L’eclatante furto al Louvre, ha sollevato critiche e derisione da parte dell’opinione pubblica italiana, forse ancor più se il fatto fosse accaduto nel nostro paese e non oltralpe. Questione di pagliuzza e di trave?
Quando accade qualcosa di increscioso in Francia, si
verifica uno strano fenomeno, molto diffuso qui tra noi, un fenomeno
culturalmente e politicamente trasversale. Il paese transalpino viene di fatti
esposto al pubblico ludibrio, dallo
sfottò dell’uomo della strada alla velata, ma non più di tanto, critica del
politico. Il perché questo accada è forse attribuibile a quel malcelato
provincialismo che ci contraddistingue, quello che vorrebbe i francesi
spocchiosi nei nostri confronti e questo ancor più quando le affinità tra i due
paesi sono ancora più forti e viscerali rispetto ad altri ed altrettanto
stereotipati paesi europei, come ad esempio Germania e Spagna. La realtà,
quella che fa invece più male, è quella di un paese con uno stato sociale e una
coscienza civica molto più forti dei nostri e pertanto, la voglia di livellare
il nostro status a quello francese, coglie al volo le loro disavventure, senza
muoverci di un solo passo dalle nostre disgrazie.
Ebbene, prima di alzare il dito verso chi, nel più grande
museo del mondo per superficie, si è effettivamente fatto sfilare sotto al naso
opere d’arte di un certo valore storico e materiale, dovremmo prima tenerci ben
stretto il nostro di patrimonio. In effetti, da quando l’arte è diventata un
bene prezioso, per prestigio e per valore intrinseco, il Belpaese è stato
oggetto del saccheggio sistematico delle sue ricchezze, rendendolo di fatto il paese dove avvengono più furti d’arte al
mondo.
Non faccio ovviamente riferimento ai luoghi comuni sulle razzie napoleoniche, opere in parte
restituite, o di una Gioconda
contesa più per ignoranza che per diritto (appartiene alla Francia
legittimamente, essendo stata venduta al re Francesco I nel 1517 dallo stesso
Leonardo), e questo ammesso che all’epoca esistesse un concetto di stato
italiano per accampare eventuali diritti, ma al fatto che, dai tombaroli ai furti commissionati dalle mafie, dai suoi attentati, dai
vandali ai disastri naturali e al loro progressivo abbandono, le nostre
ricchezze artistiche e museali sono da sempre state oggetto degli interessi illeciti
di qualcuno e, se per questo esiste anche un nucleo specifico dei carabinieri ci sarà ovviamente anche
una ragione concreta a supporto delle mie parole.
A monito per ciò che accade al dì qua del confine, elencherò qualche caso notevole di furto d’opere d’arte nel nostro paese che ha, come unica scusante, l’effettiva estensione, su tutto il territorio nazionale, di un patrimonio da difendere in quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato il più esteso museo del mondo, ovvero l’Italia stessa.
Nel 1969 il dipinto "La Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi" di
Caravaggio, realizzato agli inizi del Seicento, fu rubato dall’Oratorio di San
Lorenzo a Palermo. Nonostante le ricerche, non è mai stato ritrovato né
restituito. Non si conoscono gli autori del misfatto né tanto meno il destino
del dipinto rubato, ma esistono molte ipotesi a riguardo. Una di queste è
quella che la mafia lo abbia trafugato, usandolo come simbolo durante riunioni
importanti o persino come merce di scambio nella trattativa tra Stato e mafia
nel periodo dello stragismo. Altre teorie raccontano invece che il quadro sia
stato danneggiato durante il furto e sia stato per questo distrutto, oppure
che, nascosto in una casa di campagna, sia stato rovinato dai topi. Un
giornalista affermò persino di essere stato vicino ad acquistarlo, ma l’affare
saltò a causa del terremoto in Irpinia. Il furto, comunque, continua a
suscitare grande interesse da decenni, alimentando libri, documentari e opere
di narrativa.
Nel 1974, l'opera "Ecce
Homo" di Antonello da Messina, conservata nel Museo Broletto di Novara,
fu rubata insieme ad altre opere, in un furto avvenuto la notte tra il 23 e il
24 luglio, in un contesto senza una reale custodia e con un’assicurazione
irrisoria per il valore dell’opera. L’opera non è stata più trovata.
Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1975 avvenne un
clamoroso furto al Palazzo Ducale di Urbino, dove furono rubati tre capolavori
rinascimentali: la Muta di Raffaello, la
Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. Il Ministero
per i Beni Culturali, appena istituito, si trovò subito costretto a lanciare un
appello ai ladri affinché trattassero con cura le opere. Un dettaglio sull’uso
di panni di velluto per proteggere i quadri portò al primo indizio: una ragazza
segnalò ai Carabinieri che il suo fidanzato falegname aveva acquistato
inusualmente molto velluto. Le indagini, estese fino in Svizzera, permisero di
recuperare i tre capolavori e restituirli all’Italia e al patrimonio culturale
mondiale.
Nel 1990 un altro caso eclatante fu quando furono rapinati gli ori dei fuggiaschi, assieme ad
altri reperti antichi, nei depositi degli scavi di Ercolano. Una rapina in
grande stile, dove, nottetempo, i custodi vennero immobilizzati sotto la
minaccia delle armi e dove il muro della stanza blindata fu sfondato a colpi di
piccone per entrarvi e prelevare i preziosi reperti. In seguito i monili e le
statue furono recuperati e i primi (170 reperti) furono esposti in maniera
completa in una grande mostra all’Antiquarium di Ercolano nel 2018. Tornando
alla rapina, in quell’occasione furono sollevate molte rimostranze per la
mancata illuminazione dei luoghi e l’assenza di un sistema di allarme.
Nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 2004 si verificò un
importante furto alla Palazzina di caccia
di Stupinigi, dove vennero rubati 35 mobili di grande valore, realizzati da
celebri ebanisti. Il bottino, stimato in 20 milioni di euro, fu ritrovato in
buone condizioni il 25 novembre 2005 in un campo a Villastellone. Nel giugno
2009, il Tribunale di Torino condannò in primo grado alcuni membri di una
famiglia sinti di Villafranca Piemonte come responsabili del furto ma gli
strascichi della vicenda giudiziaria si sono prolungati anche negli anni a
seguire.
L’elenco delle vicissitudini del patrimonio artistico
italiano è ancora lungo e lo chiudiamo qui con l’auspicio che si decida una
volta per tutte a come difendere il nostro immenso tesoro, senza distrarci e
senza bearci delle disgrazie altrui.


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