Leggo e sento molte persone lamentarsi
dell’attuale situazione del mio paese, reduce dal tragico evento legato
all’uccisione di un ragazzo che tentava di sedare una lite proprio fuori la
nostra casa comunale. Queste lamentele sono frutto, non solo degli ovvi timori
della popolazione ma scaturiscono anche dall’indignazione per l’offuscamento
dell’immagine del nostro paese, passato da ambita località residenziale a
semiperiferia del male, il tutto a furor di social
e amplificato da una stampa tendente più al sensazionalismo che
all’approfondimento. Tali rimostranze della popolazione ripiombano, ovviamente,
sull’attuale amministrazione.
Dal mio punto di vista, una
differenza tra il prima e il dopo, io, non la vedo, non vedo oggi come ieri un
cambiamento culturale nella classe politica di San Sebastiano al Vesuvio, ma
neanche tra la sua popolazione; del resto, buona parte di chi ci governa faceva
parte della precedente amministrazione e della precedente opposizione.
Ma, da attualmente ex cronista
del territorio, ricordo invece crisi precedenti, molto simili a questa, sia in
ambito di cronaca nera sia in ambito di sicurezza generale, si portino alla
mente i ben tre omicidi negli ultimi venti anni in zona Capriccio e i tanti
atti di violenza minorile accaduti nel corso degli anni. Ho visto lo
stracciarsi le vesti delle amministrazioni, l'intervento della chiesa,
l'improvviso e ipocrita afflusso si forze dell'ordine con una presenza più
simbolica che reale e che è sfumata, così come oggi sfumerà prontamente come
l'indignazione della popolazione.
Ricordo anche il modo irrisorio
come venivano trattati i miei articoli relativi all’abbandono di alcune aree
del paese adibite, ed ancora oggi adibite a rifugio per coppiette e il
progressivo allontanamento dalla legalità di quei luoghi, con illeciti
minimizzati, con reati sottaciuti e sfociati poi nell’irreparabile, così come è
accaduto proprio in piazza Raffaele Capasso, davanti all’edificio comunale,
quello che avrebbe dovuto essere il salotto buono del paese.
Oggi i social enfatizzano e
amplificano i messaggi, ma sono messaggi effimeri come quelli che inviavano e
leggevano in chiesa persone vicine al ragazzo ucciso, durante gli interventi
commemorativi di queste ultime settimane, effimeri come tutto, parole al vento,
per sentirsi parte, nel migliore dei casi, di un’emozione generale o funzionali,
da una parte come dall'altra della politica locale, per imporre la propria
ragione. Purtroppo i morti, gli unici che potrebbero con diritto dire qualcosa,
non potranno farlo per dare un ordine, almeno morale a questa storia.
A San Sebastiano al Vesuvio ci
sono ben quattro presidi delle forze dell'ordine: Vigili Urbani, Carabinieri,
Carabinieri Forestali e Carabinieri forestali del CTA (Coordinamento
Territoriale per L’Ambiente), ciò nonostante, in una riunione col prefetto, un
assessore invocava anche l’intervento dell'esercito, come la panacea di tutti i
mali. Sua eccellenza il prefetto di Napoli, dal canto suo, davanti al mio
sottolineare l’abbondanza di forze dell’ordine sul territorio, ribadiva le loro
differenti mansioni e questo come se un operatore di pubblica sicurezza, in
presenza di reati, dovesse agire a compartimenti stagni e non agire là dove fosse
realmente necessario, così come è d’abitudine fare durante le manifestazioni
per mantenere l’ordine pubblico.
Pare evidente quindi che il
problema non è la presenza dello stato sul territorio ma la sua reale azione su
questo e il rischio più grave è che la questione si risolva più come un
problema di percezione della sicurezza che della sua reale attuazione. Da noi,
putroppo, lo stato interviene solo quando è troppo tardi, ovvero quando ci
scappa il morto perché quando lo stato mette il naso tra le nostre cose, i
nostri piccoli e grandi intrallazzi, ci da fastidio, lo stato lo vogliamo solo
quando vogliamo noi, quando ci conviene, perché del resto l'illegalità è
ovunque, ce ne nutriamo quotidianamente e non ci accorgiamo che spesso siamo
noi stessi ad alimentarla, da quando voltiamo la faccia a quando pensiamo che
non siano fatti nostri, a quando alimentiamo quelle piccole illegalità che
quando sono lasciate andare diventano grandi ed irrimediabili guai e povero chi
ci capita sotto.