venerdì 18 giugno 2010

RIFLESSIONI SUL CASO POMIGLIANO




La questione degli stabilimenti FIAT di Pomigliano D’Arco mette in risalto una questione che, anni addietro, quando i diritti sanciti dalla Costituzione e dallo Statuto dei Lavoratori, sembravano inalienabili, sarebbe parsa appartenere a qualcosa di remoto e improponibile.
Si riportano, sulla stampa locale, le affermazioni della giunta comunale pomiglianese che, parafrasando l’andante imperante, sostiene che “piccoli egoismi sindacali o sterili battaglie ideologiche” frenerebbero lo sviluppo di un’area già di per sé depressa.
A me sembra, più che altro, che si voglia enfatizzare, con tali affermazioni, l’attualità più che la precarietà che si prospetta per il futuro di Pomigliano, nel senso che, sfruttando l’onda emotiva suscitata dal dictat di Marchionne e l’evergreen della crisi, senza mai perder d’occhio l’esiguo ma pur sempre remunerativo spazio temporale che separa una legislazione dall’altra, non si vuol considerare il danno che sul lungo periodo procurerà l’accondiscendenza a tali intimazioni. Una sorta di campa cavallo che l’erba cresce, ovvero: - ora saremo ricordati tra quelli che hanno permesso che la FIAT restasse a Pomigliano, domani, quando l’ennesima crisi penderà sul capo degli operai, si vedrà ed eventualmente se lo piangerà qualcun altro. - Pura pragmatica politica.
Sembra poi che le tanto paventate crisi penalizzino più gli stipendiati, pubblici e privati, che i capitani d’industria, che pretendono ancor più libertà di quanta già non ne abbiano ricevuta, da questo e dagli altri governi succedutisi in questo mare magnum di crisi globali. Non gli bastano certo i quattro morti al giorno sul posto di lavoro, non gli bastano certo proroghe, sanatorie, condoni, incentivi e scudi fiscali ma ora vogliono pure l’abolizione dell’articolo 41 della Costituzione (http://www.senato.it/istituzione/29375/131289/131314/131321/articolo.htm) perché, secondo loro, il mercato non sarebbe tutelato dalla nostra Carta Costituzionale, a loro dire obsoleta e vincolante (quella USA risale al 1789!).
Altro che sterili egoismi e battaglie ideologiche mi vien di pensare, il luogo comune vuole relegare ancora una volta la lotta sindacale a un inutile passatempo ad uso di pochi imboscati e accondiscendenti eletti; ormai si è dimenticato però che questa ci ha portato ai diritti di cui tutti adesso usufruiamo e che giudichiamo imprescindibili e, fino a poco fa, indiscutibili.
Se non ci fossero state le lotte sindacali si starebbe ancora a lavorare in condizioni disumane e morire per un qualcosa che dovrebbe invece aiutarci a vivere, ma su questo sappiamo che purtroppo c’è ancora molto da fare. Basterebbe ricordare cos’accadde quando il passato governo Prodi tentò timidamente di regolamentare e attualizzare la sicurezza sul luogo di lavoro, non tutti ricordano forse il sollevarsi di scudi di CONFINDUSTRIA e chi per lei e come naufragò l’iniziativa legislativa.
Ma si sa, se la gente ha deciso di non voler più vedere la spazzatura per le strade del napoletano è probabile che i più non vedano la portata di un eventuale accordo, dove si prevede tra l’altro di ridimensionare anche il diritto di sciopero pur di veder trasferita la Panda all’ombra del Vesuvio. Del resto come, parimenti, la cecità impera per l’immondizia di Palermo, s’è persa ogni notizia su Termini Imerese, prima vittima sacrificale del tu vuò fa’ l’americano del Marchionne, triste monito ai morituri della dura legge del mercato.
Va detto che la fabbrica d’automobili torinese non è industria normale, e non solo per il suo peculiare radicamento al territorio infatti, i decenni di sovvenzioni statali fruiti dall’opificio degli Agnelli, non possono esimerla dai suoi impegni e questo solo perché c’è la sempiterna crisi in atto, crisi che, si sottolinei, non hanno certo creato i lavoratori.
Se l’industria del Lingotto ha quindi superato la prova degli anni, delle crisi e degli investimenti sbagliati non lo è stato certo esclusivamente per il valore intrinseco dei suoi prodotti, ma anche perché è stata sovente considerata come patrimonio nazionale e non solo dei suoi azionisti. Per questo quando si parla di lei sarebbe opportuno non enfatizzare sulle presumibili libertà di mercato ma sulla questione tutta italiana delle sovvenzioni di stato, limitate soltanto dalle nuove regole europee.
Quello della FIAT resta comunque un vero e proprio ricatto! Non si può rinunciare a ciò che si è conquistato col sangue e il sudore dei lavoratori. È evidente che quello della FIAT non è che il primo passo verso un gioco al ribasso che pregiudicherà progressivamente lo Statuto dei Lavoratori e tutti quei diritti sacrosanti che ci separano dalla servitù.
Quanti seguiranno la strada intrapresa dall’industria torinese se questa vincesse? È facile istaurare una campagna stampa contro i fannulloni, veri e presunti, soprattutto quando si hanno mezzi e amicizie per farlo, e per invogliare la pubblica opinione ad accondiscendere alla nuova teoria del baratto dei diritti ma se è vero che al mondo esistono gli assenteisti e i medici compiacenti (tra l’altro facilmente identificabili e sanzionabili se questo fosse un mondo privo di opportunismo), è anche vero che esistono i padroni, che sfruttano e che colgono la palla al balzo per fare quel che vogliono, nascondendosi dietro il famigerato dito.
Quella della FIAT è una sorta di “monocoltura” che come l’edilizia ha monopolizzato il nostro territorio, senza la quale, sembra che non esistano altre speranze o orizzonti occupazionali; l’inventiva e il valore di un popolo li si possono vedere proprio in questi frangenti. Che si lotti allora per i propri diritti finché se ne avranno forza e dignità, altrimenti che vada a farsi friggere altrove ‘sta FIAT che ha spolpato finché l’è convenuto operai e sussidi statali. Qual è stato il risultato di questa politica, e quali saranno le conseguenze se questa sorta d’accordo unilaterale passasse? E siamo realmente convinti che quelle auto voglia proprio costruirle in Polonia? Magari negli States ha imparato a giocare a poker e di conseguenza a bleffare.
Ci hanno inculcato che anche con un diploma, una laurea e con tante specializzazioni dovremo imparare a reinventarci un nuovo cammino professionale, anche a cinquant’anni e forse più, se il prezzo è lo sfruttamento, in cambio di un telefonino o uno schermo piatto allora preferisco reinventarmi e osservare con orgoglio un limpido tramonto invece di annullarmi davanti a un piatto schermo televisivo.

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