martedì 3 gennaio 2012

Angelo Prisco


Sventurato quel paese che ha bisogno d’eroi sosteneva Bertolt Brecht ma ancor più sventurato chi se ne dimentica!
Senza entrare in disquisizioni sull’opportunità o meno di eroi, a coprire le mancanze di uno stato debole o assente, c’è da chiedersi come mai talune figure, spesso esemplari, vengano poi dimenticate tanto rapidamente, e se questo lo si faccia consapevolmente o meno.
Nella mie passeggiate vesuviane mi sono spesso imbattuto, lungo il sentiero che porta alla Valle dell’Inferno, nella lapide dedicata ad Angelo Prisco e ogni volta che la vedevo mi veniva voglia di toccarla, a mo’ di saluto. Non facevo questo come spesso si fa, in maniera un po’ scaramantica, con le immagini sacre, ma cercavo un contatto con chi per me, pur non avendolo mai conosciuto, era stato sempre una figura presente nelle mie escursioni lungo i sentieri vesuviani. L’immagine astratta di quel giovane finanziere che diciassette anni fa trovava barbaramente la morte in quei luoghi e che era stato sempre un esempio di vivida coerenza, quella di chi amando la Montagna la difendeva, senza schierarsi dietro le ipocrite giustificazioni di rito.

Per anni ho seguito le tracce di Angelo Prisco, da quell’inverno del ’95, quando, lontano da casa, ascoltando la radio, seppi della notizia della sua uccisione. Per anni ho avuto l’impressione che Angelo fosse stato inghiottito nel nulla, come se persino la sua immagine di giovane cristallino, che solo ora concretizzo in una foto sbiadita, nella sua divisa della Guardia di Finanza, fosse stata assorbita dalle sabbie mobili dell’oblio.
Solo casualmente, chiacchierando giorni fa con dei conoscenti, sono riuscito ad avere un contatto, il quale decide e non senza timori, di parlarmi del tragico destino di quel giovane.
A farlo è come sempre una donna, quasi a sancire il fatto che in questo mondo di uomini solo loro sanno dare un senso alle cose; e lo fa con passione, con gli occhi umidi di rabbia e commozione così come la scansione della sua voce.
Mi racconta di quando Angelo Prisco, a San Giuseppe Vesuviano, era uno di quei ragazzi che si fanno voler bene da tutti, perché il suo attivismo ben si sposava con la sua umana simpatia; era attivo nel sociale ma questo non gli bastava, voleva esserlo di più e probabilmente anche per questo entrò a far parte della Guardia di Finanza. Questa svolta lo portò al nord, a Chiavenna da dove spesso tornava per rivedere la famiglia, ma anche per ripercorrere i sentieri della sua Montagna così diversa da quella del Passo Rolle che l’attendeva dopo le feste. Quel dicembre del ’95 accadde però qualcosa che non c’è dato sapere appieno ma che facilmente possiamo immaginare.

All’epoca, il Parco Nazionale del Vesuvio era da poco stato costituito, con la legge 394 del 1991, tutt’ora fragile barriera, che stenta a evitare lo scempio del nostro territorio. C’erano però già i divieti, che impedivano la caccia in quei luoghi tanto preziosi; ed è probabile che Angelo si sia imbattuto in attività illecite come la caccia di frodo alle lepri o che queste attività nascondessero ben altri reati o che semplicemente ne fossero complementari. Attività purtroppo omogenee a una cultura camorristica che feudalmente pretendeva di fare quel che si voleva di quel patrimonio comune. Le cose, almeno fin qui, non sono più di tanto cambiate, se si pensa agli abusi d’ogni genere, agli sversamenti illegali o sanciti da una legge patrigna, e che tutt’oggi deturpano paesaggio e coscienze.
La mattina del 19 dicembre 1995 Angelo Prisco lasciò la sua auto a Terzigno e salì verso la Valle dell’Inferno, il fondo dell’antico, grande vulcano anteriore alla nascita del Vesuvio. Salì col timore di dover affrontare qualcuno poiché, pur essendo in borghese, aveva con sé la sua pistola d’ordinanza, ma sapeva che rischiava, perché aveva ricevuto delle minacce e in molti di questo già ne erano al corrente, ma quella mattina Angelo era solo, solo con la sua voglia di vederci chiaro e solo purtroppo fu trovato, tra il lapillo vesuviano, con due pallettoni conficcati nel petto.

Il tempo passa e le immagini sbiadiscono come le poche foto di quel ragazzo dallo sguardo sereno e lineare, forse anche il dolore s’affievolisce, magari distratto dalle cose della vita, ma stranamente, la figura di quell’aitante ragazzo di San Giuseppe, diplomato ISEF e dall’amore sviscerato per la natura sembra condannata a esser dimenticata. Forse perché la coerenza non è bene comune o forse perché, persone di questo tipo, evidenziano la nostra ignavia, forse ancor di più perché si ha paura di qualcuno, o tutt’e tre le cose messe assieme. Sicuramente Angelo Prisco aveva intuito che in quei luoghi di nessuno, quelli che sono tutt’ora le pendici del Vulcano, nascondevano molto più delle scorribande di semplici bracconieri. Oppure la sua lucidità aveva cozzato contro la tracotanza di chi ritiene suo quello che invece è di tutti, ipotesi tanto assurda quanto realistica dalle nostre parti, là dove si muore ancora di ripicca per una mancata precedenza a un incrocio. Fatto sta che il tempo è passato, le amministrazioni si sono succedute nel comune di San Giuseppe ma nessuno mai ha preso posizione, neanche semplicemente per commemorare la figura del giovane, solo gli amici, i parenti stretti, timidamente, talvolta con difficoltà, hanno portato avanti il suo ricordo.
Per quell’omicidio furono indagate due persone di Somma Vesuviana; una addirittura, identificata come l’assassino di Angelo, che ha scontato due anni di carcere, uscendo per un alibi tanto tardivo quanto opinabile. Contrariamente ad altri martiri della coerenza, quel ragazzo di San Giuseppe Vesuviano è stato dimenticato da tutti o quasi; di tanto in tanto ricordato da chi lo ha amato o da chi, indicandolo ad esempio didattico, sostiene ancora che a questo mondo è meglio farsi i fatti propri, per continuare nella loro lenta, inesorabile, lunga morte quotidiana.
Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura muore una sola volta! (William Shakespeare attraverso Paolo Borsellino.)

2 commenti:

  1. Dai tuoi articoli traspare sempre un profondo senso civico e umano. Questo tuo primo pezzo del 2012 è un prezioso contributo contro l'oblio e l'indifferenza, quasi un'indicazione di rotta per il nuovo anno. Che poi è la rotta di sempre...
    Grazie per averci trasmesso il ricordo di Angelo.

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  2. Bellissimo articolo, complimenti. Ho conosciuto personalmente Angelo ad un corso di Soccorso Alpino e non posso che confermare il fatto che fosse un bravissimo ragazzo, di sani principi, grande amante della montagna e della natura. Una grandissima perdita. Auspico che un giorno la verità sia rivelata e soprattutto che il colpevole di tale efferato omicidio possa venire identificato senza ombra di dubbio e pagare il suo debito con la giustizia.

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