Dalle nostre parti,
parlare di ambiente è come parlare di tutto e niente. Questo vuol
dire che ufficialmente le tematiche legate al contesto ambientale,
sia esso urbano che propriamente naturale, non sono mai state
trattate con la giusta attenzione e soprattutto con la reale volontà
risolutiva. Ormai da decenni alberga nei programmi di tutti i partiti
e di tutti i governi la parola ambiente ma purtroppo solo in maniera
fittizia e aleatoria e spesso con pochissima nozione di causa.
Questo accade, nel
migliore dei casi, per l'incongruenza tra i vari piani di sviluppo
territoriale e la sussistenza del nostro habitat. Questo accade a
maggior ragione quando l'ambiente rimane solo una vuota parola e non
viene visto come elemento fondamentale per la nostra esistenza e
sussistenza e non lo si è considerato quale spunto di sviluppo per
nuove tipologie di economia.
Da sempre all'ombra del
Vesuvio si è portata avanti la tesi, fin troppo attuata,
dell'edilizia quale unica tipologia di economia; una sorta di
monocoltura e monocultura che ha portato alla cementificazione
l'intero litorale partenopeo e vesuviano. Ma non solo, il paesaggio,
una volta splendido ed invidiato, ne ha perso irrimediabilmente ma la
stessa economia territoriale è stata fortemente depressa dal senso
unico del cemento e del mattone e l'indotto che ne consegue,
vanificando la pur unica agricoltura vesuviana e un terziario nato
già morto, e questo in un'area teoricamente votata all'accoglienza
per indole, patrimonio artistico e storico.
Detto questo si ribadisce
lo sfacelo che ha procurato quest'egemonia dell'edilizia portando il
Vesuviano e l'area metropolitana di Napoli ad essere una delle zone
più densamente popolate d'Europa e con l'aggravante che questa
dimori alle falde di un vulcano attivo. Il rischio apparentemente
remoto ma allo stesso tempo falsamente stimato del rischio vulcanico
è stato soppiantato da uno più immediato e conseguenziale al
sovrappopolamento di quest'area ovvero quello dell'alto tasso
d'inquinamento. Il forte congestionamento e lo sviluppo edilizio
illegale e incontrollato ha ovviamente precluso ogni tipologia di
organizzazione razionale per quel che concerne lo smaltimento della
gran massa di rifiuti prodotta non solo dal Vesuviano ma anche dal
milione e mezzo di napoletani che univocamente hanno sversato i loro
rifiuti nelle cave vesuviane.
Nel caso specifico di
Ercolano, l'area più esposta al rischio di contaminazioni di vario
genere, è paradossalmente quella inscritta nell'areale del Parco
Nazionale del Vesuvio, area tutt'altro che protetta e priva di ogni
reale controllo.
Parlo ovviamente di San
Vito e le zone ad esso limitrofe come quella delle Lave Novelle. La
popolosa frazione a monte del centro storico è un compendio di
fattori di rischio che vanno dai cavi dell'alta tensione ai
ripetitori radiotelevisivi e telefonici, dalle antiche discariche
poco controllate allora come oggi ai nuovi siti illegali di
smaltimento rifiuti. Per anni le amministrazioni che si sono
succedute, talvolta in connivenza con la delinquenza locale, hanno
spazzato la polvere sotto al tappeto; per anni, in virtù di una
malintesa real politik, si sono creati siti di stoccaggio provvisorio
che di provvisorio hanno avuto solo il nome e che ancora oggi
stanziano a monito per le future generazioni; un chiaro avvertimento
del concetto di ambiente che chi ci amministra ha.
San Vito registra dei
preoccupanti tassi di mortalità per neoplasie e l'incidenza di tali
patologie è stata registrata dallo studio epidemiologico
S.E.N.T.I.E.R.I. e da un più recente screening promosso dai comitati
locali e dal Prof. Ciannella del Monaldi.
Questo delineato è un
quadro che per difetto mostra lo stato del Vesuviano e in particolar
modo quello del territorio ercolanese. Il nostro unico auspicio è
quello che le prossime amministrazioni locali non facciano orecchio
da mercante a chi chiede, più del diritto al lavoro, il diritto alla
salute! Perché se è vero che il lavoro è necessario è anche vero
che per lavorare serve la salute, concetto scontato ma troppo spesso
demagogicamente declinato in favore di una parvenza di occupazione e
a un più reale arricchimento di pochi clienti locali.
Vorremmo a questo punto
proporre alcune buone pratiche da imbastire se non attuare nel lungo
termine e sono le seguenti:
- Mettere in sicurezza le discariche legali storiche e quelle recenti;
- Censire le discariche illegali e le micro discariche (con la collaborazione delle associazioni di cittadinanza attiva);
- Mettere intorno ad un tavolo Comuni, Regione, città metropolitana, Genio civile, Consorzi di Bacino e Consorzi di Bonifica, ente Parco e trovare le risorse e i mezzi;
- Realizzare un coordinamento tra polizie locali e Corpo Forestale per la prevenzione del fenomeno degli sversamenti abusivi;
- Realizzare le isole ecologiche fuori area Parco;
- Realizzare un impianto di compostaggio;
- Promuovere una corretta informazione sulla salubrità dei prodotti alimentari locali;
- Promuovere uno screening a tappeto su tutta la popolazione di quelle aree rischio per confermare o meno l'incombenza di talune malattie e se queste scaturiscono da questioni ambientali, in modo da aver un attuale e inconfutabile punto di partenza su cui ragionare e operare;
- Infine rendere fruibili e accessibili tutti quei luoghi che ora sono terra di nessuno poiché questa è la pratica migliore per il controllo del territorio.
- Attuare una politica dei “vetri rotti” ovvero, là dove c'è chi scarica, sversa, inquina, deturpa o distrugge il bene comune ambientale, la società, intesa come cittadinanza e istituzioni, deve intervenire tempestivamente e ogni qual volta risulti necessario farlo e in modo tale da dimostrare chi realmente presiede il territorio.
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