della stessa
festa del Natale.
Senza soffermarmi sull’aspetto consumistico di questa
ricorrenza, tanto inflazionato da divenire esso stesso un stereotipo, oramai
analizzato in tutte le sue parti e, scontatamente accettato come i punti di PIL
che smuove, di queste feste mi interessa molto di più il loro aspetto
culturale, per non dire simbolico. Vivendo in un paese sedicente cattolico, il presepe, nel suo significato e
aspetto più popolare, ci mantiene ancora ancorati a una tradizione e a una pietas che sa ancora di cristianesimo ma
tutto il resto è un’orgia di colori, suoni e valori che poco hanno a che vedere
con le celebrazioni per la nascita di
Gesù. Si è ormai imposta un’iconografia con pochissimi riferimenti a Betlemme e alla mangiatoia ma richiama
a un mondo immaginario, fortemente intriso di simboli anglosassoni, talvolta
celtici, immagini imposte da decenni di
cinema a stelle e strisce, dove la figura del Bambinello passa in secondo
piano, relegata alle enclave delle
chiese o, nel migliore dei casi, nel calore di qualche casa tradizionalista.
Il culto non è solo quello, pur sempre ancestrale,
dell’albero ma soprattutto quello di un Babbo
Natale che canta canzoni inglesi, canzoni che parlano, così come gli
infiniti film natalizi, di relazioni amorose tra uomo e donna e non di amore
universale. Un Santa Claus quindi
mistificato e lontano anni luce da quel San
Nicola che vorrebbe rappresentare. Poi ci sono i tanti, troppi e finti schiaccianoci a mo’ di soldatini d’antan che popolano ogni dove e di ogni
dimensione, dal negozio sotto casa all’ambito domestico, senza che nessuno ne
capisca il significato, ammesso che ne abbiano uno reale; comprati perché fanno
tanto Natale, e perché se tutti ce l’hanno ci sarà pur sempre una ragione. Luci
poi, luci a tutta forza, come se non ci fosse un domani! Belle, senz’altro
belle, tanto da dimenticarsele accese, ma anche fulminate, lasciate fuori i
balconi per tutto l’anno, come per prolungare la festa e l’illusione che questa
si confonda con la vita che è, nella sua amara quotidianità e per l’umana
contingenza che ci affligge, tutt’altro che allegra, spensierata e luminosa.
In verità, queste feste, nella loro spasmodica ricerca del
nulla, sia da acquistare che da celebrare, sono tutt’altro che allegre e
spensierate, aumenta il traffico, la gente spende tutta la tredicesima e oltre nella ricerca di una felicità che forse è
altrove e che invece vorrebbe sintetizzare hic
et nunc in una sola lampa’e fuoco,
proprio come fa, e purtroppo non solo a Natale, con i fuochi d’artificio.
Il cristianesimo, si badi bene, perché parlo di altro, di un qualcosa che non è legato alla liturgia della chiesa cattolica, apostolica e romana, va a farsi comunque benedire, ma sicuramente anche a farsi friggere visto il tenore alimentare delle celebrazioni, in un contesto pieno di renne, babbi Natale ed annesse mamme Natale, in versione quasi sempre sexy, perché è chiaro, là dove tutto è in vendita, anche il corpo delle donne lo è a maggior ragione, come sempre accade qui da noi. E poi elfi, bastoncini di zucchero, quelli che nessun bambino mangerebbe mai, ammesso che li si trovino da qualche parte e che non siano di polistirolo. Ed ancora fiocchi di neve, ovunque, anche col cambiamento climatico, ma anche orsi polari, pinguini e slitte, tutto in un vortice che ti centrifuga in un contesto sempre più fine a se stesso e che ti fa talmente perdere il contatto con la realtà delle celebrazioni e molto spesso con quella della vita quotidiana da pensare che sia tutto normale e che questo sia l’autentico spirito natalizio.
Il Natale tutto
l’anno quindi, come la televisione 24 ore su 24, i negozi aperti sempre, e
la connessione infinita a una rete che ti illude e ti rincoglionisce sempre
più, bersagliandoti di informazioni, immagini e concetti che non sai neanche
più interpretare perché, così come accade con l’isteria natalizia, non hai
neanche il tempo, e forse neanche i mezzi, per farlo.
Eppure basterebbe poco per fermarsi un attimo, basterebbe
chiudere gli occhi e ricordare quello che eravamo da piccoli, ma temo che per i
millennials,
così come per quelli che verranno dopo, sarà alquanto difficile farlo, loro, la
spiritualità del Natale, non l’hanno mai conosciuta, perché probabilmente
neanche noi la conosciamo più per insegnargliela.
A questo punto confido nella Pasqua, quella delle processioni, quella delle tradizioni
meridionali, quella che, per fortuna, negli USA e a Hollywood non conoscono
ancora.
Immagini create con l'IA


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