Dopo il riposo pasquale, non pago dell’esperienza insulare decido di tornare, visto il sole mattutino di uno splendido e freddo Lunedì in Albis, tra chi, malgrado tutto, celebra la secolare devozione alla Madonna dell’Arco. Malgrado il caos che ogni anno crea la festività, malgrado le contaminazioni culturali e il relativismo religioso che assale quest’evento.
Devo dire che mai come stavolta la distanza tra me e chi pratica questo pellegrinaggio è grande e vi assicuro che non lo dico con alterigia, non lo dico col distacco di chi si sente migliore, ma con dispiacere. Questo accade per il semplice fatto che io, tra di loro, sono un estraneo, non vesto gli abiti del pellegrino, non sono un fujente nella sua divisa bianca e azzurra, non porto alcuno stendardo, nessun emblema che mi accomuni ai fedeli. Questo crea un distacco tra me e loro e la mia macchina fotografica ancor di più; mi sembra, nell’usarla, nella voglia di fissare quei momenti rituali, di entrare nella loro intimità, nella loro fede arcaica, ben lontana dal mio abbondante e pratico agnosticismo. Mi trafilo tra canti neomelodici e canzonette latinoamericane (il Tacadà infuria!); raggiungo a stento, in una densa calca, una porta laterale del santuario, dove riesco a scorgere l’arcano rituale che si celebra con l’umiliazione dell’andare scalzi o in ginocchio fino all’altare, le grida di sofferenza e di liberazione sono lancinanti, commoventi ogni volta che le senti, contrastano però, ammorbidite, da un canto, un canto antico, un canto sapiente di paranzaro, che tollera, che aiuta, che sa quello che siamo, perché sa quello che eravamo e che continueremo ad essere.
Esco frastornato, mi defilo tra gli spintoni, aggiro la lunga colonna di fedeli che attende l’entrata, vi trovo un varco; la folla di fedeli, curiosi e venditori d’ogni genere si dirada verso la salita che conduce alla stazione della Circumvesuviana, lì il frastuono diventa ritmico, e di nuovo arcaico, la tradizione si rinnova anche qui con i canti a tammorra, peccato che chi canta e suona non è lo stesso che pratica la devozione, il distacco tra i due gruppi è sempre stato netto, da un lato i devoti con le canzoni della loro realtà, dall’altro i fricchettoni con la loro illusione.
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