Ogni anno di questi tempi c’è chi, a scuola, non ci vuole proprio andare e, vista la vicinanza di festività e ponti, quasi per tradizione, decide, per una ragione o per l’altra, di prolungare la pacchia fino Natale con l’occupazione.
Lungi da me privare gli studenti del loro diritto a
manifestare le proprie idee ma, col rischio di sembrare un vecchio Solone, e
magari anche con quello di esser scambiato per un destrorso, mi sono sempre
chiesto il perché, queste occupazioni accadessero sempre a ridosso del ponte
dei Morti o delle vacanze natalizie. La stessa domanda la feci a un giovinastro
che, volando sulle ali della presunzione e sulle basi di una scuola fatiscente,
inneggiava ad occupare gli edifici del nostro istituto per protestare contro i
mali del mondo. Allora, sicuro della sua risposta, provocatoriamente gli
chiesi: “vuoi occupare la scuola perché ci sono tanti problemi che non si
affrontano? Va bene! Sono d’accordo, facciamolo assieme! Ma in primavera!” - Inutile dirvi che il giovanotto mi guardò con
aria inebetita e, guardandomi stralunato mi disse: “ma chistuccà che vo’!? Ad aprile accumenceno ‘e gite!”.
Educare è cosa assai complessa e, far capire ai giovani, il
sottile confine tra il sacrosanto diritto
di manifestare il proprio dissenso e l’illegalità, non è facile, e non lo è
nella misura in cui neanche gli stessi adulti lo capiscono. Basterebbe vedere
ciò che accade nelle manifestazioni di piazza, quelle che nascono pacifiche ed
ecumeniche e terminano con le auto e i cassonetti incendiati, con feriti e
arresti. Ma, ciò che è più grave, è che appunto gli adulti, anche quelli più
radicali e che inneggiano alla legalità con la elle maiuscola, oramai, ritengono che l’occupazione sia un diritto
acquisito, un rito di passaggio obbligatorio per ogni studente che si
rispetti.
Da parte in causa, ma soprattutto da educatore, prima ancora
di essere un insegnate, devo sottolineare ai miei studenti e ai loro genitori,
e purtroppo anche a molti miei colleghi, che l’occupazione è un atto illegale, l’occupazione è un reato!
La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che l’occupazione
degli edifici scolastici è un reato, anche se pacifica e di breve durata,
poiché ostacola gli studenti e il personale non partecipanti nello svolgimento
delle loro attività e interrompe il servizio pubblico. La sentenza n. 7084/2016
ha di fatti confermato questa interpretazione.
L’art. 340 del Codice penale è la norma di riferimento che
punisce chi interrompe o turba un servizio pubblico, prevedendo la reclusione
fino a un anno, arrivando poi a due anni se la condotta avviene durante
manifestazioni pubbliche e infine, da uno a cinque anni, per capi, promotori o
organizzatori. Ma esiste anche l’art. 633, sempre del codice penale il quale sancisce
che con "l’invasione arbitraria di immobile", la pena può arrivare
fino a due anni di reclusione. Il tutto quando poi non si verificano anche atti
vandalici verso gli edifici in questione.
Visti i presupposti, io ci andrei, di conseguenza, molto
cauto nel giustificare atti del genere, soprattutto se ricopro cariche
politiche o se lavoro nella scuola, ma ancor più se sono un genitore. Non solo
si insegna ai giovani che la legalità esiste solo a parole, dando un esempio di
forte ambiguità, ovvero la cosa peggiore che un adulto può trasmettere a un
ragazzo, ma spesso, c’è pure chi usa gli studenti e le loro manifestazioni come
arma politica verso una parte avversa.
Nella mia lunga esperienza, prima come studente
universitario e poi come docente, ne ho viste di occupazioni, spesso con
principi anche condivisibili ma poi, il risultato di queste, oltre alle
devastazioni dei locali pubblici, è stato solo il marasma generale, un mettersi
in mostra di molti giovani aspiranti politici, politicanti e sedicenti
rivoluzionari che ho poi visto ben presto passare con il loro abbigliamento
alternativo dell’epoca, con i loro capelli rasta e gli stracci di Resina, alla
giacca e cravatta, il capello impomatato e la ventiquattro ore, sul versante
opposto della loro barricata. È facile fare l’anarchico con la
libertà altrui ma è invece molto più difficile e senz’altro più costruttivo,
farlo entro i confini delle regole civiche, sociali e morali, dando esempi di
coerenza e non di violenza. È questa la vera rivoluzione che
andrebbe insegnata ai giovani, non quella ormai stereotipata dell’occupazione, ma
la rivoluzione quotidiana dell’impegno
civico.
Oggi, molte scuole, spesso in maniera efficace e
costruttiva, sono riuscite ad arginare il problema delle occupazioni con “la settimana dello Studente” un
momento in cui la famigerata autogestione, pur se condivisa con il personale
scolastico, acquisisce connotati di collaborazione e di analisi delle varie
problematiche presenti in ambito scolastico e nel tessuto sociale che circonda
la comunità scolastica. Di certo, spesso, questa settimana, che quasi sempre
precede le vacanze natalizie, risulta essere solo un male minore rispetto ai
danni materiali, morali e sociali di un’occupazione, ma è pur sempre un momento
di confronto tra le parti in causa. In tal caso ben venga il confronto ma che
sia tale e non un generale, generico e deleterio facimmo ‘a muina!




